Si è chiuso l’altro ieri il Congresso per il dialogo siriano di Sochi
con un’intesa sulla formazione di un comitato che dovrà riscrivere la
costituzione siriana e con un invito (l’ennesimo) a indire nuove
elezioni.
A salutare con favore l’accordo sul comitato costituzionale (che sarà formato da 50 membri il cui compito sarà quello di scrivere la nuova costituzione) sono stati Russia, Turchia e Iran – i tre paesi di Astana e ideatori delle “zone a riduzione del conflitto” – e l’Onu
che, con il suo inviato speciale de Mistura, ha rimarcato come spetterà
alle Nazioni Unite il controllo sulle procedure dell’ente (criteri di
selezione dei suoi componenti e mandato). In base a quanto
stabilito, Mosca, Ankara e Teheran indicheranno 50 nomi a testa per un
totale di 150 personalità. Tra questi verranno poi selezionati i membri
del comitato istituzionale.
Ad appoggiare l’accordo è stato anche il Comitato siriano per i negoziati (Nsc), la principale componente dell’opposizione siriana finanziata e appoggiata dall’Arabia Saudita. Nonostante abbia boicottato il summit di Sochi di inizio settimana preferendo farsi rappresentare dalla Turchia, ieri il suo capo negoziatore Nasr Hariri ha aperto ai risultati del vertice:
Nsc, ha detto, “lavorerà positivamente” con il comitato perché la sua
creazione è affidata all’Onu. “Se il comitato costituzionale è stabilito
all’interno del processo delle Nazioni Unite di Ginevra e aderisce
strettamente alla risoluzione Onu 2254, continueremo a lavorare al
processo voluto dall’Onu a riguardo” ha spiegato Hariri nel corso di una
conferenza stampa.
Damasco, dal canto suo, commentando i risultati di Sochi, non ha fatto alcuna menzione della commissione.
Il governo siriano, infatti, si è limitato a esprimere soddisfazione
per quanto raggiunto nella città del Maro Nero: “La dichiarazione finale
della conferenza – si legge in un comunicato del ministero degli esteri
– ha confermato il consenso dei siriani nel preservare la sovranità e
l’unità del territorio siriano, la sua gente nonché il diritto esclusivo
del suo popolo a scegliere il proprio sistema economico e politico”.
Bisogna però capire quali conseguenze effettive avrà davvero Sochi sul terreno: il summit è stato infatti segnato da dissidi e numerosi boicottaggi.
Tra i 1.500 delegati presenti c’erano le opposizioni delle cosiddette
piattaforme del Cairo e di Mosca ma non i partiti curdi, né tanto meno
l’Alto Comitato per i negoziati (Nsc). Sono pesate poi le assenze di Usa, Gran Bretagna e Francia
che non hanno preso parte ai lavori diplomatici ufficialmente perché il
governo siriano di Bashar al-Asad non vuole “impegnarsi correttamente”.
Nei giorni scorsi Parigi, schierata sin dall’inizio del conflitto
siriano con i “ribelli” e vicina all’Nsc e all’Arabia Saudita, ha
ribadito di riconoscere solo l’iniziativa portata avanti dalle Nazioni
Unite e non da altri negoziati. Soprattutto, aggiungiamo noi, quando a
sponsorizzarli è la Russia, alleata del “nemico” al-Asad e sempre più
forza protagonista in Medio Oriente.
Sarà interessante poi capire quali effetti produrrà sul
terreno il dialogo ai margini del vertice di Sochi tra il presidente
russo Putin e il suo pari turco Erdogan. Secondo le
indiscrezioni della stampa, i due hanno discusso di nuove modalità di
coordinamento per le zone di de-escalation (individuate lo scorso anno
al summit di Astana) tra cui figura la provincia di Idlib che si trova a
pochissima distanza dal cantone di Afrin dove Ankara continua da giorni la sua offensiva anti-curda.
Un attacco non solo militare – ieri fonti dell’esercito turco hanno
parlato di altri 21 “terroristi neutralizzati” – ma anche politico. Il
governo ha infatti esortato l’inviato Onu de Mistura a non invitare
alcun rappresentante del partito curdo dell’Unione democratica (Pyd) al
comitato costituzionale che dovrà redigere la nuova costituzione.
La tensione in Siria resta altissima: agli attacchi turchi ad
Afrin nel nord della Siria, si aggiungono i bombardamenti aerei
dell’esercito siriano sul bubbone islamista di Idlib, nel nord
ovest del Paese. Ieri l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Os),
gruppo vicino all’opposizione siriana e di stanza a Londra, ha detto che
i raid aerei di Damasco hanno ucciso almeno 28 persone nell’area. La
provincia di Idlib è un vero e proprio concentrato del jihadismo rimasto
operativo in modo significativo in Siria: il gruppo più forte presente è
Tahrir al-Sham, un’alleanza di fazioni tafkire che includono anche l’ex
Fronte an-Nusra (al-Qa’eda in Siria).
Ma morti si contano però anche nell’area di Damasco dove i “ribelli”
hanno ucciso sette persone (13 i feriti) nel distretto governativo di
Ash al-Warour, dimostrando ancora una volta come al-Asad non sia ancora
riuscito a controllare interamente il territorio damasceno, fulcro del
suo potere.
Tensione alta, intanto, anche nel sud della Siria dove ieri
media vicini al governo hanno riferito di attacchi israeliani contro
diverse postazioni del (fu) “Stato Islamico” (Is). I raid,
affermano fonti di Damasco, hanno avuto luogo nell’area di Dar’a mentre
era in corso un’offensiva del gruppi ribelli siriani contro l’Esercito
di Khalid ibn al-Walid, una formazione jihadista affiliata all’Is. La
notizia è stata confermata anche da Zaman al-Wasl, un organo di stampa
vicino all’opposizione siriana, che ha citato alcuni attivisti locali.
A rendere ancora più incandescente il clima nel Paese è però soprattutto l’amministrazione Usa di Donald Trump. Ieri, infatti, alcuni ufficiali statunitensi che hanno preferito restare anonimi hanno detto che Washington
è pronta a sferrare un nuovo attacco contro le forze armate governative
se ciò dovesse essere necessario a impedire a Damasco di usare le armi
chimiche.
I funzionari Usa hanno detto che gruppi armati pro-al-Asad stanno
continuando ad usare occasionalmente le armi chimiche: non sarebbe
bastata quindi la “lezione” impartita da Washington al presidente
siriano lo scorso 7 aprile (bombardamento di una base militare siriana)
in seguito ad un presunto attacco chimico del regime nella città di Khan
Shaykhoun tre giorni prima. Secondo gli ufficiali, se la
comunità internazionale non agisce velocemente facendo pressioni su
Assad, le armi chimiche si potrebbero diffondere al di là della Siria e
raggiungere persino gli Stati Uniti.
Lo scorso 22 gennaio il gruppo di soccorritori dei Caschi Bianchi,
che opera nelle aree delle opposizioni siriane, hanno detto che 13
civili sono rimasti feriti dall’uso di gas clorino utilizzato (è la loro
accusa) dagli uomini di al-Asad nella città di Douma, nella Ghouta
orientale. Nel 2017 l’Unione Europea ha inserito nella sua blacklist una
dozzina di alti ufficiali militari e scienziati siriani per gli
attacchi chimici sui civili siriani.
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