Al terzo giorno di pausa umanitaria, unilateralmente ordinata dal
presidente russo Putin lunedì, i corridoi umanitari annunciati con
volantini e sms ai civili di Ghouta est restano deserti. Questa mattina
l’agenzia stampa russa Tass ha riportato le dichiarazioni del
generale Zolotukhin da Damasco: le opposizioni, dice, continuano a
lanciare missili sulle vie di fuga impedendo alle persone di evacuare.
“Dalle informazioni ricevute nelle ultime 24 ore – ha detto
Zolotukhin – il numero di appelli dei residenti di Ghouta est agli
attivisti per i diritti umani sono aumentate molto, con la richiesta di
aiuto e assistenza nell’evacuazione dal territorio controllato dai
miliziani”. Ma la fuga è impossibile a causa dei colpi di mortaio
sparati sul checkpoint di al-Wafadin. Lì è presente la Mezzaluna rossa, pronta all’accoglienza.
Anche ieri era stato giorno di violenze. Se il governo ha lanciato
una serie di raid prima dell’entrata in vigore delle cinque ore
di tregua russa, ed è avanzato sul terreno, dopo le 9 le esplosioni
sarebbero cessate. Ma per poco tempo: missili sono stati lanciati verso
le postazioni governative e viceversa.
Nessuna tregua, dunque, per i 400mila civili bloccati nella
Ghouta orientale dal 2013, ormai privi di cibo, acqua e medicinali e
costretti a nascondersi nei sotterranei delle case per scampare alla
morte. Un assedio interno ed esterno feroce, che ricorda quello di
Aleppo del 2016 e che, allo stesso modo della capitale del nord, fa del
sobborgo damasceno un nuovo punto di svolta della guerra. Sia
le opposizioni islamiste – presenti con 20mila uomini tra Jaysh
al-Islam, ex al-Nusra, Ahrar al-Sham e unità islamiste legate
all’Esercito Libero Siriano – che Damasco sono consapevoli
dell’importanza di una vittoria. Ghouta est è una delle tre
enclavi, insieme ad Idlib e al sud (le zone di Daraa e Quneitra), ancora
controllate dal fronte anti-Assad, strategica vista la posizione, a
pochi chilometri dal centro di Damasco.
Le notizie che arrivano sono filtrate dalle rispettive narrative,
rendendo difficile muoversi nella guerra di propaganda. I pochi
giornalisti internazionali presenti dentro Ghouta est sono entrati con
il permesso delle opposizioni e, come in ogni guerra, controllati da chi
ne ha permesso l’ingresso, elemento che fa pensare a informazioni
distorte. Dall’altra parte c’è la versione governativa che insiste nel
definire i raid mirati solo ai gruppi terroristi indicati dalle
risoluzioni Onu.
Ma sono proprio le risoluzioni Onu a contraddirsi, rendendo
complesso tracciare i confini dei diversi gruppi di matrice islamista e
salafita ancora attivi in Siria. Gruppi che stringono alleanze
ideologiche o di comodo e che comunque stanno combattendo insieme da
anni, spesso sotto l’ala del più potente gruppo di opposizioni, il qaedista ex Fronte al-Nusra.
La tregua non vale per nessuno. Se a Ghouta non c’è pace, anche gli
altri attori del conflitto si auto-escludono dal cessate il fuoco
chiesto dal Consiglio di Sicurezza lo scorso sabato. In primis la
Turchia che ieri è tornata a dire che proseguirà nell’operazione contro
Afrin equiparando l’Isis alle unità di difesa popolare curde Ypg/Ypj,
ovvero le forze che hanno sconfitto lo Stato Islamico nel nord della
Siria. Le conseguenze sono ovvie: i raid proseguono colpendo zone residenziali e radendo al suolo case private.
Raid anche da parte statunitense: ieri l’agenzia di stampa siriana Sana denunciava 24 morti in bombardamenti Usa sul campo rifugiati improvvisato di Dharet al-Allouni, a Deir Ezzor.
Secondo il Syrian Network for Human Rights, da sabato sono 107 le
vittime della guerra, di cui 83 attribuite a Damasco. Ma, a sentire le
diverse denunce delle tante fonti presenti, potrebbero essere molti di
più.
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