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01/03/2018

Siria - Russia "le opposizioni impediscono la fuga ai civili"

Al terzo giorno di pausa umanitaria, unilateralmente ordinata dal presidente russo Putin lunedì, i corridoi umanitari annunciati con volantini e sms ai civili di Ghouta est restano deserti. Questa mattina l’agenzia stampa russa Tass ha riportato le dichiarazioni del generale Zolotukhin da Damasco: le opposizioni, dice, continuano a lanciare missili sulle vie di fuga impedendo alle persone di evacuare.

“Dalle informazioni ricevute nelle ultime 24 ore – ha detto Zolotukhin – il numero di appelli dei residenti di Ghouta est agli attivisti per i diritti umani sono aumentate molto, con la richiesta di aiuto e assistenza nell’evacuazione dal territorio controllato dai miliziani”. Ma la fuga è impossibile a causa dei colpi di mortaio sparati sul checkpoint di al-Wafadin. Lì è presente la Mezzaluna rossa, pronta all’accoglienza.

Anche ieri era stato giorno di violenze. Se il governo ha lanciato una serie di raid prima dell’entrata in vigore delle cinque ore di tregua russa, ed è avanzato sul terreno, dopo le 9 le esplosioni sarebbero cessate. Ma per poco tempo: missili sono stati lanciati verso le postazioni governative e viceversa.

Nessuna tregua, dunque, per i 400mila civili bloccati nella Ghouta orientale dal 2013, ormai privi di cibo, acqua e medicinali e costretti a nascondersi nei sotterranei delle case per scampare alla morte. Un assedio interno ed esterno feroce, che ricorda quello di Aleppo del 2016 e che, allo stesso modo della capitale del nord, fa del sobborgo damasceno un nuovo punto di svolta della guerra. Sia le opposizioni islamiste – presenti con 20mila uomini tra Jaysh al-Islam, ex al-Nusra, Ahrar al-Sham e unità islamiste legate all’Esercito Libero Siriano – che Damasco sono consapevoli dell’importanza di una vittoria. Ghouta est è una delle tre enclavi, insieme ad Idlib e al sud (le zone di Daraa e Quneitra), ancora controllate dal fronte anti-Assad, strategica vista la posizione, a pochi chilometri dal centro di Damasco.

Le notizie che arrivano sono filtrate dalle rispettive narrative, rendendo difficile muoversi nella guerra di propaganda. I pochi giornalisti internazionali presenti dentro Ghouta est sono entrati con il permesso delle opposizioni e, come in ogni guerra, controllati da chi ne ha permesso l’ingresso, elemento che fa pensare a informazioni distorte. Dall’altra parte c’è la versione governativa che insiste nel definire i raid mirati solo ai gruppi terroristi indicati dalle risoluzioni Onu.

Ma sono proprio le risoluzioni Onu a contraddirsi, rendendo complesso tracciare i confini dei diversi gruppi di matrice islamista e salafita ancora attivi in Siria. Gruppi che stringono alleanze ideologiche o di comodo e che comunque stanno combattendo insieme da anni, spesso sotto l’ala del più potente gruppo di opposizioni, il qaedista ex Fronte al-Nusra.

La tregua non vale per nessuno. Se a Ghouta non c’è pace, anche gli altri attori del conflitto si auto-escludono dal cessate il fuoco chiesto dal Consiglio di Sicurezza lo scorso sabato. In primis la Turchia che ieri è tornata a dire che proseguirà nell’operazione contro Afrin equiparando l’Isis alle unità di difesa popolare curde Ypg/Ypj, ovvero le forze che hanno sconfitto lo Stato Islamico nel nord della Siria. Le conseguenze sono ovvie: i raid proseguono colpendo zone residenziali e radendo al suolo case private.

Raid anche da parte statunitense: ieri l’agenzia di stampa siriana Sana denunciava 24 morti in bombardamenti Usa sul campo rifugiati improvvisato di Dharet al-Allouni, a Deir Ezzor. Secondo il Syrian Network for Human Rights, da sabato sono 107 le vittime della guerra, di cui 83 attribuite a Damasco. Ma, a sentire le diverse denunce delle tante fonti presenti, potrebbero essere molti di più.

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