Dopo giorni concitati e continui ribaltamenti di fronte, la crisi di governo si è risolta in un governo Cinque Stelle – Lega. Nel giro di poche settimane è accaduto di tutto e non è accaduto nulla. Il teatrino a cui abbiamo assistito potrebbe essere riassunto in un titolo: storia di una normalizzazione. Le forze politiche intenzionate a formare un governo insieme avevano inserito nella lista dei ministri un nome, quello di Paolo Savona, in passato associato a un fantomatico “piano B”, un piano per l’uscita dell’Italia dall’Euro. Il piano B, più che essere applicato alla lettera, doveva servire, nelle intenzioni degli autori, come strumento di contrattazione per ottenere un ampliamento dei margini di manovra dei governi nazionali rispetto agli stringenti vincoli dei Trattati europei. Si è ben presto capito che anche la semplice minaccia dell’uscita dall’euro come strumento di leverage nei confronti della Commissione e delle altre istituzioni europee era ostativa alla formazione di un governo. Alla fine, pur di ottenere l’incarico, Cinque Stelle e Lega si sono piegati agli ordini di Mattarella, delle Istituzioni europee e dei mercati. Una manifestazione di forza dei guardiani dello status quo e di debolezza dei finti ribelli giallo-verdi, ma anche la conferma che la messa in discussione dei dogmi dell’austerità è ciò che i primi temono di più. Questo il punto dal quale partire per costruire una vera alternativa alla stagnazione e alla precarietà che l’Europa ci impone.
Al di là dei toni da farsa, la telenovela politica messa in scena nei giorni scorsi lascia emergere una serie di nodi sostanziali che vale la pena sciogliere per aver chiara la trama di quanto accaduto e di quanto potrà accadere da qui al futuro prossimo:
1) cambiare tutto per non cambiare niente. Il vecchio adagio gattopardesco è sempre di estrema attualità, tanto che caratterizza anche il sedicente “governo del Cambiamento”. Il nuovo esecutivo, palesemente normalizzato e ufficialmente inchinato ai poteri forti, cercherà di apparire come un’effettiva novità per sedare gli animi di un elettorato inquieto. Allo stesso tempo è probabile che vengano adottate alcune misure compatibili con l’adesione ai dogmi europei. Molte di esse rappresenteranno una semplice variante dell’austerità che andrà a colpire alcuni anelli deboli anziché altri. La flat tax sostenuta dal liberista Tria, che ha dichiarato di volerla finanziare con un aumento dell’IVA e in generale delle imposte indirette, semmai sarà applicata (Dio ce ne scampi!), avrà un impatto gravemente regressivo a sfavore dei poveri e del ceto medio. Mentre qualche briciola verrà ridata ai subalterni con una possibile rivisitazione morbida della Fornero e l’elemosina del reddito di cittadinanza (peraltro pericoloso nel suo meccanismo condizionale). La Lega poi invoca tagli alla spesa pubblica, in particolare per l’accoglienza degli immigrati e per i servizi pubblici (asili, aiuti alle famiglie) per i non italiani, dimostrando che, sulla consueta base del mito della scarsità delle risorse, si può agevolmente scatenare una guerra tra poveri assai simile a quelle scatenate da anni tra soggetti subalterni da parte di tutti i governi che hanno gestito l’austerità: lavoratori garantiti contro precari, giovani disoccupati contro pensionati, ed ora autoctoni contro stranieri. La presunta lotta per l’accaparramento di risorse scarse da distribuire ai derelitti come briciole resta dunque il vero punto focale condiviso da tutti.
2) Emerge, quindi, con rinnovata nitidezza la grottesca inconsistenza delle false alternative politiche. Di fronte al veto presidenziale (vedi prossimo punto), Cinque Stelle e Lega hanno alzato un po’ di polvere per pochi giorni facendo apparentemente la voce grossa. Caduto l’incubo Cottarelli, sono tornati in scena proponendo una compagine governativa del tutto allineata ai diktat dell’austerità e al liberismo. Si è trattato di un crescendo, anzi di un decrescendo lampante. Progressivi smottamenti da posizioni che, seppur pienamente di sistema e a forte venatura liberista, contenevano tuttavia alcuni spunti critici verso l’austerità, leggibili nelle prime bozze di programma non ufficiali, verso posizioni via via sempre più allineate allo status quo: dapprima con la cancellazione di pezzi di programma meno ortodossi (proposte di sforamento dei vincoli sul deficit e critiche all’architettura istituzionale dell’UE), poi con il passaggio sostanziale e simbolico dal liberale moderato Savona, poco euro-entusiasta, al liberista europeista Tria. E così un programma pasticciato, confuso, di chiara ispirazione liberista, ma con blandi e incoerenti stralci di critica raffazzonata all’austerità finanziaria, si è trasformato in programma di piena adesione al dogma. Altro che populismo! Che 5stelle e Lega non avessero alcuna seria intenzione di scardinare la disciplina europea (anche con Savona) era evidente a tutti. Ciò era apparso chiaro dall’estremo tentativo fatto dallo stesso Savona, il quale, attraverso un comunicato, faceva sapere che, lungi dall’essere un pericolo per l’Europa, voleva semplicemente “un’Europa diversa: più forte, ma più equa” (un concetto rafforzato il giorno dopo, quando ha dichiarato che non avrebbe “mai messo in discussione l’euro, ma avrebbe chiesto all’Unione Europea di dare risposte alle esigenze di cambiamento che provengono dall’interno di tutti i paesi-membri”). Pur tuttavia, la sola minaccia di poter assumere posizioni anche solo genericamente critiche sugli eccessi dell’austerità finanziaria, rappresentata dalla presenza del pacato Savona al dicastero economico, ha scatenato attacchi a ripetizione della grande stampa e la suddetta mossa istituzionale a futura memoria da parte del Presidente Mattarella.
3) A proposito di quest’ultimo, abbiamo assistito a una scelta gravissima, che ha sancito l’esclusione preventiva di un ministro come condizione per l’approvazione di un governo da parte di un Presidente della Repubblica. Ciò è avvenuto non per i requisiti di compatibilità costituzionale del ministro stesso, ma per le sue posizioni politiche su temi economici, in questo caso relativi all’architettura istituzionale dei Trattati europei e dell’Euro. Il veto di Mattarella al moderatissimo Savona è stato un chiaro monito non solo e non tanto all’innocuo duo Cinque Stelle – Lega quanto piuttosto all’idea stessa di poter sfidare, anche vagamente, un ordine sovranazionale incentrato sulla supremazia gerarchica dei trattati europei e della moneta unica che ad oggi rappresenta il vincolo esterno più potente per una qualsivoglia politica emancipatoria delle classi subalterne. L’austerità europea ad oltranza, dunque, non ammette eccezioni. Non le ammette persino quando gli sfidanti sono in verità del tutto integrati nella gestione ordinaria del capitalismo liberista e persino dello stesso dogma dell’austerità come mostrava limpidamente la loro linea programmatica espressa dal contratto di governo e dalle innumerevoli dichiarazioni politiche rilasciate.
4) Cambiano gli attori, abbiamo detto, ma non cambia la scena. Da qui ai prossimi mesi si farà di tutto per occultare questa sostanziale continuità. I giornali dell’austerità “progressista” urlano e sempre più urleranno al governo dei razzisti e alla nuova destra populista al potere. Tali grida di dolore sarebbero, peraltro, giustificate, in quanto certamente stiamo parlando di un governo razzista e retrivo. Il problema è che esse sono ipocrite, in quanto il loro obiettivo non è certamente quello di difendere i migranti (stiamo parlando degli stessi organi di stampa che tacevano quando Minniti stringeva accordi con i leader libici per creare veri e propri lager sulle coste nordafricane). La stampa e l’informazione dominante presenteranno i nuovi barbari, rozzi e “populisti”, come una minaccia per l’Europa. Contro di loro, dipingeranno il vecchio establishment come una rispettabile alternativa, che almeno difenderebbe (sic!) principi di democrazia, legalità e onore della Costituzione. I toni della recente manifestazione del PD in difesa della Carta calcano proprio la mano su questa apparente nuova spaccatura. Tutto funzionale a nascondere la sostanziale omogeneità dei cosiddetti nuovi barbari rispetto al vecchio corso della politica, espressione di una classe dirigente uscita a pezzi dalle elezioni del 4 marzo. Un’atmosfera che ricorda molto le grida antiberlusconiane del lontano 1994, poi riprodotte nel 2001 e nel 2008 per marcare distanze e differenze, laddove differenze vere non vi erano allora e non vi sono oggi. La tensione divisiva nel paese tra finti populisti e “istituzionalisti” sarà portata artificialmente alle stelle occultando l’unica vera contraddizione effettiva che esiste e che dovrebbe emergere ma non si vuole che emerga: quella tra chi difende lo status quo dei rapporti di forza e chi realmente lo mette in discussione.
5) L’ultima considerazione traccia una speranza. Il quadro politico mostra l’esistenza di uno spazio per un’alternativa forte e coerente. Sebbene le motivazioni di voto siano sempre un tema estremamente difficile da sondare, è innegabile che il voto di massa al Movimento Cinque Stelle e alla Lega sia stato di protesta, non soltanto generica, rabbiosa, razzista e “populista” (come viene dipinto dai guardiani raffinati e colti del blocco di potere dominante). È stata anche una protesta, espressa come poteva esprimersi nel contesto attuale, contro la gestione delle politiche economiche degli ultimi anni, ovvero contro gli effetti drammatici dell’austerità, dei tagli alla spesa sociale, della disoccupazione di massa, del precariato e della sempre più evidente subordinazione del sistema economico italiano ai ricatti del grande capitale internazionale, che a suon di spread stabilisce il destino delle nostre vite. Non vedere questo grido di protesta popolare e attribuire la crescita esponenziale dei finti partiti populisti a rozzezza e razzismo sarebbe un errore gravissimo per chi davvero ha a cuore una futura trasformazione dei rapporti di forza in senso emancipatorio.
La domanda sociale di cambiamento sostanziale è stata enorme, forte e chiara. Il suo incanalamento drammaticamente sbagliato. Non certo per insipienza delle masse, ma per l’inesistenza di una forza politica di peso a difesa degli interessi dei subalterni in grado di assorbire tale domanda; di una forza politica capace di entrare in contatto, tramite un chiaro linguaggio popolare e visibili forme di rappresentanza oggettiva, con i bisogni effettivi di protezione e riscatto della stragrande maggioranza della popolazione, che in forme varie rappresenta oggi la classe subalterna. Da questa sfida occorre ripartire nel nuovo, ma essenzialmente immutato, contesto politico. La lotta all’austerità deve essere il perno attorno al quale sviluppare la vera alternativa allo stato attuale delle cose. Tocca a noi riappropriarcene. Tocca a noi evitare che l’opposizione alla macelleria sociale imposta da Bruxelles e dai mercati diventi il terreno fertile per forze politiche nazionaliste e reazionarie, che, alla prova dei fatti, si sono fatte docilmente ricondurre all’ovile.
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