E così, alla fine, si ritorna al punto di partenza, con la giostra della politique politicienne
che in poche ore ha fatto l’intero giro per tornare dov’era partita,
impossibilitata a trovare una via d’uscita da quel “bipopulismo
imperfetto” fotografato dalle elezioni del 4 marzo. Ogni attore in
commedia potrà finalmente ricominciare a recitare la sua parte laddove
l’aveva lasciata: la Lega e i Cinque Stelle potranno tornare a
promettere mari e monti facendo i conti senza l’oste di Bruxelles, il Pd
potrà riprendere la faida interna che dovrebbe portare alla nascita del
nuovo partito à la Macron, Forza Italia potrà continuare
lentamente ad estinguersi nella speranza che Berlusconi prima o poi
resusciti e la sinistra-sinistra potrà ricominciare ad inveire sui
social contro “il governo più di destra dalla caduta del regime
fascista” cercando così di esorcizzare la sua scomparsa dalla società
reale.
E’ difficile dire cosa abbia determinato la ricomposizione di un
quadro istituzionale che solo poche ore fa sembrava avviato a nuove
elezioni, ed altrettanto difficile capire chi, con la composizione
dell’esecutivo che verrà ufficializzato oggi, abbia portato a casa se
non “il risultato”, quantomeno un risultato. Almeno a prima vista
Mattarella sembrerebbe riuscito a non perdere completamente la faccia,
ottenendo almeno lo spostamento di Savona dal ministero dell’Economia a
quello dei rapporti con l’Ue, ma la sensazione però è che si tratta di
un palliativo. Se si fosse andati davvero alle elezioni il presidente
della Repubblica (per conto dell’Unione Europea) si sarebbe trovato con
ogni probabilità di fronte ad uno scenario ancora peggiore di quello
attuale, con il polo populista che avrebbe fatto il pieno di voti
sull’onda del veto della Ue ed il fronte europeista ancora più a pezzi
di come si ritrova oggi. Anche le due formazioni populiste, che pure
ottengono le tanto vituperate (e agognate) poltrone, non ne escono
alla grande. Di Maio si è dimostrato nei fatti un novello “sor
tentenna”, passando dall’impeachment alla collaborazione con dei tempi
degni di un pilota di Formula Uno. Salvini invece, che pure di fronte
alla pochezza del dirimpettaio ha giganteggiato, aveva fatto di Savona
all’economia la sua linea del Piave e adesso spaccia per una vittoria la
nomina di Tria facendo finta di ignorare la sconfitta, simbolica più
che concreta, subita. C’è di più, però.
L’indisponibilità allo scontro con l’Unione Europea dimostrata in
questo frangente tanto dai Cinque Stelle quanto dalla Lega la dice lunga
sulla effettiva praticabilità dei programmi sociali contenuti nel loro
contratto. L’abolizione della Legge Fornero e del Jobs Act, così come il
reddito di cittadinanza resteranno nel cassetto dei sogni senza
copertura economica. Più probabile (e facile) che nella ricerca del
consenso entrambi i partiti si concentrino invece su quegli elementi di
“populismo penale” che fanno parte del loro DNA. Del resto, come ha
notato cinicamente qualcuno, i diritti sociali hanno un costo mentre i
diritti umani no. Sia quando li concedi (riconoscimento delle coppie di
fatto, matrimoni gay, ecc.) sia, come in questo caso, quando ti riproponi
di calpestarli (xenofobia, respingimenti, ecc.). Dal canto loro sia il
Pd che Forza Italia, se pure hanno scampato il “pericolo elezioni”,
hanno anche dimostrato plasticamente la marginalità in cui sono
attualmente confinate e da cui, almeno nel breve periodo, difficilmente
riusciranno ad uscire.
Quello a cui abbiamo assistito è stato dunque soltanto un inutile
balletto? Pensiamo di no. Come scrivevamo qualche giorno fa la linea di
faglia tra i diritti sociali e l’architettura immodificabile dell’Unione
Europea è emersa, forse per la prima volta, in tutta la sua centralità
agli occhi di milioni di lavoratori. La questione è uscita dai convegni
per addetti ai lavori ed è entrata nei bar e nei mercati. Ed è diventato
finalmente chiaro che esiste un recinto economico-politico che non solo
non si può scavalcare, ma a cui non ci si deve neppure avvicinare. E
che la democrazia rappresentativa vale solo se si promette di non
avvicinarsi a quel limite. Una lezione importante, ci sembra di poter
dire, più per le masse dei subalterni che per quella sinistra
unioneuropeista destinata a rimanere incastrata nel falso binomio
sovranismo/europeismo.
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