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29/05/2019

I risultati elettorali non modificano i rapporti dentro la “governance europea”, anzi

Ad ogni scadenza elettorale vorrebbero costringerci a ragionare sullo Tsunami politico del momento prospettando scenari che al prossimo, ravvicinato Tsunami cambieranno completamente. Questo approccio giornalistico-allarmistico alle scadenze elettorali è l’ennesima prova della relatività della politica che ben poco decide soprattutto a livello nazionale ed europeo. Prima Renzi, poi il M5S, oggi Salvini e domani chissà chi cambiano il clima politico del paese come il clima meteorologico di queste settimane.

Questo ci rinvia direttamente alla natura delle elezioni europee ed alla stessa Unione Europea, dove le elezioni sono solo un momento di manipolazione politica dei popoli i quali rimangono del tutto subalterni ai centri effettivi di potere. E che il meccanismo funzioni lo stanno a dimostrare i risultati elettorali. Infatti dopo mesi e mesi di allarmi e di al lupo al lupo, questi hanno consegnato un esito saldamente nelle mani degli europeisti. Se si fa la conta delle forze presenti nel nuovo parlamento europeo, emerge che le forze europeiste sono esattamente i 2/3 e senza considerare la sinistra del GUE. Insomma la realtà che abbiamo davanti è esattamente l’opposto della narrazione che è stata fatta, addirittura nei paesi dell’Est Europa dove i nazionalisti cominciano a scricchiolare, come in Slovacchia, o si adeguano come Orban in Ungheria legato saldamente alla Germania e al Partito Popolare europeo.

D’altra parte la vera Unione Europea la stanno costruendo in altro e ben più solido modo. Non sappiamo se è un caso la contemporaneità con le elezioni, ma l’annuncio dell’unificazione possibile tra FCA e Renault dimostra che l’UE si sta attrezzando nella competizione internazionale costruendo i propri “campioni” che rappresenteranno un nuovo livello anche nella riorganizzazione sociale e produttiva dentro l’area continentale, con rischi di chiusura di molti impianti produttivi. Quella che emerge, almeno come tendenza, è la costruzione di monopoli continentali competitivi. Fa un po’ ridere Borghi, economista della Lega, quando pensa di poter condizionare i percorsi delle multinazionali, magari facendo acquistare allo Stato Italiano un pacchetto azionario per garantirsi la sua quota “sovranista” come la Francia con la Renault. A Borghi sfugge che la FCA non è più da tempo una impresa nazionale e che il governo attuale non ha grandi amici nella Commissione Europea.

Per venire nel nostro “ridotto” nazionale non c‘è dubbio che questo giro lo ha vinto la Lega che ha riportato a casa un bel po’ di voti persi dalla destra negli anni scorsi, inclusi quei pochi delle organizzazioni fasciste ora ulteriormente ridimensionate allo 0,5% nonostante la pubblicità gratuita fatta nei mesi scorsi dai mass media. Un dato interessante di questa tornata elettorale per le europee è la “controtendenza” dell’elettorato italiano alla partecipazione al voto rispetto agli altri paesi. L’astensione e’ stata massiccia tanto da ridimensionare la quota di voti ottenuti sugli aventi diritto al voto anche per le forze vincenti.

La Lega però dovrà fare i conti con la situazione economica, con il debito pubblico e con lo scontro con la Commissione europea che a questo punto non farà certo sconti all’attuale governo. Poiché i sovranisti hanno vinto solo in Italia, (la Le Pen è a solo un punto percentuale da Macron), una sconfitta di Salvini può assumere un valore politico simbolico nel confronto istituzionale e finanziario europeo. Inoltre avere Berlusconi nel Parlamento Europeo non è affatto detto che sia un beneficio per Salvini, anzi sembra che si stia facendo un altro nemico in casa. Una logica che, come noto, non ha portato molta fortuna a Matteo Renzi.

Ma se la Lega ha una sua strategia, la stessa cosa non si può dire dell’altro alleato di governo il quale sta ora di fronte ad una crisi strategica difficilmente recuperabile. Sul M5S torna utile ribadire l’analisi di classe, rimossa quasi sempre nelle analisi politiche, in quanto esso è espressione di un settore della piccola borghesia frustrata la quale, per quanto possa essere estesa ed arrabbiata per le proprie condizioni, non ha capacità egemoniche e non può andare oltre la mera reazione a condizioni sociali sempre più difficili.

Certo il voto ottenuto dal M5S nel 2018 era rappresentativo di settori sociali più ampi, in particolare di quelli popolari, ma la direzione di quel movimento è strutturalmente incapace di aprire prospettive alternative. Il M5S inevitabilmente soccombe di fronte ad una progettualità della Lega che rappresenta settori produttivi, che è il più vecchio e strutturato partito italiano, che tenta anche di costruire alleanze più ampie, dalla Confindustria alle filiere produttive europee. Non va dimenticato che gran parte della piccola e media impresa del Nord ha rapporti strettissimi con le industrie tedesche.

Non sappiamo se questo ribaltamento dei rapporti di forza nella maggioranza di governo porterà o meno ad una crisi, su questo lasciamo agitarsi la stampa mainstream, certo è che i prossimi mesi saranno alquanto agitati a causa di una difficoltà a decidere su eventuali nuove elezioni, soprattutto a causa della manovra economica che questo stesso governo si è impegnato a fare a fine anno. Finirà la farsa sugli immigrati e su tutto il resto ed emergeranno di nuovo i dati materiali e sociali che imprimeranno una nuova svolta ed un nuovo quadro politico, perché l’impotenza della politica di fronte alla sacralità dei “principi” capitalisti producono esattamente, fisiologicamente questa instabilità.

Volgendo lo sguardo a sinistra certamente il PD sembra aver bloccato la sua crisi, ha ricostruito un rapporto con i sindacati corporativi e l’associazionismo collaterale, ma da qui ad avere una nuova prospettiva vincente ce ne passa e l’unica carta ora da giocare sono le difficoltà dell’avversario. Zingaretti allo stato è solo un volto nuovo dopo la tragedia renziana che ha travolto quel partito.

Se il PD ha bloccato la crisi, certamente la stessa cosa non si può dire per la sinistra e i risultati della lista “La Sinistra” stanno li a dimostrarlo. Su questo occorre essere molto chiari: è finita una storia, è inutile riproporre cartelli elettorali, liste e alleanze elettorali, senza capire che il nodo di fondo è che non esiste più un “capitale” politico a disposizione ne della “sinistra” né della “falce e martello” come ha dimostrato anche il PC di Rizzo.

La disgregazione sociale è talmente profonda che le strade della ricomposizione sono complicate, lunghe e il dato meramente elettorale non è assolutamente sufficiente, anche se necessario, a produrre una sintesi che è di posizionamento politico ma è anche di organizzazione politica e sociale, in forme inedite ma concrete.

Non siamo di fronte ad una contingenza ma una mutazione profonda della società che rimette in discussione anche le forme delle organizzazioni di classe, le quali non possono più immaginarsi a somiglianza di quelle del ‘900. La contraddizione di classe c’è, si approfondisce e si politicizza, ma ancora bisogna capire in quale modo avviare un processo di ricomposizione adeguato alle sfide che ci si parano di fronte, a cominciare da quella dell’Unione Europea che si manifesta chiaramente come soggetto imperialista in competizione sullo scenario globale. In questo senso la Rete dei Comunisti intende continuare a dare il proprio contributo teorico, politico e di riorganizzazione del conflitto politico e sociale in tutto il paese per superare e provare a ribaltare gli attuali rapporti di forza tra le classi.

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