I segnali si moltiplicano, e sono tutti trailer di un film molto semplice: Salvini ha stufato.
Soprattutto nella città che ospita la Scala – e che sfortunatamente gli ha dato i natali – si dovrebbe capire meglio che, a forza di alzare i toni, si rischia “la stecca”. Un pessimo cantante, una volta steccato, prova a mantenere quel trend, cadendo di nuovo e più di frequente nello stesso errore. Il pubblico, a quel punto si alza e fischia, invitandolo ad andarsene...
Quello che sta accompagnando Salvini verso l’uscita è ormai un coro. Interclassista, se vogliamo dire così. Unisce la gente dei quartieri, soprattutto del centro-sud ma sempre più spesso anche nel Nord, i “democratici dei quartieri alti” (preoccupati da un’escalation retorica che temono possa tramutarsi in conflitto fisico), e ormai esplicitamente anche quelle gerarchie ecclesiastiche che aveva puntato a conquistare con l’ultrareazionario meeting di Verona.
In poche ore, il ministro dell’interno che recitava la parte del “decisionista” ha dovuto incassare devastanti mazzate da tutte le parti; costringendolo a rivelare la sua abissale ignoranza sul funzionamento delle istituzioni e sulle dinamiche della realtà.
Da giorni “il capitano” fascioleghista andava ripetendo che la nave Sea Watch, con a bordo alcuni naufraghi salvati in mare, non sarebbe mai entrata in un porto italiano. Poi, nella serata di domenica, mentre stava ripetendo davanti al servizievole Gilletti le sue giaculatorie celoduriste, ha dovuto assistere in diretta tv allo sbarco proprio di quei migranti nel porto di Licata.
A conferma della carattere unicamente mediatico del suo esercizio del ruolo di ministro, Salvini è sbottato senza neanche riflettere un attimo o cercare di avere informazioni adeguate: “Sono pronto a denunciare per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina chiunque sia disponibile a far sbarcare gli immigrati irregolari su una nave fuorilegge. Questo vale anche per organi dello Stato: se questo procuratore autorizza lo sbarco, io vado fino in fondo”.
Il procuratore in questione è Luigi Patronaggio, della Procura di Agrigento (lo stesso che aveva ipotizzato il “sequestro di persona” nel caso della nave militare Diciotti), che aveva disposto il sequestro probatorio della nave mettendo contemporaneamente sotto indagine il comandante per “violazione dell’articolo 12 del testo unico dell’Immigrazione” e “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.
Non proprio un atto “amichevole” nei confronti della Ong, ma comunque una decisione che – per essere eseguita – rendeva necessario l’approdo in porto e lo sbarco delle persone presenti a bordo.
Ma di questo a Salvini non frega nulla, consapevole che il “suo elettorato” non si interroga più sul perché degli avvenimenti, ma guarda solo all’aspetto superficiale garantito dalle immagini: se gli immigrati sbarcano, Salvini non ha alcun potere reale ed ha perso.
Di qui l’attacco bilioso contro il magistrato, la ridicola minaccia di “denuncia” (ma davvero c’è un ministro che non conosce la differenza tra i propri desideri-ordini e il codice penale?), il farfugliamento propagandistico sparso sopra la sua rivelata impotenza.
E’ passata una decina di giorni da quando scrivevamo che, in fondo, il tonitruante Matteo era solo nu guappo ‘e cartone (simile solo nella postura a quelli in carne, ossa e armi alla cintura). Oggi possiamo aggiungere che su quel cartone, come su tutta l’Italia, è caduta davvero tanta pioggia. Con le conseguenze che si vedono...
Ma anche così, lo scasso istituzionale provocato da questi trogloditi del potere ha dimensioni sistemiche. O meglio: rivela che il sistema istituzionale descritto dalla Costituzione non tiene più. E che si va a tentoni...
Dover sentire l’ex procuratore di Torino Armando Spataro – ex specialista dell’“antiterrorismo”, erede del “teorema Caselli” per quanto riguarda la repressione “fantasiosa” del movimento No Tav, avversario perenne di ogni movimento di contestazione, ecc – chiamare alla manifestazione di “piazza in onore dei magistrati di Agrigento” dà la misura della scomparsa di relazioni certe – ossia basate su Costituzione e leggi – tra i poteri dello Stato.
A questo va aggiunto il Vaticano, ormai quotidiano protagonista – dal cardinale Elemosiere all’ultimo dei parroci – di scudisciate che portano via la patina cristianoide dei fascioleghisti e sacche di consenso elettorale.
“Il rosario brandito da Salvini e i fischi della folla a papa Francesco, ecco il sovranismo feticista”, titolava domenica Famiglia Cristiana (il settimanale più venduto in Italia, direttamente nelle parrocchie) sulla manifestazione di Milano dove “è andato in scena l’ennesimo esempio di strumentalizzazione religiosa per giustificare la violazione sistematica nel nostro Paese dei diritti umani. Mentre il capopolo della Lega esibiva il Vangelo un’altra nave carica di vite umane veniva respinta e le Nazioni Unite ci condannavano per il decreto sicurezza”.
Acido e definitivo il post Facebook di padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica (la rivista dei gesuiti, l’ordine da cui viene Bergoglio): “Rosari e crocifissi sono usati come segni dal valore politico, ma in maniera inversa rispetto al passato: se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare, adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio”.
Ancora più autorevole e “indicativo” il commento del segretario di stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, a margine della Festa dei Popoli a San Giovanni in Laterano: “Io credo che la politica partitica divida, Dio invece è di tutti. Invocare Dio per se stessi è sempre molto pericoloso”.
E quindi solo una madonna ti potrà salvare...
P.s. A scanso di equivoci: questa è una fotografia della situazione, la descrizione di parte del campo di battaglia, non una “preferenza” per qualcuno dei mostruosi soggetti in campo.
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