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25/05/2019

Quando due piloti americani uccisero 20 persone in Italia senza che nessuno pagasse mai

Nell’inverno del 1998 l’Italia del governo Prodi è impegnata con gli alleati della Nato a combattere nei Balcani il presidente serbo Slobodan Milošević, per fermare la guerra e le violenze che vanno avanti da quasi dieci anni. Il tre febbraio, nella base statunitense di Aviano, il capitano dei Marines Richard J. Ashby ultima il briefing di missione con il suo ufficiale di rotta Joseph Schweizer e i due addetti ai sistemi di guerra elettronica William Raney e Chandler Seagraves. I quattro voleranno con un Grumman EA-6B Prowler, un velivolo del 1971 progettato per la guerra elettronica. Lo scopo della missione è addestrare i piloti a volare sotto i radar nemici e a manovrare su terreni montuosi, simili a quelli della Bosnia-Erzegovina. Si tratta di un teatro operativo pericoloso in cui basta un errore per essere abbattuti. Alle 14.35 il Prowler con sigla EZ-01 riceve l’autorizzazione al decollo.

Nella Val di Fiemme gli alberghi registrano il tutto esaurito per le vacanze sulla neve. A Cavalese, una località sciistica delle Dolomiti, chi arriva a valle deve risalire in quota con una funivia panoramica che in certi punti si trova sospesa a 180 metri dal suolo. Già nel 1976, il cedimento di una fune aveva fatto precipitare una cabina, uccidendo 42 persone.

Alle 15.07 il Prowler è sul lago di Garda e cabra per non rischiare di incontrare deltaplani o paracadute. Le regole di volo dicono che non deve mai scendere sotto i 610 metri di quota. Procede veloce, a quasi 900 chilometri orari, ed entra nella Val di Fiemme dopo una virata. La cabina con gli sciatori è chiusa e partita, con a bordo tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un olandese. Pochi minuti dopo gli abitanti di Cavalese alzano gli occhi verso il cielo, dopo aver sentito il rombo di un motore e un boato fortissimo, tanto che chiamano i vigili del fuoco pensando a un disastro aereo. I soccorsi sono rapidi e veloci e trovano quello che resta della cabina precipitata per cento metri e dei suoi 20 occupanti, dopo che il cavo di acciaio di sei centimetri di diametro che la reggeva è stato tranciato di netto.

Per l’impatto ogni allarme a bordo del Prowler americano si è messo a suonare: perdono fluido idraulico, l’avionica è ingestibile tanto che la cloche si muove “come se dieci serpenti a sonagli ci si muovessero dentro”. L’ala destra è squarciata “come se qualcuno ci avesse passato una motosega”, il timone posteriore è danneggiato e il serbatoio del carburante perde. I quattro membri dell’equipaggio rientrano alla base con le mani già pronte sulla manopola di espulsione e a dieci chilometri danno il mayday e chiedono l’autorizzazione per un atterraggio di emergenza. Appena l’aereo si ferma sulla pista i due addetti ai sistemi di guerra elettronica si allontanano di corsa dalla carlinga, come da procedura, mentre pilota e ufficiale restano al loro posto.

Il mattino dopo, l’incidente è sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, con grande imbarazzo degli Stati Uniti, visto che le vittime sono tutte originarie di Paesi alleati della Nato. La procura di Trento ha la prontezza di mettere il Prowler sotto sequestro dopo aver verificato che un frammento del cavo della funivia è incastrato nella fusoliera dell’aereo. I Carabinieri piantonano il veicolo per evitare l’inquinamento delle prove. Nonostante le richieste della procura, i quattro marine non possono essere processati in Italia dato che la la convenzione di Londra del 1951 prevede che “Le autorità militari dello Stato d’origine dei militari Nato hanno il diritto di esercitare sul territorio dello Stato di soggiorno pieni poteri di giurisdizione penale”.

Le indagini da parte degli Stati Uniti vengono affidate a Mark Fallon, detective federale dell’Ncis (Naval Criminal Investigation Service) mentre la stampa italiana sembra fare di tutto per scatenare l’indignazione popolare. Quando arriva a Cavalese, Fallon trova una situazione sul punto di esplodere. Gli italiani protestano, insultano lui e la sua squadra di investigatori, gli spaccano le macchine o gliele incendiano. Fallon interroga i piloti, che dichiarano di aver rispettato il piano di volo e scaricano la responsabilità dell’incidente sull’altimetro del Prowler, che era guasto, dicono. Fellon lo recupera assieme al Mdr (Mission Data Recorder) e fa perquisire la carlinga, trovandoci una telecamera amatoriale e il pezzo dell’involucro di una videocassetta. Ne chiede conto ai piloti, che dicono di non saperne niente.

Le indagini di Fallon incontrano resistenza e reticenza. Il Corpo dei Marines lo informa che saranno loro a stendere il rapporto finale sull’incidente, nonostante le sue indagini. Fellon trova il nastro dentro la videocassetta vuoto, mentre l’Mdr dimostra che durante il volo il capitano Ashby e il suo navigatore sono scesi sotto i 305 metri più di una volta, superando spesso il limite di velocità imposto dall’Aeronautica militare italiana nello spazio aereo nazionale. Scopre che quello era l’ultimo volo da ricognitore di Ashby, dopo il quale sarebbe stato promosso come pilota di caccia intercettatori da combattimento. Insomma, quello era un volo dove c’era molto da celebrare. Gli esami tossicologici dei piloti sono negativi, ma Fallon gira la Val di Fiemme ripercorrendo a terra la rotta seguita dal Prowler, bussa alle porte e con un interprete cerca testimoni. Tutti ricordano bene l’aereo che volava basso “come non ne avevano mai visti altri prima”. Quando torna alla base, gli esperti gli consegnano l’altimetro accusato di essere difettoso e gli dicono che secondo loro funziona perfettamente.

Mark Fallon riferisce i risultati delle indagini e la reazione dello Stato maggiore statunitense è sollevare dalle indagini l’Ncis per passarle al Corpo dei Marines, che avvia un’inchiesta interna e riservata. Nonostante le scuse pubbliche del presidente Bill Clinton e il suo impegno per far emergere la verità sull’accaduto, le relazioni con i partner Nato sono ai minimi storici. Il presidente del Consiglio Romano Prodi ventila l’ipotesi di negare agli americani la possibilità di usare le basi italiane per le operazioni di guerra nella penisola balcanica. Per l’intera Nato avrebbe effetti disastrosi dato che l’Italia è da anni la portaerei strategica per i Balcani. Alla conclusione delle indagini, i Marines decidono di rimpatriare in tutta fretta i quattro membri dell’equipaggio per processarli davanti alla corte marziale, la cui giuria è composta per metà da aviatori esperti.

Rischiano 20 anni di galera per ogni vittima, ossia a vita. Il problema è che i Marines hanno per i loro piloti un investimento enorme su specialità e requisiti, e l’incidente rischia di far franare tutta la narrativa attorno al corpo militare. Loro raccontano che a bordo c’era aria di festa, si scherzava e si festeggiava tanto che Ashby si era videoregistrato mentre volava a bassa quota, poco prima dell’incidente. Lui stesso dichiarerà poi alla giuria di aver bruciato il nastro della registrazione, terrorizzato dall’idea che sulla Cnn apparisse il video di lui che ride e scherza affiancato alle immagini delle lamiere e delle foto delle vittime.

Dopo 14 giorni di processo la giuria si ritira per deliberare, e in sette ore arriva il verdetto: “Si tratta di un incidente che era destinato ad avvenire, senza responsabilità alcuna dell’equipaggio”. I due imputati vengono assolti. Il capitano Ashby è condannato a sei mesi di detenzione per aver distrutto le prove, diventati poi quattro e mezzo per buona condotta; I Paesi di origine delle vittime chiedono risarcimenti per 40 milioni di dollari, che gli Stati Uniti si rifiutano inizialmente di pagare. Saranno la provincia autonoma di Trento e lo Stato italiano a farsene carico, per poi ricevere un rimborso del 75% del totale da Washington diverso tempo dopo, come previsto dagli accordi bilaterali.

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