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29/05/2019

Germania - Le elezioni europee e le sfide politiche a venire

Le elezioni politiche europee in Germania, confermano i trend delle ultime elezioni regionali in Baviera e in Assia tenutesi l’ottobre scorso ed il quadro emerso con le ultime elezioni politiche di settembre 2017.

Questo passaggio elettorale si è rivelato sostanzialmente irrilevante per la tenuta della coalizione politica che governa la Germania – la Groko (Grosse Koalition) di CDU/CSU da una parte e SPD dall’altra – ma potrebbe essere messa seriamente in discussione con i prossimi appuntamenti elettorali regionali nei più popolosi Land orientali che erano parte della Repubblica Democratica Tedesca, oltre che dall’andamento non certo brillante dell’economia e dalle difficoltà del settore bancario.

La Germania sarà chiamata a fare scelte impegnative per far compiere un reale “balzo in avanti” alla UE come competitor globale e polo imperialista a tutti gli effetti, anche dal punto di vista militare, approfondendo tra l’altro quella deflazione salariale che ne ha caratterizzato lo sviluppo ed approfondito la polarizzazione sociale.

È inimmaginabile pensare che un sistema politico già fragile, vista la tenuta della Groko, non si debba adattare alle esigenze che si profilano, magari appunto “ri-cooptando” i Verdi nella stanza dei bottoni, come in passato con Joshka Fischer, estendendo poi alla UE questa governance “ecologica”.

Le parole dell’editoriale di Le Monde, il giorno dopo le elezioni, dedicato all’exploit continentale delle formazioni ecologiste sembra andare in questa direzione quando afferma:

“Un’ecologia inclusiva e non punitiva, suscettibile di integrare le preoccupazioni delle categorie professionali che si sentono minacciate dai militanti più radicali, s’inscrive perfettamente nell’identità europea”.

Tradotto in termini chiari: il sistema non si tocca, al massimo gli possiamo dare una verniciatina di verde...

Verrebbe da dire, con Brecht, che il peggiore nemico dell’elefante selvaggio è quello addomesticato, considerando la contrapposizione netta che si sta prefigurando tra l’orizzonte di una transizione ecologica che sia anche socialmente “radicale” delle classi subalterne e l’ipotesi del “green deal” patrocinato dal capitalismo verde e dai suoi fiancheggiatori.

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Il primo settembre si terranno le elezioni in Sassonia (attualmente governata dalla CDU) e nel Brandeburgo, e circa due mesi dopo in Turingia, entrambe governate dall’SPD.

Sono territori in cui appare chiaramente una delle più importanti fratture che attraversa la Germania tra Est e Ovest, ed in cui ai mancati risultati dell’unificazione – leggi anschluss (annessione) – della RDT alla RFT si sommano alcune peculiarità, come il decremento demografico e il flusso di “immigrazione” dovuto alla scelta di collocare in quei territori i richiedenti asilo regolarizzati, in un contesto di impoverimento complessivo e marginalizzazione della popolazione “autoctona”.

In Sassonia la popolazione straniera è aumentata del 71% dal 2010 al 2017 (attestandosi attorno poco al di sotto 200.000 presenze); in Brandeburgo, nello stesso periodo, del 72%; mentre in Turingia del 105%, superando le 100.000 presenze, e le previsioni demografiche fino al 2035 danno un calo di circa il 10% per tutte queste regioni.

In queste regioni, l’AfD anche alle elezioni europee si è confermata prima forza politica, mentre ha ottenuto complessivamente un 11% che la pone come quarta forza politica, poco al di sotto dei social-democratici.

Il partito di estrema destra aveva ottenuto 7 deputati nelle scorse elezioni europee del 2014, e ne ottiene 12 in questa tornata elettorale.
Già nelle elezioni politiche del 2017 l’Afd aveva registrato un exploit in queste regioni ottenendo il 27% in Sassonia, il 20,3% nel Brandeburgo, e il 22,7% in Turingia.

Da ricordare che la somma dei voti dell’estrema destra in queste regioni, insieme a Die Linke, era superiore a quella dei partiti che formeranno la Grande Coalizione, suggellando ancora maggiormente questa frattura.

Una possibile co-governo tra conservatori e Afd in Sassonia, provocherebbe una crisi politica a Berlino, vedendo con ogni probabilità l’uscita della SPD dal governo e quindi, verosimilmente, nuove elezioni e magari, come ipotizzato, sopra un’altra configurazione della governance tedesca...

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Vediamo ora i risultati delle elezioni europee.

La CDU-CSU, che aveva come testa di lista il capogruppo dei Popolari Europei, raggiunge il 28,9%.

Manfred Weber, 46enne bavarese dell’ala “moderata” della più conservatrice CSU, che ha svolto la sua carriera politica interamente dentro il parlamento europeo dal 2004 in avanti, è il candidato – fatto proprio anche da Angela Merkel – a capo della commissione europea.

Un ruolo che i tedeschi vogliono tenere per sé, rigettando altre ipotesi di candidati. Ma su questo nome c’è stato immediatamente il veto di Macron...

I verdi ottengono il 20,5% diventando il secondo partito tedesco, prima della SPD che totalizza 15,8% di voti; dopo l’AFD, Die Linke ottiene il 5,5%, cioè solo 0,1% in più dei liberali del FDL.

I verdi raddoppiano i voti presi nella precedente elezione europea, e sono decisi a far valere il loro peso nella nomina del Capo della Commissione, come ha chiaramente detto Skeller, alzando la posta in gioco.

La formazione ecologista ha sottratto 1,2 milioni di voti ai social-democratici, ben 600.000 a Die Linke, 1 milione alla CDU/CSU, mezzo milione ai liberali e addirittura 100.00 all’AfD.

Il loro risultato dimostra la “liquidità” del voto anche in Germania, in un quadro che – dalla loro nascita negli anni '80 – li vede come un elemento rilevante del quadro politico tedesco.

I Grünen catalizzano il voto giovanile – un terzo dei voti della fascia più giovane (18/24) è andata a loro – ed ottengono score assolutamente rilevanti nei grandi centri urbani come Berlino, Amburgo e Monaco.

È un trend registrato anche nelle precedenti elezioni regionali in Baviera ed Assia, implementato dal “successo” dei FFF in Germania, da una efficace propaganda digitale di diversi youtuber che hanno chiamato a boicottare i partiti della Groko, e dall’affermarsi del “cambiamento climatico” come principale preoccupazione dei tedeschi, dopo la “sicurezza” e l’immigrazione.

Nelle regioni occidentali i “verdi” sono visti come gli antagonisti dell’Afd, per la loro politica di integrazione nei confronti dei migranti ed un atteggiamento non ostile nei confronti della UE.

Questa formazione, che via via ha annacquato le proprie spinte iniziali, è divenuta una organizzazione sempre più “centrista” e “compatibilista”, alfiere di quella green economy che declina la transizione ecologica secondo le esigenze di una parte delle oligarchie, che vedono una possibilità di rilancio dell’economia “nel primo mondo” senza mettere in discussione – nel suo assetto di fondo – né i rapporti sociali, né quelli “centro/periferia”.

Uno degli ultimi passaggi in questa direzione è stato il Congresso di Hannover, a gennaio dello scorso anno, in cui alla testa della formazione sono stati posti due “realos” – cioè due figure centriste, come Robert Habeck e Annalena Baerbock – invece che, come in precedenza, un “realos” e un “fundis”, ovvero un esponente dell’ala più radicale, vicina alle posizioni originarie.

I Verdi sono stati coinvolti nelle trattative successive alle ultime elezioni politiche – poi naufragate – per creare una coalizione “Jamaica” insieme agli attuali esponenti della Groko e ai liberali.

Bisogna ricordare che fu Joschka Fischer, figura storica dei verdi proveniente dalla sinistra extra-parlamentare, che fece entrare per la prima volta gli ecologisti in un governo regionale in Assia nel 1985, iniziando “la lunga marcia dentro le istituzioni” della formazione.

Sempre in questa regione si sperimentò per la prima volta una coalizione cosiddetta “Jamaica” (CDU, Verdi, e liberali del FDP) nel 2005.

Una regione ricca, l’Assia, che comprende il centro finanziario di Francoforte e che, se fosse uno stato indipendente, peserebbe quanto l’intera Danimarca.

I Verdi, hanno poi hanno co-governato a livello federale dal 1998 al 2005 con la SPD di G. Shröder, portando pesanti responsabilità politiche per ciò che è successo durante quei sette anni (tra cui l’avallo all’aggressione NATO alla Serbia).

Una tendenza centrista di lungo periodo che li porta nel 2011 ad espugnare il bastione conservatore del Baden-Wurtenberg con Winfried Kretschmann e quindi a diventare “centrali” nei giochi politici, considerando che il Land è la più importante regione industriale della Germania.

Il “pragmatismo” è la cifra politica della formazione, risolutamente pro-UE, con un approccio “integrazionista” rispetto all’immigrazione e una caratterizzazione ecologista che raccoglie consensi grazie allo svilupparsi di una sempre maggiore coscienza ambientale, soprattutto tra le fasce più giovanili istruite ed urbanizzate, generalmente inclini ad una inversione di tendenza rispetto alle riforme del mondo del lavoro come la Hartz IV, di cui i Verdi chiedono l’abolizione.

La creazioni di un consiglio economico all’interno del partito permette incontri regolari con i rappresentanti delle imprese tedesche, secondo lo spirito delle parole del deputato verde Kerstin Andrae: “Noi abbiamo imparato che l’economia non è solo una parte del problema, ma anche una parte della soluzione”.

Con la decisione del definitivo abbandono del nucleare tedesco, presa dopo la catastrofe di Fukushima del 2011, la questione energetica si è posta prepotentemente all’attenzione del dibattito pubblico.

Negli ultimi anni ci sono stati dossier “ecologici” particolarmente rilevanti.

L’affare “Dieselgate” ha dimostrato come le case automobilistiche, a cominciare della Volkswagen, abbiano costantemente mentito sulla capacità inquinante delle proprie vetture, come mostra peraltro l’apertura di numerosi procedimenti giudiziari. Collegato a questo vi è stata una maggiore percezione del livello di inquinamento registrato in una serie di grandi agglomerati urbani tedeschi a causa del traffico, provocata proprio dalle auto a propulsione diesel, che ha portato alla chiusura della circolazione nelle grandi città. L’establishment automobilistico e i suoi referenti politici nella Groko si oppongono ovviamente a soluzioni “radicali” per abbattere l’inquinamento atmosferico.

L’equazione tra patologie provocate dall’inquinamento, universalmente percepite, e interessi delle case automobilistiche difesi dalla GroKo non depone certo a favore del governo.

Il voto tedesco di un anno e mezzo fa, favorevole in sede di Unione Europea al rinnovo per altri cinque anni della possibilità di utilizzare il glifosato – un pesticida prodotto dalla Monsanto/Bayer – che sempre più studi collegano allo sviluppo di forme tumorali e che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato nel 2015 come “probabile cancerogeno per gli esseri umani”, ha sollevato uno scandalo politico.

Il “Roundup” è il pesticida di gran lunga più usato in agricoltura, per la cui messa al bando Greenpeace aveva raccolto un milione e trecentomila firme; si è scoperto poi che la commissione tedesca che doveva giudicare sulla sua possibile applicazione ha “copiato”, nella sua relazione scientifica, gran parte della documentazione “rassicurante” prodotta dalla stessa multinazionale. La quale peraltro continua ad essere condannata in più casi per la sua responsabilità ed ha sollevato ultimamente un nuovo scandalo perché “schedava” scientificamente chi le si opponeva, denunciando pubblicamente la cancerogenicità del proprio prodotto.

A riguardo, non essendo stato raggiunto un accordo tra le forze della GroKo durante l’inverno scorso, il ministro dell’agricoltura – il bavarese Christian Schmidt – invece di astenersi in sede comunitaria, come prevedeva la prassi, ha votato a favore della sua possibilità di utilizzazione, mostrando quantomeno la “scarsa sensibilità” dell’allora costituenda Grande Coalizione per un tema così delicato.

Un terzo elemento importante è l’abbandono del combustibile fossile all’interno della prevista “transizione ecologica”. Un tema che è stato riportato all’attenzione generale dallo sgombero violento di metà settembre scorso – un attivista perse la vita – di coloro che si stanno opponendo all’espansione della miniera a cielo aperto della RWE, con la distruzione della millenaria foresta di Hambach.

Questa importante lotta ambientale ha catalizzato l’opinione di una importante fetta della popolazione tedesca e una forte disapprovazione per quelle forze, tra cui l’SPD, che con maggiore convinzione contrastano la fine dello sfruttamento minerario e il passaggio alla produzione di energia alternativa.

La determinazione e l’organizzazione degli attivisti, l’ultima settimana di ottobre, ha permesso una invasione in massa dell’area su cui dovrebbe estendersi la miniera, mettendo in scacco le forze dell’ordine.

La Germania, come questo fine gennaio auspicato dalla commissione per l’uscita del carbone, dovrebbe terminare lo sfruttamento di questo combustibile fossile al più tardi nel 2038, chiudendo le relative centrali di produzione dell’energia elettrica.

Nel 2018, in Germania, l’elettricità prodotta col carbone era pari al 38% del totale, ed il settore impiega decina di migliaia di operatori.

Un piano per tutelare anche l’occupazione prevede però aiuti federali alle regioni interessati per soli 40 milioni di euro!

Questo piano prevede invece un aiuto di 2 miliardi destinato alle società ed ai consumatori colpiti dall’aumento dei costi dell’elettricità, il cui valore preciso sarà deciso nel 2023.

Il governo tedesco prevede che le energie rinnovabili rappresenteranno il 65% della produzione energetica tedesca da qui al 2030.

Appare qui subito chiaro come queste politiche di riconversione ecologica da fonti inquinanti e tutela occupazionale siano appannaggio solo della Germania e non degli altri paesi, a causa dei vincoli posti dalla UE: in questo caso “il modello tedesco”, applicato pedissequamente in tutta una serie di campi, non può valere!

In sintesi, i Verdi sono riusciti a capitalizzare sul fronte delle mancate scelte ambientale i limiti della coalizione CDU-SPD e la disapprovazione per l’orientamento razzista e xenofobo di una parte della Groko, ostaggio dell’ala destra dei conservatori bavaresi che hanno di fatto propri i temi e gli approcci dell’estrema destra rispetto all’immigrazione.

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