di Alberto Negri
Forse non ce ne eravamo accorti ma l’Europa era già sovranista prima che arrivassero sulla scena Salvini, Orbàn o Le Pen: non ha mai avuto una politica estera e di difesa comuni. La Francia ha dato il via alla guerra di Libia nel 2011 consultandosi con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, non con la Germania o l’Italia. Questa decisione, la più grave di tutte, perché si è trattato di andare in guerra, ha reso chiaro che a prevalere erano gli interessi nazionali. L’avventura libica è stato il maggiore disastro per l’Italia dalla seconda guerra mondiale ma anche per l’Unione europea. Tutti hanno capito che un Paese fondatore poteva essere colpito nella sua sfera vitale, nonostante ci fosse l’Unione e che anzi proprio l’Europa poteva affondare un suo stato membro. La politica estera europea è un po’ come l’araba fenice. Ha dei contorni assai vaghi e si esprime soprattutto con mezzi economici, come le sanzioni o attraverso la cooperazione internazionale.
Ma soprattutto si scontra con una mantra falso quanto mai: “l’Europa ha garantito la pace e la sicurezza nel continente per 70 anni”. Al massimo ha garantito la pace tra i Paesi membri dell’Unione ma fino a un certo punto. Sarebbe meglio dire che l’Unione ha limitato, e pure male, le conseguenze delle sanguinose e devastanti guerre in Europa e nel Mediterraneo. I flussi migratori e le tragedie del mare derivati dal caos libico in Italia hanno regalato a sovranisti e populisti l’arma migliore che potessero trovare: le élite tradizionali non erano state in grado di difendere il Paese. E’ la vecchia leva della paura che spinge a votare a destra.
Vediamo allora qual è la realtà e di rifrescarci la memoria. Negli anni Novanta non solo l’Europa non impedisce la guerra in Jugoslavia ma favorisce la disgregazione della Federazione fondata dal Maresciallo Tito. La Germania, insieme al Vaticano, appoggia la secessione della Croazia e inizia un conflitto che in un decennio farà oltre 250 mila morti e più di un milione di profughi.
L’Italia per esempio sulla secessione Jugoslavia aveva idee assai diverse da quelle di una Germania che dopo il crollo del Muro nel 1989 si era appena riunificata. La disgregazione della Jugoslavia è stata la fine dello stato più multi-etnico e multi-religioso d’Europa, un evento drammatico che poi è stato foriero di altre guerre, di altre secessioni e di altri guai.
Durante le stesse guerre della Jugoslavia l’Europa non è stata capace di fermare il conflitto in Bosnia la cui fine è stata dovuta all’intervento degli americani, non degli europei. Più o meno lo stesso discorso vale per la guerra in Kosovo che è stata portata dalla Nato ma che evidenziava l’obiettivo americano di spingersi verso Est e tenere sotto pressione la Russia che aveva dato addio da un pezzo all’Urss e si trovava allora in piena decadenza. Se poi la Russia di Putin ha replicato in Ucraina, Crimea e Siria, lo si deve anche a quegli eventi.
L’Europa non ha garantito nulla e non ha fermato alcun massacro, anzi ha contribuito a crearne altri. Non solo. Va in ordine sparso e davanti o scelte epocali come la pace e la guerra ragiona secondo gli interessi degli stati nazionali.
Prendiamo la guerra all’Iraq del 2003, il conflitto che ha scatenato l’attuale destabilizzazione del Medio Oriente, voluto da americani e britannici sulle false prove che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa. L’Italia per esempio si è unita alla guerra, dove ha subito il massacro di Nassiriya, mentre la Francia di Jacques Chirac ha tenuto a casa le truppe ed era contraria al conflitto.
E veniamo alla Libia e alle cosiddette “primavere arabe” del 2011. La guerra in Libia contro Gheddafi è stata scatenata dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. La Francia ha cominciato i raid su Gheddafi senza neppure farci una telefonata, pur sapendo che il Colonnello era il maggiore alleato dell’Italia nel Mediterraneo.
Parigi ha causato all’Italia la peggiore sconfitta dalla seconda guerra mondiale
Parigi ha causato all’Italia la peggiore sconfitta dalla seconda guerra mondiale. Sei mesi prima dei bombardamenti, il 30 agosto 2010, Gheddafi era stato ricevuto a Roma e aveva firmato accordi su temi economici e della sicurezza per un valore di dozzine di miliardi di euro. Intese, è bene ricordarlo, approvate dal 98% dei nostri parlamentari. Non solo. L’Italia venne costretta un mese dopo a partecipare ai raid. La decisione fu presa dal presidente della repubblica Napolitano sulla scorta di una considerazione pratica e di una politica. I terminali dell’Eni di Mellitah erano stati collocati nella lista dei bersagli della Nato, il presidente della Repubblica voleva tenere l’Italia nell’alveo dell’Alleanza Atlantica e degli Stati Uniti.
Ma il peggio doveva ancora venire. Gli Stati europei, senza una politica comune ma dettata dagli interessi nazionali, hanno determinato la frantumazione della Libia e destabilizzato con la questione dei migranti il quadro politico italiano. Le missioni europee come quella denominata Sophia per frenare il traffico dei migranti non hanno avuto alcun successo e non sono mai state pienamente attuate con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Né tanto meno abbiamo ottenuto, se non in parte, la redistribuzione dei migranti mentre sei Paesi sospendevano gli accordi di Schengen.
C’è dell’altro. L’attuale governo e quelli precedenti si sono fatti prendere in giro con la promessa americana di una “cabina di regia” sulla Libia che nessun Paese europeo e della regione ha mai voluto affidare all’Italia. Così siamo stati presi di sorpresa anche dall’avanzata del generale Haftar. Come ben si vede in Libia non c’è nessuna politica europea e l’Italia ne paga il prezzo con il suo isolamento. A Tripoli abbiamo sostenuto un governo Sarraj appoggiato dalla Turchia e dal Qatar, due stati non europei. E’ chiaro che siamo sbilanciati e ora tentiamo di smarcarci senza troppo successo.
Gli Stati europei, senza una politica comune ma dettata dagli interessi nazionali, hanno determinato la frantumazione della Libia e destabilizzato con la questione dei migranti il quadro politico italiano
Tralascio i casi dell’Ucraina e della Siria, se non per sottolineare che per i profughi siriani la Germania, dopo averne accolto un milione, ha voluto un accordo del valore di sei miliardi di euro con la Turchia per spingere Erdogan a tenersene in casa circa tre milioni. Come si vede la politica estera europea e la sua presunta solidarietà sono a geometria piuttosto variabile, dettata dagli interessi dei due Paesi-guida, Francia e Germania. Nel caso di Brexit però sarà la Francia ad avere i mezzi più incisivi perché resterà l’unico Paese dell’Unione dotata di un arsenale nucleare e con un seggio permanente al Consiglio di sicurezza Onu. Non solo. La Francia, a differenza della Germania, ha diverse missioni militari nel Sahel dove è alleata con gli Usa.
Tutto questo sarà determinante per il futuro e in caso di conflitto tra Usa e Iran. Nonostante gli stati europei aderiscano all’accordo sul nucleare con Teheran del 2015, finiranno per decidere la partecipazione a una guerra in base ai loro interessi nazionali.
Questi interessi sono determinati dall’industria bellica, dai flussi di armi e dagli accordi economici con gli Usa, Israele e le monarchie del Golfo, tutti nemici dell’Iran e anche maggiori clienti dell’export di armamenti, oltre che fornitori di petrolio ed energia.
La stessa Italia potrebbe essere chiamata dagli Usa a concedere le basi nel Sud in caso di conflitto con Teheran. E dove sarà allora la politica estera europea comune? Resterà un pezzo di carta straccia di false intenzioni.
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