di Angelo d’Orsi
Perché il fantasma del fascismo riaffiora così di frequente in
Italia? La prima risposta, persino ovvia, è che il “Bel paese” è stato
la culla di quel movimento, e che non ha mai fatto fino in fondo i conti
con esso. La seconda è che, come amava ripetere il mio maestro Bobbio,
“l’Italia è un Paese di destra”, e che il fascismo – lo ha di recente
ricordato Emilio Gentile, oggi il massimo studioso del fascismo italiano
– non può ritornare, in quanto dall’Italia non si è mai allontanato. Ma
sono risposte insufficienti. Gentile si chiede nell’ultimo suo libello
“Chi è fascista”, autointervistandosi; Michela Murgia ci ha regalato un
“Fascistometro”, per i giochi di società della borghesia riflessiva... Si è
riaffacciata recentemente la suggestiva, ma antistorica categoria di
Eco sul “fascismo eterno”. Le vicende del Salone del libro di Torino,
nella totale assurdità che le hanno caratterizzato, hanno avuto almeno
il merito di accendere i riflettori appunto sul tema: esiste un pericolo
fascista oggi? E ha senso riproporre la bandiera dell’antifascismo?
Secondo lo storico Alberto De Bernardi si tratta di due ferrivecchi da
lasciare nel dimenticatoio: tesi sbagliata e pericolosa, come ho cercato
di argomentare in un mio articolo su “MicroMega”.
A mio parere si può dare una risposta affermativa a entrambe le domande.
E l’accoglienza trionfale di Domenico Lucano alla Sapienza è una prova
dell’esistenza dell’antifascismo e della sua necessità, e che, pur se
siamo davvero un Paese di destra, c’è un’Italia che non solo non si
piega, ma che reagisce. Così come la risposta corale all’incredibile
atto di sospensione della insegnante di Palermo, i cui alunni hanno osato costruire un video
con un serrato magari ingenuo ma efficace confronto tra l’Italia
fascista e l’Italia salviniana, è incoraggiante. Le diffuse
contestazioni ai comizi del tonitruante ministro, insofferente “vice”,
ma aspirante capopopolo, un po’ dappertutto nelle piazze italiane, sono
ottimi segnali.
Per contro, abbiamo visto e udito le minacce di un gruppo
dichiaratamente fascista come Forza Nuova, alla Sapienza. Abbiamo visto e
udito gli energumeni di Casa Pound sempre nella Capitale fomentare la
folla e direttamente aggredire e insultare la famiglia rom legittima
assegnataria di un alloggio popolare. Abbiamo visto e udito,
soprattutto, lo stesso ministro che non sembra avere alcuna conoscenza
della grammatica istituzionale, insultare i suoi contestatori con
espressioni da specialista della rissa ai mercati rionali. Abbiamo visto
le forze dell’ordine aggredire vigili del fuoco che contestavano il
ministro dimentico dei suoi doveri istituzionali, tutto preso nella sua
frenesia elettoralistica di capo partito. Abbiamo visto le forze
dell’ordine (che espressione paradossale!) entrare in un appartamento
per togliere uno striscione di contestazione allo stesso ministro,
arrestare, illegalmente, l’autore dello stesso striscione, un anziano
militante, e portarlo (illegalmente) in questura, ammanettato, e
trattenerlo (illegalmente) per tre ore. E via seguitando.
L’elenco, insomma, si allunga giorno dopo giorno, ora dopo ora. Non
stiamo assistendo semplicemente a un nuovo capitolo della déroute della
democrazia, iniziata da molti decenni, ormai, e che è stata descritta
mirabilmente da Colin Crouch quasi vent’anni fa, come “post-democrazia”.
E dopo i guasti prodotti, in Italia, da Berlusconi, Renzi ha portato
molto avanti questo processo di destrutturazione del sistema
democratico, lasciandone le forme, ma corrompendole via via, e
soprattutto svuotandone la sostanza. L’Esecutivo ha sopraffatto il
Legislativo, il Parlamento conta meno di un talk show televisivo, la
Magistratura è sotto attacco, al fine di limitarne l’indipendenza o
addirittura eliminarla mettendola sotto il controllo dell’Esecutivo, i
mezzi di informazione sono sottoposti a pressione crescente, e i
sindacati vengono esclusi dal loro ruolo di mediazione sociale, la
scuola e l’università, la sanità, vengono privatizzate, aziendalizzate e
gerarchizzate, mentre se ne trasformano le strutture interne, nel segno
della cancellazione dell’autonomia. Si tratta di un processo che
investe tutte le democrazie liberali, anche se in Italia esso ha avuto
un’accelerazione assai forte, a partire dall’esperienza berlusconiana,
ma nel nostro Paese, appunto, abbiamo oggi qualcosa di più, e qualcosa
di diverso. Un vero e proprio ritorno di segnali del fascismo
“classico”, nelle sue forme, nelle sue parole d’ordine, nelle modalità
di fare politica. In tal senso, non v’è dubbio che Matteo Salvini sia
l’interprete perfetto di questa “cover” del fascismo storico, come il
libro intervista “dello scandalo” curato dalla Giannini testimonia
mirabilmente, impietosamente, fin nell’aspetto, nei modi, nelle
pratiche, nel lessico.
Il fascismo si riaffaccia con l’uso disinvolto della violenza,
variamente erogata, e distribuita tra agenti istituzionali (polizia e
carabinieri) e squadre esterne (Casa Pound, Forza Nuova... i “fascisti
del terzo millennio”, come li presenta in un bel libro Elia Rosati)
verso avversari o mancati sostenitori, secondo la esiziale logica
binaria dell’amico/nemico (o sei al mio fianco e mi sostieni o sei sul
fronte opposto e cerco di distruggerti) ma anche con l’impiego di un
lessico eversivo (minacce, volgarità, ingiurie) che è già violenza. Un
lessico che fa breccia e si diffonde a macchia d’olio. L’idea di
concedere a quel popolo di cui ci si proclama interpreti autentici di
accedere alle armi da fuoco e dare ad esso la facoltà di servirsene, con
una ampiezza giuridica senza l’eguale nella nostra storia, estranea ai
regimi politici fondati sul diritto moderno, è certamente una idea
vincente, fino a quando non si scoprirà che i suoi risultati saranno
devastanti.
Il ricorso al “popolo”, dichiarandosene interpreti e unici soggetti
legittimati a coglierne i bisogni e rappresentarli politicamente, è un
dato in effetti decisivo del fascismo classico, da Mussolini a Hitler;
un ricorso che tende a contrapporre l’entità “popolo” alle procedure,
alle istanze, alle pratiche della democrazia, cogliendone certo la
crisi, e facendola precipitare, verso una soluzione perfettamente
antidemocratica fondata non già sul popolo, ma sul “capo” che dovrà
rendere conto, per così dire, soltanto, appunto, al “popolo”. Che non è
più e non può essere la massa cosciente e responsabile, bensì la folla
anonima, manipolabile, quella che sceglie di salvare Barabba invece di
Gesù, sulla base di pulsioni volgari, elementari, estranee ad ogni
raziocinio e senso di giustizia.
Come il fascismo storico, anche la linea impressa dal nuovo duce in
pectore mira a realizzare un regime di polizia, con un ampliamento
delle forme di controllo, prevenzione e repressione. E come il fascismo
storico oggi si tende a creare bersagli sui quali catalizzare l’odio
sociale, distraendo la cittadinanza dai problemi reali, e indirizzandone
le paure e le idiosincrasie verso quei bersagli. I migranti, in modo
indiscriminato, sono i nuovi ebrei, i nuovi neri, i nuovi slavi, verso
cui si possono da un lato scatenare gli odi collettivi, ma grazie ai
quali, dall’altro lato, si possono ottenere, apparentemente, “successi”
politici.
Migranti e avversari politici e culturali sono equiparati: essi sono
tutti stranieri in casa, ipso facto trasformati in nemici. Il fascismo
oggi come ieri, tende sì a creare unità solidale nella nazione, ma una
nazione intesa come comunità di fedeli, in senso politico-militare e
persino in senso religioso: il fascismo fu un partito-milizia e diede
vita a un regime fondato su una vera e propria religione politica. Il
duce era la divinità onnipotente, con quella M che giganteggiava su
ponti e viadotti, su cinte murarie e opere di arredo urbano. Il
segretario del partito era il primo officiante di quella religione, e i
gerarchi i suoi sacerdoti, che dovevano irreggimentare, condurre,
eventualmente correggere, con il manganello e l’olio di ricino, i
riottosi. Gli irreducibili venivano esclusi: galera, o confino.
Il video dei ragazzi della scuola palermitana con un azzeccato
confronto tra passato e presente, al di là delle sue ingenuità, e delle
semplificazioni, ci invita a riflettere sui rischi di un presente che
tanti studiosi (di storia, filosofia, scienza politica, diritto...)
sembrano non cogliere. E che invece faremmo bene a tenere presente,
pronti a reagire, fin da subito, per impedire che domani sia tardi.
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