di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Ieri la Bahri Yanbu, il
cargo saudita in viaggio verso le coste italiane, era data dagli
strumenti di geolocalizzazione a tre giorni e mezzo di navigazione da
Genova: attracco previsto per lunedì mattina alle 8. Previsto ma
non assicurato: cresce la mobilitazione per impedire l’arrivo della
nave, 225 metri di lunghezza, nota trasportatrice di armi grazie alla
possibilità di effettuare carichi Roll-on/roll-off (rampe per l’imbarco,
si evita la gru) ed heavy-lift speciali (con sollevamento).
Di proprietà della più grande compagnia di trasporti
marittimi saudita, la Bahri, nata nel 1978 con decreto regio saudita e
oggi semi-statale (il 22% è controllato dal Public Investment
Fund, il 20% dalla compagnia petrolifera Aramco e il resto da Tadawul,
la borsa valori di Riyadh), Bahri Yanbu è partita dal porto statunitense
di Corpus Christi a inizio aprile, si è fermata al terminal militare
Usa di Sunny Point (tra i più grandi al mondo) in North Carolina e poi
si è messa in viaggio verso l’Europa. Prima tappa, il 4 maggio,
Anversa in Belgio: qui, denunciano attivisti belgi, avrebbe caricato a
bordo sei container di munizioni.
Quattro giorni dopo sarebbe dovuta attraccare a Le Havre,
presumibilmente per caricare otto cannoni semoventi Caesar da 155 mm
della Nexter. Ma non ha fatto i conti con i gruppi francesi per i
diritti umani: gli operai del porto hanno rifiutato di far
attraccare la nave (costretta a lanciare l’ancòra a 25 km dalla costa) e
l’associazione Acat ha presentato ricorso legale.
Il giudice lo ha bocciato, ma ormai la Bahri Yanbu aveva già ripreso
il mare verso il porto spagnolo di Santander, dove ha provocato una
seconda mobilitazione, quella degli attivisti spagnoli. Ora è diretta al porto di Genova, penultima destinazione prima della meta finale, la saudita Gedda, sul Mar Rosso.
Immediata la levata di scudi delle associazioni che si
battono contro la vendita di armi alla petromonarchia, dal 2015
impegnata in una feroce offensiva militare contro lo Yemen.
Amnesty International, il Comitato per la riconversione Rwm, Finanza
Etica, Movimento dei Focolari, Oxfam, Rete della Pace, Rete Disarmo e
Save the Children avvertono del pericolo: «È reale e preoccupante la
possibilità – scrivono – che anche a Genova possano essere caricate armi
e munizionamento militare. Negli ultimi anni è stato accertato da
numerosi osservatori indipendenti l’utilizzo contro la popolazione
civile yemenita di bombe prodotte dalla Rwm Italia».
Il riferimento è alla filiale sarda, a Domusnovas, della compagnia
tedesca e alle prove dell’uso delle bombe lì prodotte in raid che hanno
ucciso civili yemeniti. Esportazioni in violazione della legge italiana
185 del 1990 contro la vendita di armi a paesi in guerra o responsabili
di abusi dei diritti umani.
«Cosa trasporta quella nave – ci dice Angelo Cremone di
Sardegna Pulita – dovrebbe dircelo la dogana: cosa transita per un porto
italiano non può essere un segreto. Il sospetto è forte: dalla Sardegna le armi partono via nave».
«Non sappiamo con cosa la Bahri Yanbu sia partita dagli Stati Uniti
ma certamente non è partita vuota – ci spiega Riccardo Noury, di Amnesty
Italia – In Belgio ha caricato otto container, è stato fatto
pubblicamente. Nel documento che accompagna la navigazione, la
tappa di Genova era già prevista: se entra in porto è probabile che
carichi qualcosa. Una qualche autorità italiana dovrebbe salire a bordo per ispezionare la nave».
Al momento quelle autorità restano vaghe: «Stiamo facendo
approfondimenti – ha detto ieri la prefetta di Genova, Fiamma Spena – È
prematuro ora fare valutazioni. Dobbiamo vedere quali sono le finalità
della nave, se viene per una sosta tecnica o per altri motivi».
«Dal punto di vista tecnico nautico se la nave ha i requisiti per
entrare in porto, come già avvenuto in passato, avrà l’autorizzazione»,
il commento di Nicola Carlone, comandante della Guarda costiera ligure.
In serata è arrivata la comunicazione della prefettura: «Non
ci sono rilievi che possono impedire l’attracco del cargo Bahri Yanbu e a
Genova caricherà solo materiale civile e non militare».
Un dubbio lo solleva l’ex presidente della Regione Sardegna Mauro
Piri su Fb: «Così come successo 10 giorni fa la nave saudita dichiarava
di andare a Genova ma poi in realtà aveva effettuato il carico più
importante a Cagliari. Tra meno di 48 ore dovrebbe arrivare in rada a
Cagliari per caricare bombe Rwm».
Intanto in Yemen la guerra continua. Ieri i caccia sauditi hanno
colpito ripetutamente la capitale Sana’a: «Sotto le macerie abbiamo
trovato bambini, donne, uomini. Il raid aereo li ha colpiti mentre
dormivano». Ahmed al-Shamiri, residente nel quartiere di al-Raqas a
Sana’a, all’Afp racconta i momenti subito successivi a uno degli 11
bombardamenti sauditi.
Il bilancio è 52 feriti e 6 morti, tutti civili, membri
della stessa famiglia. Quattro erano bambini. «Non ci sono target
militari qui», denuncia la giornalista yemenita Afrah Nasser.
«Il numero dei morti salirà – avverte un altro reporter, Nasser Arrabyee
– I medici stanno ricevendo molti feriti».
Riyadh dà una «giustificazione»: rappresaglia per l’attacco
al principale oleodotto saudita (collega l’est all’ovest, con una
portata di cinque milioni di barili di petrolio al giorno) che i ribelli
Houthi hanno compiuto – e rivendicato – martedì con due droni. Ieri il vice ministro della Difesa saudita, Khalid bin Salman, accusava l’Iran di esserne il mandante.
Ma Sana’a non è stato il solo target: nelle stesse ore i caccia dei
Saud hanno realizzato altri otto raid nelle porzioni di territorio
controllate dal movimento Ansar Allah, braccio politico degli Houthi. Il
tutto a meno di 24 ore dal ritiro dei ribelli dalla città portuale di
Hodeidah e dagli scali di Saleef e Ras Isa, sul Mar Rosso. Ad
annunciarlo, mercoledì, è stato il comandante della missione Onu,
Michael Lollesgaard, che venerdì scorso aveva reso nota la decisione
unilaterale del movimento.
Un atto di buona volontà per facilitare il dialogo con il governo
filo-saudita: la consegna della gestione dei porti alla Guardia
costiera, con l’Onu a far da supervisore. Il governo, però, non
apprezza: la Guardia costiera, dice, è troppo vicina agli Houthi. Più
felici i 600mila residenti di Hodeidah, da mesi teatro della battaglia:
ora sperano in una tregua vera.
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