Negli ultimi 4-5 anni, il numero ufficiale di disoccupati in Russia sembra subire poche variazioni, aggirandosi attorno al milione di persone, vale a dire, secondo le stime governative, circa l’1% della “popolazione economicamente attiva”, cui vanno aggiunti coloro che, per decisione delle direzioni aziendali, sono momentaneamente inattivi, oppure occupati parzialmente, oppure “messi in ferie”.
All’apparenza, è questa una situazione non particolarmente drammatica – se non per i diretti interessati – rispetto a quanto divulgato nelle ultime ore dal Rosstat (Servizio federale per le statistiche), secondo cui una buona metà della popolazione russa, con gli attuali livelli di reddito, sarebbe in grado di permettersi appena il “lusso” di mangiare e vestirsi, dovendo rinunciare a qualsiasi bene durevole, come frigorifero, lavatrice o altri oggetti di uso domestico. La percentuale esatta di persone che si trovano in simile situazione sarebbe del 48%, che sale al 57% per i pensionati e al 59% per le giovani famiglie. Secondo l’agenzia Romir, il 24% della popolazione starebbe facendo economie anche sul cibo.
Ancora il Rosstat rileva che il 15% delle famiglie lamenta un reddito sufficiente solo a nutrirsi, mentre acquisto di vestiario o pagamento di bollette costituisce già un grosso problema. Già un anno fa, la stessa Romir riportava come da tempo continuasse a diminuire il potere d’acquisto della popolazione e, a fronte della riduzione complessiva di spesa, crescesse la quota destinata agli alimenti. Il costante aumento di prezzi e tariffe, osservava allora ROTFront, “costringe a spendere somme sempre maggiori per le necessità di base e, dall’altro, a tagliare tutte le altre spese; così che il valore assoluto delle spese diminuisce, mentre cresce la quota per le merci di prima necessità: tale tendenza è un sicuro sintomo del costante impoverimento della popolazione”.
Secondo Kommersant (il Sole 24 ore russo), tra il 2014 e il 2018 è scesa dal 60% al 47% la percentuale di russi che si considerano appartenenti alla “classe media”; in base all’indagine condotta da “Sberbank CIB”, nella sola Mosca sarebbe cresciuta dal 27% al 39% la percentuale di quanti si considerano “classe inferiore”. Rosstat documenta come oltre un terzo delle famiglie russe non possa permettersi di avere paia di scarpe diverse in base alla stagione.
E ciò che appare più cinico in questa situazione, osserva ora ROTFront, è il fatto che dal governo si rifiuti l’introduzione di una tassazione progressiva, o di una qualunque tassa sui beni di lusso, mentre le maggiori compagnie private non pagano tasse al bilancio federale, quale “risarcimento” per le sanzioni occidentali.
Non a caso, anche un portale quale Svobodnaja Pressa, non certo imputabile di “simpatie estremiste”, titolava nei giorni scorsi che “gli oligarchi al potere si tengono stretti coi denti il sistema di tassazione per loro più vantaggioso e non vogliono nemmeno sentir parlare di tassazione progressiva”. Si parla soltanto di possibile esenzione dall’imposta sul reddito per coloro che guadagnano meno di 13.000 rubli (meno di 200 dollari al cambio attuale) e il governo, chiosa il portale “non si vergogna nemmeno di ammettere che si tratti di uno stipendio molto diffuso”. Secondo l’attuale Codice del lavoro, il padrone non può imporre trattenute su salari inferiori al minimo di sussistenza, calcolato oggi a 11.300 rubli; ciononostante, detratta l’IRPEF, da quell’importo rimangono appena 9.800 rubli, cioè meno di quel minimo.
E se il partito presidenziale “Russia Unita”, dicendosi preoccupato per il girovita di molti anziani, consiglia loro di “fare un po’ di fame” e aumentare l’attività fisica per migliorare la salute, dall’opposizione gli si fa notare che il ventre prominente di molte persone in età da pensione, o già pensionate, dipende non dal troppo cibo, ma dalla cattiva qualità dei prodotti che sono costrette ad acquistare, non potendosi permettere quelli di prima scelta. E il numero di tali anziani è destinato a crescere, con la comparsa di un enorme numero di disoccupati e pre-pensionati non più necessari sul mercato del lavoro.
E, appunto, la situazione è ulteriormente aggravata dall’innalzamento dell’età pensionistica (da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 per le donne; inizialmente si parlava di 62 anni per le donne) che, secondo gli analisti del RANKh-GS (Accademia Presidenziale di Economia e Pubblica Amministrazione) inciderà ancor più sui livelli di povertà. Solo una previsione di crescita economica intorno al 3% verso il 2024, associata a un aumento dei salari del 35% e delle pensioni del 25% (ma il grosso degli economisti non condivide tale ottimismo), potrebbe ridurre il livello di povertà dall’attuale 13% a un 11,9% intorno al 2028.
Proprio la questione dell’innalzamento dell’età pensionistica è quella che, da un anno a questa parte, ha segnato il divario tra società e potere. Le più recenti indagini demoscopiche dell’ufficiale VTsIOM fotografano come il livello di fiducia nei confronti di Vladimir Putin abbia oggi raggiunto il livello più basso dal 2006 (31,7%); e anche l’azione del Presidente come figura istituzionale è oggi approvata dal 65,8% degli intervistati (ma, secondo il politologo Viktor Alksnis, le cifre reali sono anche inferiori), contro l’80-85% di un anno fa. Lo spartiacque era stato, nell’agosto 2018, il suo annuncio della definitiva decisione sulla riforma pensionistica, dopo che per alcuni anni aveva assicurato che, con lui Presidente, non ci sarebbe stato alcun cambiamento. Relativamente al livello di fiducia, il secondo posto va al Ministro della difesa Sergej Šojgù (14,8%), seguito dal Ministro degli esteri Sergej Lavròv (13%) e un 7% “di consolazione” va al Primo ministro Dmitrij Medvedev.
Va ancor peggio in alcune regioni: secondo i sondaggi, solo il 36% sarebbe oggi disposto a votare per Putin nella regione di Magadan e il 48% in Russia complessivamente. Alle presidenziali di un anno fa, osserva ancora Svobodnaja Pressa, molti russi avevano votato per Putin in base al principio del “che non venga di peggio!”: pur non approvando la politica del Governo, si sperava che almeno il Presidente potesse invertire la tendenza dei “ministri liberali” e, agli occhi della maggioranza, Putin appariva come “un autentico patriota e uno statista che difendeva gli interessi della Russia, almeno sul piano internazionale”. Oggi, anche nella sfera mondiale, non ci sarebbe più quel consenso registrato, ad esempio, nel 2014, all’epoca della Crimea.
Un quadro dunque a dir poco plumbeo per la società russa. Ovviamente, non per tutti, come d’obbligo per un sistema che in alcuni ambienti è oggi d’uso definire di “passaggio a un nuovo socialismo”. Secondo le solite classifiche di Forbes, il più ricco miliardario russo, Leonid Mikhelson, presidente del consiglio d’amministrazione di “Novatek” (gas, petrolio, chimica), sarebbe in grado di permettersi qualcosina in più di un pranzo o un paio di scarpe, essendo accreditato di un patrimonio ufficiale per il 2019 di 24 miliardi di dollari. E i primi dieci miliardari russi – i vari Lisin, Alekperov, Timčenko, Fridman, Usmanov, Abramovič, ecc. – con interessi principalmente nei settori energetici, metallurgici, finanziari, vanterebbero un patrimonio complessivo di circa 190 miliardi di dollari.
E’ per loro che il Governo russo è “aggrappato coi denti” all’attuale sistema di tassazione, dato che, come ricordava già tempo fa il direttore del Centro-studi sulla società post-industriale, Vladislav Inozemtsev, la flat tax, così di moda anche fuori della Russia (!) “è stata la più importante trovata di Putin sin dal suo primo mandato e nessuno la eliminerà finché Putin vive”.
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