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29/05/2019

L’Italia e i diktat europei. The show must go on

Inutile addentrarsi nel vortice delle previsioni sulla tenuta dell’attuale governo, oramai chiaramente a trazione leghista, (tutti gli scenari sono potenzialmente aperti) più interessante è invece riflettere sulla rapidità con al quale la realtà si ripropone e si appresta a spazzare via la propaganda.

Nemmeno il tempo di archiviare la pratica del voto europeo, che i conti pubblici italiani sono tornati sotto la lente della Commissione europea: una prima lettera è in arrivo per il prossimo 5 giugno.

Il tema dell’Unione europea e della vera natura della sua architettura politica, giuridica ed economica, al netto delle consuete battutine pressoché eluso durante la campagna elettorale, ritorna così prepotentemente sulla scena politica nazionale.

Oggetto del contendere il mancato rispetto da parte del nostro Paese delle regole di bilancio che spalancherebbe le porte alla letterina delle istituzioni europee prodromica alla richiesta di misure aggiuntive volte a garantire il rispetto del Patto di stabilità e, nel caso di mancata ottemperanza, all’avvio della procedura di infrazione.

In particolare, secondo Bruxelles, lo scostamento finale tra il 2018 e il 2019 ammonterebbe allo 0,7% (circa 11 miliardi) rispetto agli obiettivi Ue, a fronte di una richiesta di riduzione del deficit strutturale di 0,6% avanzata a maggio scorso dalla Commissione e di una promessa di taglio dello 0,3% fatta dall’Italia.

Secondo quanto riportato da Bloomberg, il Commissario agli Affari economici Moscovici avrebbe spiegato di non avere una particolare preferenza per il ricorso alle sanzioni, a fronte di uno Stato che non rispetta le regole di bilancio Ue. Tuttavia, per il commissario Ue “una cosa dev’essere chiara: se un Paese, ad un certo punto, è totalmente fuori dalle regole, non compatibile con le regole, le sanzioni ci sono”. In generale “sono principalmente dissuasive, ma possono essere anche persuasive. Cerchiamo di evitarlo”.

In altre parole: vi abbiamo fatto parlare, vi abbiamo fatto persino votare ma il tempo delle chiacchiere è scaduto perché quello che dovete fare è deciso già in partenza a maggior ragione, è il caso di aggiungere, considerato il sostanziale ridimensionamento delle velleità del cosiddetto fronte sovranista su scala europea.

Ritornano in mente le parole dell’allora Ministro delle Finanze tedesco Schauble il quale dopo il famoso OXI ricordò candidamente al popolo greco che un referendum e in generale le elezioni, non potevano certo cambiare il corso delle decisioni assunte dall’élite europeista.

Che da parte dell’attuale governo ed in particolare del suo azionista di maggioranza non vi sia la benché minima volontà di sfidare davvero e non con le parole l’Unione europea è fuori discussione.

Il punto vero è che sembra di assistere ad un deja-vu.

Riavvolgendo il nastro ricordiamo perfettamente quanto accaduto in prossimità della legge di bilancio 2019: dopo tanto tuonare da parte del governo giallo verde sullo sforamento del 3% del rapporto deficit PIL, la manovra inizialmente presentata si attestò sul 2,4% per poi essere ulteriormente ridimensionata, sotto i colpi dell’UE, attorno al 2,04%.

Allora la grande bagarre mediatica, gli annunci e le dichiarazioni di fuoco contro l’UE approdarono al varo di una manovra perfettamente collocata nel solco del liberismo con il consueto avanzo primario per il bilancio dello Stato. Esattamente come avviene nel nostro paese da 25 anni a questa parte.

Oggi il copione si ripete, Salvini mostra la faccia feroce, addirittura rilanciando sulla flat tax (costo 30 miliardi), mentre tocca agli sherpa del Tesoro l’improbo compito di rassicurare Bruxelles.

Ma se dal lato del governo sembra di assistere ad un film già visto, lo stesso copione va in onda anche sul fronte dell’opposizione (si fa per dire...), dove il PD rilancia la consueta originale ricetta: per contenere la crescita dello spread e dell’aumento degli interessi sul debito dobbiamo essere credibili agli occhi dei mercati e non urtare la loro suscettibilità.

Nessun pudore nemmeno nel provare a nascondere l’incredibile potere decisionale attribuito ai mercati capaci con i loro movimenti di determinare dinamiche speculative in grado di orientare le politiche economiche, ricattare e piegare intere popolazioni.

The show must go on. Da un lato chi finge di opporsi ai diktat europei, dall’altro chi invoca la sacralità dei mercati.

Le elezioni sono passate, il copione è sempre lo stesso.

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