Un incidente stradale come tanti. Un giovane padre che va al lavoro, in piena notte, come tanti altri panettieri, percorrendo la Casilina su uno scooter. Un’auto che sbanda e va contromano su quella maledetta consolare con una sola corsia per senso di marcia. Lo schianto, la morte, i rilievi della stradale, l’arresto dell’automobilista positivo all’alcool test.
Una tragedia che si ripete ogni giorno in ogni angolo del paese e del mondo. Che dovrebbe far riflettere sul modo di vita e di produzione in cui siamo inscatolati, costretti a muoverci correndo, rubando secondi preziosi su percorsi che sarebbero rischiosi anche in condizioni più rilassate.
Ma se questo accade a Roma, in zona Giardinetti, l’agglomerato di case costruite secondo le regole inesistenti dell’”edilizia spontanea” del dopoguerra, poche centinata di metri più in là della gemella Torre Maura, ecco che qualche sciacallo si mette ad annusare la pista.
Se il giovane padre è italiano anche di nascita e cognome, e magari l’automobilista è albanese, la “pista” viene percorsa a velocità forsennata, quasi come quelle bianche cui gli avvoltoi sono più abituati.
E allora eccoli, gli “eroi” di Casapound e Forza Nuova cercare i famigliari, proporsi come “vendicatori politici” pronti a inscenare una pantomima ad uso e consumo di media e ministro delle interiora.
Ma vanno a sbattere contro una madre che incredibilmente riesce a mantenere il senso delle cose anche di fronte alla più immensa tragedia che possa vivere un genitore: la morte di un figlio.
E Maria Grazia Carta, madre di Davide Tarasco, si vede costretta a dire poche ma sentite parole, nonostante la rabbia furiosa che si va a sommare al dolore.
«CasaPound e Forza Nuova non avranno il mio odio, non strumentalizzeranno la morte di mio figlio. La nazionalità di chi lo ha ucciso non fa alcuna differenza, ma ora alcuni militanti dell’estrema destra vogliono organizzare una fiaccolata nel nome di Davide. Non lo posso permettere, non voglio la loro presenza».
Maria Grazia è un’insegnante precaria, come decine di migliaia di altre. Un cronista attento noterebbe che è diventata nonna, e da diversi anni, senza mai diventare “assunta a tempo indeterminato”, ossia di ruolo. Scherzi fatti da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni, attenti a “tagliare la spesa pubblica” e anche le vite delle persone che lavorano per lo Stato (forze armate e di polizia a parte, ci mancherebbe...).
La sua scuola è a Tor Bella Monaca, dove pure qualche mese fa i fascisti avevano provato una sceneggiata analoga, a cavallo di un altro episodio di cronaca locale, letto sui giornali, venendo cacciati a furor di madri che riconoscevano tra loro diversi degli spacciatori responsabili di aver rovinato i propri figli. Sa come funziona il mondo della periferia, ci vive e la vive, sa con chi arrabbiarsi e chi “comprendere”, lottando per «togliere i ragazzi dalla strada».
Ma questi sciacalli no, non si devono far vedere. E tanto meno devono farsi belli sciacallando sul figlio, lavoratore vero, mica come quegli avanzi dei quartieri alti che fanno le loro “prove d’ardimento giovanili” prima di seguire le carriere professionali dei padri...
«Basta sciacallaggio, basta con queste guerre tra poveri. Stanno solo cercando di usare le disgrazie altrui. Decidiamo noi come commemorare mio figlio, con i nostri ideali, che non sono di odio ma di giustizia».
Una maestra vera sa come dare lezione, anche di vita.
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