Sapere come va il mondo è cosa complicata; capirlo, molto di più. Oltre ai nostri limiti di conoscenza, infatti, c’è anche il peso – enorme – dell’informazione-spazzatura diffusa a piene mani dai media mainstream. Una macchina produttiva che, nel caso dei “nemici dell’Occidente”, è ben oltre il limite della pura propaganda di guerra. Un esempio ormai classico sono le notizie sulla “crudeltà” di Kim Jong Un, leader nordcoreano accusato di cannoneggiare o far sbranare dai cani i propri collaboratori meno efficienti (in queste ore viaggia un aggiornamento che riguarderebbe i “negoziatori con Trump”), salvo poi rimangiarsi tutto a mesi di distanza e senza altrettanto spazio mediatico.
Il risultato è – per tutti – una conoscenza scarsa, monca, intossicata. Inutile.
Se questo risultato deprimente riguardasse solo il “popolino”, si potrebbe dire che il potere ha ottenuto ciò che voleva. Se però questa intossicazione informativa infetta anche i vertici aziendali e politici dell’Occidente allora il problema è serio. Anzi, sistemico.
Di fatto, è quanto rileviamo da questo articolo di David Goldman, pubblicato addirittura su una testata leader dell’anticomunismo come Il Foglio. L’argomento è il progresso tecnologico cinese, in specifico di Huawei, talmente rapido, economico, efficace da spiazzare completamente la concorrenza Usa ed europea.
Il che smentisce il più trito dei luoghi comuni, ripetuti da presunti “esperti” in ogni talk show, secondo cui “i cinesi non inventano nulla, copiano soltanto”. La dimostrazione sta nella tecnologia 5G, sviluppata da Huawei, che può essere utilizzata in un numero sconfinato di applicazioni civili (smartphone, tablet, pc, domotica, ecc), militari e anche di spionaggio (la preoccupazione Usa è chiaramente quella di non avere più il monopolio o la supremazia su questo fronte).
Una tecnologia che non ha più neanche bisogno di sterminate reti infrastrutturali (fibra ottica, rame, ecc) perché può viaggiare con le normali onde radio, e quindi è facilmente utilizzabile in quei paesi grandi o arretrati che non potrebbero mai investire cifre colossali per costruirle.
Il “vantaggio competitivo” cinese, però, ha una spiegazione che il preoccupatissimo Goldman coglie solo in parte, quasi di sfuggita: la Cina programma il proprio sviluppo, al contrario dei “normali” paesi capitalisti occidentali, che dipendono in toto dalle scelte individuali delle aziende private (tranne che nel settore militare e dello spionaggio, classico o social), libere di investire o delocalizzare, di produrre merci strategicamente inutili oppure no.
Tant’è vero che questa capacità di programmazione strategica va a vantaggio non solo dei colossi industriali cinesi, ma di tutta l’immensa catena produttiva di quel paese (lavoratori compresi, vista la crescita salariale inimmaginabile di cui stanno beneficiando da decenni; ma questo Goldman non lo vede...).
Non è una curiosità tra le altre. E’ un’indicazione sul futuro. I sistemi basati sulla totale libertà di impresa non hanno futuro. Quelli basati sull’intreccio – strategicamente voluto e costruito nei decenni – sì.
Non si tratta di un auspicio, tanto meno di una “linea politica” da consigliare agli amici, ma di un processo materiale in atto.
Forse vederlo, e magari farsi due domande, sarebbe utile. Anche “a sinistra”...
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La Cina sta vincendo la guerra tecnologica. E’ ora che l’occidente si svegli
“David Goldman – Il Foglio
“Il tour del campus Huawei durò tre ore”, ha scritto su Tablet Magazine David Goldman, intellettuale americano autore di “How Civilizations Die (and Why Islam Is Dying, Too)”, in una lunga disamina dell’offensiva tecnologica cinese nei paesi in via di sviluppo.
E’ probabilmente il più grande museo tecnologico al mondo, più grande dell’Henry Ford Museum di Dearborn, in Michigan, o del Franklin Institute di Philadelphia, con la differenza che vi sono esposte soltanto cose nuove. Una delle installazioni consiste in una mappa quattro per cinque della città di Guangdong, con decine di migliaia di piccole spie luminose. ‘Ogni luce corrisponde a uno smartphone’ ci disse la guida. ‘Siamo in grado di tracciare la posizione di ogni telefono e correlarla con acquisti online e post sui social media’. E cosa ci fate, con tutte quelle informazioni?, chiesi. ‘Beh, se per esempio voleste aprire un ristorante di Kentucky Fried Chicken, questa mappa vi aiuterebbe a trovare la posizione migliore’ mi disse la guida. Sì, certo, pensai.
Il Dipartimento di sicurezza dello stato sa esattamente dove si trova chiunque, con chi e in qualunque momento. Se i telefoni di due cinesi che pubblicano sui social media qualcosa di critico verso il governo si trovano in prossimità l’uno dell’altro, i computer della sicurezza di stato sveleranno una cospirazione.
Questo fatto era antecedente all’installazione, nelle maggiori città cinesi, di videocamere di sicurezza con dispositivi di riconoscimento facciale, supportati da processori Huawei, a cento metri di distanza gli uni dagli altri. Ora la Cina, per mezzo di Huawei, sta promettendo ai paesi in via di sviluppo di renderli ricchi, tramite i benefici economici offerti dalle nuove tecnologie: la promessa è quella di far loro attraversare la stessa trasformazione vissuta dalla Cina.
Nel 1987, il pil pro capite cinese era di 251 dollari, secondo la Banca mondiale. Nel 2017, era cresciuto a 8.894 dollari, ossia si era moltiplicato trentacinque volte. Niente di simile si è mai verificato in tutta la storia economica, men che meno nel paese più popoloso del mondo.
E non sono stati soltanto i redditi individuali, a essere cresciuti. I treni superveloci cinesi, le super autostrade, i grattacieli, i trasporti di massa urbani e i porti sono mastodontici monumenti alla nuova ricchezza del paese. In confronto, gli aeroporti, le ferrovie e le strade americane sembrano dei relitti del Terzo mondo.
La modernizzazione cinese, però, non è un’enclave della modernità borghese, come in India, bensì un movimento che si estende fin nei capillari della società. Gli imprenditori nei villaggi cinesi si connettono al mercato mondiale tramite i loro cellulari, vendono i loro prodotti e ne acquistano altri su Alibaba, e ottengono finanziamenti dalle piattaforme di microcredito.
I flussi di informazione e di capitali scendono fino alle radici dell’economia e i prodotti rifluiscono sui mercati del mondo. La Cina ora si propone di esportare il suo modello al sud-est asiatico, all’Asia centrale, all’America latina e a parti del Medio Oriente e dell’Africa.
Ciò richiede un patto faustiano: le stesse tecnologie che hanno tirato fuori dalla povertà assoluta miliardi di est asiatici, nonché trasformato l’eterno rischio di far la fame in prosperità e sicurezza economica, possono dare ai regimi dittatoriali strumenti di controllo sociale fino ad ora inimmaginabili.
La buona notizia è che le prospettiva di un salto in avanti nella produttività del mondo sono buone. La cattiva notizia è che, in questa rivoluzione, la Cina sta agendo aggressivamente per posizionarsi come il fornitore dominante di infrastrutture, tecnologie e investimenti.
Al contrario, gli Stati Uniti stanno transitando verso una posizione simile a quella del Brasile, con vantaggi competitivi nei beni agricoli ed energetici, di contro a considerevoli debolezze nella manifattura tecnologica e nelle esportazioni.
La tecnologia 5G, fonte di aspre contese tra Stati Uniti e Cina, è un fattore cruciale. Per il settore militare, è ciò che rende possibile il controllo di enormi quantità di armamenti automatici, come i droni, in grado di surclassare le difese antimissilistiche. Per l’industria, è ciò che consente ai robot e ai dispositivi di controllo di scambiarsi enormi quantità di informazioni a velocità 2.000 volte più elevate di quanto concesso dal 4G Lte. Rende anche il costo di estendere la rete alle case private molto più basso, trasmettendo via onde aeree più dati di quanto non sia possibile fare con la fibra ottica.
I paesi in via di sviluppo saranno in grado di adottare direttamente il 5G a costo molto inferiore, e in tutto questo Huawei è il fornitore più economico e pure il più tecnologicamente avanzato. Spende 20 miliardi di dollari l’anno nel settore ricerca e sviluppo: circa il doppio di quanto spendano i suoi maggiori concorrenti messi insieme, Ericsson in Svezia e Nokia in Finlandia.
Le agenzie d’intelligence americane si preoccupano che la Cina usi la sua dominanza delle reti 5G per rubare informazioni. Ciò è probabilmente vero, anche se, per la posizione dell’America nel mondo, è molto più pericoloso il fatto che i paesi più produttivi del sud globale saranno infrastrutturalmente legati all’economia cinese.
Il guaio è che non riusciamo ad ammettere a noi stessi che la Cina ci sta battendo. Per anni ci siamo raccontati che i cinesi non inventano nulla, ma semplicemente rubano le tecnologie degli altri, e che un sistema economico statalizzato non può competere con le nostre economie di mercato. Ci dimentichiamo che la Russia, durante la Guerra fredda, ci ha fatto sudare parecchio.
Alla fine degli anni Settanta tutte le persone più intelligenti che ci fossero, da Henry Kissinger a Helmut Schmidt, pensavano che la Russia avrebbe vinto la Guerra fredda, e ci volle l’improbabile elezione di un attore di cinema di serie B a presidente degli Stati Uniti per dimostrare che avevano torto. Per giunta, se da un lato la leadership russa era un’accozzaglia di ubriaconi, la classe dirigente cinese viene selezionata dal 10 per cento di chi ottiene i punteggi più alti negli esami di ammissione all’università.
Il Partito comunista cinese ha molti problemi, ma la presenza di persone stupide nei suoi ranghi non è uno di questi. L’occidente da sempre sottostima gli asiatici. E’ ora di finirla.
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