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16/05/2019

USA, 202X... La guerra civile che viene

di Sandro Moiso

Quando i rappresentanti dei vertici economico-finanziari e dei media mainstream iniziano a starnazzare sul pericolo di rivolte e di rimessa in discussione dei principali assunti dell’attuale modo di produzione è il momento di alzare le antenne e aprire bene le orecchie.

Recentemente, con riferimento alle élite che non sono disposte ad apportare cambiamenti radicali all’economia statunitense, Anand Giridharadas, editor-at-large della rivista Time e autore del libro Winners Take All, ha affermato “queste persone, sinceramente, stanno chiedendo, supplicando di essere detronizzate e devono aprire gli occhi riguardo alla fase in cui si trovano”.

Su questo punto concorda con Ray Dalio, che dirige l’hedge fund più grande del mondo (che in base a una stima di Forbes ha un patrimonio di 18,4 miliardi di dollari) e che ha detto, sia durante il programma televisivo “60 Minutes” sia su LinkedIn, che gli attuali livelli di disuguaglianza sono “un’emergenza nazionale”, aggiungendo che “il sogno americano è andato perduto”.

Entrambi, poi, concordano su una cosa: se il capitalismo negli Stati Uniti non subirà una riforma entro un certo periodo, scoppierà qualche tipo di rivolta.

Queste affermazioni, parzialmente inaspettate dalla bocca di chi fa parte della classe dirigente, fanno sì che diventi ancor più significativo il fatto che ormai da diversi anni proprio dagli Stati Uniti provengano opere letterarie che trattano il tema della guerra civile oppure della resistenza armata contro lo Stato e tutti i suoi addentellati economici, politici e militari.

Un autore come Paul Auster, con il suo Man in the Dark (uscito in Italia per Einaudi con il titolo Uomo nel buio), nel 2008 è stato uno dei primi a introdurre il tema all’interno della letteratura non di genere, seguito poi da diversi altri scrittori.

Ma è proprio nel corso dell’ultimo anno che sono uscite due opere, una cinematografica e l’altra a fumetti, che mostrano come il tema sia diventato importantissimo e dirimente all’interno della cultura e dell’immaginario statunitense.

Nel primo caso si tratta di Captive State, un film di fantascienza del 2019, diretto da Rupert Wyatt e interpretato, tra gli altri, da John Goodman e Vera Farmiga, uscito nelle sale italiane con lo stesso titolo. Nel secondo si tratta di Days of Hate – Atto primo di Ales Kot e Danijel Zezelj, opera pubblicata in Italia dalla sempre lodevole, per le scelte intelligenti operate nel settore dei comics, Eris di Torino.1

Nel primo, dichiaratamente ispirato a film quali La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo e L’armata degli eroi di Jean-Pierre Melville, lo spettatore viene catapultato negli Stati Uniti sul finire degli anni Venti del XXI secolo quando, a causa della sottomissione del governo della Casa Bianca agli interessi di carattere estrattivista di invasori alieni provenienti dall’outer space, le condizioni di vita di gran parte della popolazione sono nettamente peggiorate e non resta altro alla maggioranza della stessa che opporsi, armi alla mano e attraverso l’organizzazione in strutture politico-militari clandestine, alle scelte devastanti operate in nome del benessere “collettivo” e della sicurezza nazionale.

Il clima è cupo, l’ambientazione claustrofobica e Chicago la città prescelta per lo svolgersi di tutti i principali avvenimenti narrati. Le basi aliene ricordano i tunnel delle grandi opere, i resistenti bianchi e neri agiscono sapendo che la loro vita non vale più nulla una volta imboccata la strada della lotta. Agiscono in clandestinità senza poterlo, naturalmente, rivelare nemmeno alle persone più care. Vivono come se fossero già morti per poter ridare la vita e la speranza ad una società schiantata dalla miseria e dalla repressione.

La polizia e la guardia nazionale (servi dei servi dei servi) controllano le strade rinviandoci alle immagini delle ultime rivolte americane, al clima di paura dei governi securitari, ai discorsi infingardi sul benessere collettivo di Trump e di tutti gli altri governi dell’Occidente e non solo.

La scelta di resistere appare quindi sempre più disperata e isolata, infarcita di tradimenti e di dolore. Eppure, eppure...

Il fumetto di Kot e Zezelj, già apprezzatissimo il primo (originario della Repubblica Ceca) per il lavoro di sceneggiatura di importanti e innovative serie della Marvel e importantissimo come illustratore il secondo2 (di origini croate) per case editrici di comics quali Vertigo, DC Comics, Dark Horse e Marvel, è però, se possibile, ancora più cupo e spietato.

Nell’America del 2022, qui la data è precisa, in una società ormai dilaniata da un conflitto civile che vede contrapporsi, con gli strumenti del terrore di Stato da un lato e del terrorismo individualista dall’altro, i suprematisti bianchi e i rappresentanti del potere politico e dei culti televisivi ai difensori della diversità di genere e etnia e delle ultime istanze di libertà collettiva e individuale, non vi è più spazio per l’umanità o per l’amore. L’ultimo, almeno, deve essere rimosso e allontanato e trasformato in mero esercizio fisico per il raggiungimento di qualche altro, comunque indicibile, fine.

La resistenza (ma esistono davvero altri nuclei di resistenti oltre a quello formato dai protagonisti?) è organizzata a gruppi di tre. Non si possono conoscere più aderenti, pena il cadere in tradimenti di vasta e devastante portata. Ancora una volta è il film di Jean-Pierre Melville (“Tuo marito è al corrente della tua attività?” “Ovviamente no. E nemmeno i miei figli”) ad essere citato per l’atmosfera generale che pervade la storia.

Ma i riferimenti storico-politici e culturali vanno dagli Stati Uniti dell’era Trump al nazismo di Reinhard Heydrich fino alla regista Kathryn Bigelow, finendo col dare vita ad un mosaico nel quale nulla sembra essere davvero ciò che afferma di essere e in cui l’unica cosa che conta davvero per entrambe le parti in lotta è colpire e distruggere il nemico. Anche attraverso gli affetti famigliari o il simulacro di amore che resta sul fondo dell’animo degli individui.

Sono infatti, come recita il titolo, i giorni dell’odio e sembra non possa esistere altro all’infuori di esso.

L’editore ha annunciato l’uscita dell’atto secondo per l’autunno di quest’anno.

Se leggerete, come vi consiglio, il primo, non potrete certo lasciarvi sfuggire quello successivo.

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