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28/05/2019

Milano - Quando l’entertainment prende posizione

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad uno slittamento continuo nel senso comune del ruolo di capitale de facto del paese, ruolo che è passato da Roma a Milano. Questo slittamento è sicuramente dovuto a una serie di scelte ben precise, scelte operate sia dalle amministrazioni comunali sia dal gotha del capitalismo italiano e internazionale.

Da una parte le amministrazioni comunali milanesi, indipendentemente dal colore politico, hanno implementato e sempre più ampliato politiche di rigenerazione urbana. Politiche che mirano ad una messa a valore della metropoli tramite la gentrificazione di interi quartieri, gentrificazione necessaria alla realizzazione di poli finanziari nonché di poli economici legati all’industria della moda e della comunicazione. Ne sono esempio rispettivamente il quartiere di Porta Nuova e il nascente quartiere di NoLo, ne è esempio folgorante Isola.

Queste politiche hanno permesso appunto lo spostamento di molte aziende da Roma a Milano, basti pensare alla vicenda del colosso dell’informazione Sky. In opposizione a queste politiche abbiamo assistito ad uno svuotamento del ruolo di Roma, frutto anche di scelte di gestione e urbanistiche che hanno impedito di realizzare una messa a valore della metropoli romana che sia redditizia dal punto di vista capitalista.

L’attuale amministrazione Sala, cosi come quella Pisapia, rappresentano l’emblema di questo processo. I due sindaci incarnano inoltre l’idea di una amministrazione capace di coniugare queste scelte con un’attenzione a misure di inclusività, vera o presunta, verso le fasce popolari espulse della città e soprattutto un’attenzione ai diritti civili di nuovi o vecchi milanesi.

I due sindaci sono quindi diventati paladini di quella sinistra liberal incarnata dal Partito Democratico e dal mondo ad esso contiguo, mondo che fa dell’europeismo un valore fondamentale e imprescindibile, culturale prima che politico.

In seguito a queste scelte, Milano è quindi diventata negli ultimi 20 anni la destinazione e la residenza naturale per la cosiddetta “classe creativa”, termine coniato nel 2002 dalla studioso Richard Florida. Termine che ha già mostrato ampiamente la sua fallacia, come ammesso dallo stesso autore, ma che torna qui utile per indicare quella middle class giovanile impiegata nelle industrie di moda e comunicazione. Una classe sempre più in via di impoverimento, spesso demansionata a ruoli e impieghi di scarsa remunerazione, che affolla nel contesto europeo le metropoli che sono anche capitali dei rispettivi paesi. Basti pensare a Londra piuttosto che Berlino o Parigi.

Questo progetto di città e questo sviluppo, che stanno investendo Milano nel suo complesso e che invece mancano a Roma, si riflettono anche in un ambito che sembra a prima vista lontano da queste dinamiche ma che ne è, invece, parte integrante. Quello dell’entertainment musicale, ovvero della offerta musicale che la città nel suo complesso offre tramite locali e festival musicali. Un’offerta musicale che negli ultimi anni è sempre più diventata un tratto distintivo della città. Capace di variare con soluzione di continuità dai grandi eventi di artisti pop, nazionali e internazionali, a concerti di gruppi musicali emergenti o afferenti a quei circuiti musicali dell’indie italiano che vengono ospitati da locali ben noti in città.

Anche in questo caso usiamo impropriamente un termine musicale, che pur fallace e di difficile definizione, ci aiuta a inquadrare meglio la situazione.

Il management di questi locali, pur non essendo mai stato immediatamente identificabile con un partito, ha sempre goduto di ottimi rapporti con le amministrazioni comunali prima citate, in un ottica di reciproca convenienza. E ha fatto di questi locali di riflesso uno specchio culturale delle politiche portate avanti dall’amministrazione comunale.

Questo specchio culturale si è reso palese già in passato in alcune occasioni. Un esempio fra tutte l’evento “Marracash intervista Giuseppe Sala, La città del futuro”, inserito nella Milan music week 2018 e ospitato dal locale Santeria. A ridosso delle elezione europee questo e altri locali hanno scelto direttamente di schierarsi, invitando i propri frequentatori sui social network a scegliere partiti “europeisti e contrari a politiche xenofobe e sessiste”.

Le occasioni sono state almeno tre. Il locale Santeria lo ha fatto tramite un post su facebook, dalla pagine Santeria Paladini 8. Il locale BASE Milano, autodefinito centro culturale, lo ha ugualmente fatto via facebook, indicendo una “call” di illustratori e grafici accomunati dagli stessi valori. Infine l’episodio più eclatante. Il festival musicale Mi Ami, organizzato dalla rivista Rockit e che si terrà come ogni anno al circolo Magnolia, ha annunciato a sorpresa una vera e propria tribuna elettorale della senatrice Bonino nella prima giornata del festival, venerdì 24 Maggio. Annuncio che ha provocato sconcerto in molti degli acquirenti dei biglietti, che tramite le critiche piccate sul post facebook relativo hanno espresso il loro dissenso.

Dissenso che si è espresso sia tramite una precisa critica politica alla figura della senatrice Bonino, ricordano il suo assenso alle politiche militari di aggressione italiane nonché la sua partecipazione a governi promotori di politiche xenofobe, razziste e sessiste, sia tramite una critica all’imposizione di una tribuna elettorale al pubblico fatta ampiamente dopo la vendita dei biglietti.

Il succedersi di queste tribune politiche “improvvisate” non può essere ricollegato semplicemente ai tipici “endorsement” stile americano (Springsteen per Obama), ma appare invece il frutto di una città che si è preoccupata in primo luogo di poter disporre coscientemente di questa macchina di sponsorizzazione ben oleata, rappresentata da locali e festival accondiscendenti.

A ciò va aggiunto anche che molti degli artisti che si prestano ad un uso propagandistico risiedono, ovviamente, nei luoghi della città sopracitati, ultra-gentrificati (Isola, City-life), quartieri una volta popolari (Isola ospitava gli operai che lavoravano alla Pirelli in Bicocca), ora divenuti invece quartieri pop, che diventano il modello in cui promuovere amministrazioni attente al verde, al trasporto pubblico (tram e autobus scintillanti, al contrario invece di qualsiasi circolare periferica), alla sicurezza (con tanto di zone con presidio fisso delle forze dell’ordine), al lavoro (Unicredit, Axa, fiera Milano).

Il tutto si sublima in una rete di Festival, locali, associazioni culturali, le cui concessioni hanno un retroaspetto tutto politico, e assolutamente da preservare (o anche potenziare). Vuoi quindi che in tempi di campagna elettorale non sia il caso di mettere a valore questa rete così ben tessuta in modo da spremere il più possibile le grandi masse che si radunano per eventi puramente artistici e culturali?

Ci guadagna la classe politica, ci guadagnano gli artisti, ci guadagnano i locali e i Festival, è la sagra del profitto.

La nostra critica alla scelte di questi locali, come sempre, muove da due considerazioni fondamentali. La prima considerazione fondamentale, che sorge spontanea in relazione al comizio della senatrice Bonino, è che “non esistono diritti civili senza diritti sociali”. Slogan usato neanche poco tempo fa nella contestazione di Potere al Popolo Milano alla stessa senatrice. E non si può rivendicare una presunta alterità, a livello politico e culturale, e poi invitare personaggi la cui azione politica mira da sempre allo smantellamento di quel complesso sistema di diritti e servizi che fungono da pre-condizione necessaria per raggiungere questa alterità.

La seconda critica, strettamente connessa alla prima, è rivolta all’equazione tra europeismo e contrasto a politiche xenofobe, razziste e sessiste. Si può e si deve essere per noi profondamente antirazzisti, antisessisti e anche europeisti, ma non per questo essere cultori dell’Unione Europea, un concetto ben diverso da quello di Europa. Una Unione Europea che è nata e cresciuta come struttura che strangola i singoli stati nazionali dentro politiche di austerità, impedendo l’adozione di misure economiche che permettono di uscire da una crisi strutturale dando respiro alle classi popolari, che si proclama terra di pace, esportando però guerra e “democrazia” altrove (basti pensare all’esempio della Jugoslavia), che si proclama luogo di accoglienza, ma è incapace di agire per risolvere le cause strutturali delle migrazioni che la investono nonché di prendere misure opportune per impedire l’adozione da parte dei singoli stati di politiche razziste.

Per tutti questi motivi riteniamo che le scelte e le “indicazioni di voto” da parte di questi locali siano sbagliate, perché contribuiscono solo a rafforzare falsi miti con considerazioni e analisi grossolane. E soprattutto rafforzano false contrapposizioni come quella tra gli “euroscettici xenofobi e razzisti” e i “europeisti tolleranti e liberali”, quando la scelta è quella tra due tipi di liberisti diversi la cui azione politica ed economica in entrambi i casi mina alla base i requisti fondamentali della nostra democrazia.

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