La scomparsa di Nanni Balestrini non colpisce, esclusivamente, per la perdita di un compagno – un intellettuale – che seppe narrare l’ascesa dell’operaio massa di Mirafiori che veniva dal Sud, oppure la stagione degli invisibili nel turbine del movimento del ’77 o, ancora, il militante di formazioni politiche di quella che si definiva la sinistra rivoluzionaria più forte di un paese dell’occidente capitalista.
Nanni Balestrini è stato un uomo che ha percorso criticamente il Novecento nel campo delle arti, della letteratura e dell’impegno politico pratico. I suoi libri, le sceneggiature dei film e più compiutamente il complesso del suo articolato profilo culturale hanno arricchito il sapere di diverse generazioni di militanti ma – soprattutto – sono stati “aria nuova e pulita” nell’immaginario di quanti hanno aspirato, ed aspirano tutt’ora, al rovesciamento di questi odiosi rapporti sociali.
Notevole è stato il suo contributo all’asfittico e paludato universo della letteratura italiana la quale – nei primi anni sessanta – guardava con un mix di stupore e spocchia intellettualoide a questa giovane generazione di poeti, scrittori, registi e critici d’arte che si definivano “neo avanguardia” perché osavano accostare il campo della letteratura e della poesia al costume, alle scienze umane e all’universo della politica.
Si andava proponendo ed esplicitando concretamente – nelle scuole, nel cinema, nelle università e, finanche, con incursioni nei giornali della borghesia – una rottura con gli anacronistici steccati formali che impedivano quella ricca e feconda cooperazione sociale che è alla base di qualsivoglia progetto/allusione rivoluzionaria, non solo sul versante artistico ma verso l’intero arco delle contraddizioni sociali.
Balestrini e l’intera compagine di poeti, teatranti, scrittori e professori che si adoperarono per affermare questi concetti operarono – controcorrente – una dichiarata rottura con la reazionaria concezione dell’intellettuale “rinchiuso nella sua torre d’avorio” ma realizzarono anche un ulteriore arricchimento metodologico e di merito rispetto all’interpretazione, spesso ricorrente in quegli anni con una declinazione dogmatica e scolastica, “dell’intellettuale organico”.
Questo enorme lavoro critico è raccolto in riviste, libri, opere teatrali e scenografie che segnarono positivamente quel periodo storico, né raccontarono i fermenti tracciando anche idee/forza utili ad una nuova grammatica della trasformazione della contemporaneità capitalistica.
Nanni Balestrini, come migliaia di altri compagni che in quel contesto scelsero di essere in prima fila nello scontro politico e nella generale battaglia per le idee, ha sempre intrecciato impegno politico e sociale con lo studio, la sperimentazione e la continua ricerca di nuove forme di espressione e di configurazione delle attività umane. Mai, però, questa ricerca – anche ardita in alcune sue particolari espressioni – divenne eclettismo, pura ed impotente astrazione oppure un ammiccamento alle mode ricorrenti del momento.
Neanche Nanni scampò alla vendetta statale che – sul finire degli anni settanta – si scatenò contro quanti avevano interpretato e partecipato a quel moto di cambiamento della società. Balestrini fu colpito da un mandato di cattura, emesso dal sostituto procuratore Calogero, nell’ambito della famigerata “inchiesta del 7 aprile ‘79” che lo costrinse ad una forzata latitanza in Francia mentre una intera generazione di militanti e compagni veniva seppellita sotto secoli di galera. Nanni – quindi – ha vissuto intensamente la sua vita e le sue scelte anche pagando prezzi umani e materiali di non poco conto.
Colpisce oggi la sua scomparsa e lo ricordiamo con affetto ed immensa stima.
Il miglior ricordo, a parere di chi scrive, è riprendere la sua produzione (numerosi suoi testi sono stati ripubblicati dall’editore Derive/Approdi), farla conoscere alle nuove generazioni ed assumere il metodo del suo punto di vista che fu – sempre – multiforme, aperto alle innovazioni, alle sperimentazioni ma profondamente partigiano!
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