intervista a Emiliano Brancaccio di Giacomo Russo Spena
“Le lancette della Storia si sono messe a correre all’indietro”. L’economista Emiliano Brancaccio, autore del recente volume Il discorso del potere
(Il Saggiatore 2019) e intellettuale di riferimento per il pensiero
progressista, aveva da tempo allertato sui rischi di un’egemonia
reazionaria e sovranista in Europa. Dopo le elezioni “terremoto” di
domenica – dove in Italia la Lega ha fatto il pieno di consensi – lo
abbiamo interpellato per capire quali ripercussioni ci saranno,
politiche e di politica economica.
Professore, che effetto le ha fatto vedere Salvini ringraziare gli elettori tenendo il rosario in mano e baciando il crocifisso?
Un gesto alquanto grottesco, l’ennesimo segnale di un’involuzione del
linguaggio e delle simbologie politiche. Un tempo quel bacio sotto i
riflettori e quello sguardo rivolto al cielo, da novello “unto del
Signore”, avrebbero suscitato non solo l’ironia di atei e agnostici, ma
anche lo sdegno di larga parte del mondo cattolico. Oggi è diverso: c’è
molta più indulgenza verso chi riesuma quel genere di ostentazioni
religiose, un po’ canagliesche, che una volta si sarebbero dette da
“colli torti”.
Però almeno su un punto il leader della
Lega sembra spingere in avanti: vuole una conferenza per la riforma
europea e intende ridiscutere i vincoli di bilancio pubblico con
l’Unione. Che ne pensa?
Come il Fondo Monetario
Internazionale ci ricorda, quei vincoli sono stati già violati da molti
paesi: dalla nascita dell’euro il loro mancato rispetto si è verificato
in due terzi dei casi. Una ridiscussione di questo e di molti altri
punti contraddittori dei Trattati sarebbe dunque cosa logica, ma non
vedo le condizioni politiche.
Eppure nel Parlamento
europeo i sovranisti sono cresciuti, anche se non saranno maggioranza
come qualcuno temeva: in Italia e in Francia sono primi, mentre la
vecchia coalizione dei popolari e dei socialdemocratici subisce un
arretramento un po' in tutto il continente. Non basta per un cambio di
passo dell’Europa a favore della flessibilità di bilancio?
Penso che alla fine prevarrà una maggioranza tendenzialmente
conservatrice sulle regole di bilancio: i liberali dell’Alde potrebbero
tendere una mano in questo senso. Il problema, comunque, non verte tanto
sull’istituzione parlamentare, che conta poco. La partita principale si
giocherà nel Consiglio dei ministri dell’Unione e ancor più tra i
principali governi, dove si annuncia uno stallo. Il motivo principale è
che in Francia, come avevamo previsto, Macron è stato sconfitto già alla
prima occasione, e ha lasciato campo libero alla reazione lepenista. Il
motore franco-tedesco in seno al Consiglio ne esce malandato, e le
velleità di riforma europea più volte espresse dal presidente francese
sono già uno sbiadito ricordo. In questo scenario, forse si troverà
qualche accordo trasversale intorno al solito capro espiatorio degli
immigrati, con nuove strette. Ma dal punto di vista della politica
economica, per adesso non vedo possibilità di formare maggioranze
“eretiche” in Europa.
Quindi Salvini andrà a sbattere contro un muro?
Ciò che gli preme davvero è la riforma fiscale: quell’orrore
sperequativo che è la flat tax, o qualcosa che le vada vicino. In
condizioni normali potrebbe ottenerla senza insistere troppo sui vincoli
di bilancio, magari scassando un altro po’ quel che resta del welfare
pubblico. Ma nell’attuale scenario macroeconomico è più complicato. La
crescita zero sta già portando il deficit oltre il tre percento del Pil.
Se vuol mantenere la promessa di non toccare l’IVA e al tempo stesso
vuol fare una riforma fiscale di un certo peso, allora deve ampiamente
superare quel limite.
In quel caso la “Leganomics” ci
procurerebbe sanzioni da parte di Bruxelles? È già in arrivo la lettera
UE per debito eccessivo...
L’ostacolo più grosso non
sono le sanzioni europee. Piuttosto, se Salvini insisterà con l’idea di
abbattere le tasse andando in deficit la reazione davvero importante
sarà quella degli speculatori sui mercati, che interpreteranno il suo
atteggiamento come una sorta di “me ne frego” verso la moneta unica e le
sue regole. Così ripartiranno le scommesse sulla tenuta dell’eurozona e
i tassi d’interesse aumenteranno ulteriormente.
A quel punto cosa accadrebbe?
Come abbiamo suggerito l’anno scorso sul Financial Times,
l’unica soluzione logica sarebbe applicare una ricetta talvolta evocata
persino dal FMI: repressione della finanza e controlli sui movimenti di
capitale, al fine di riprendere il controllo politico sui tassi
d’interesse e garantire la solvibilità del sistema. Ma Salvini non mi
sembra il tipo. Sotto la felpa populista tanto cara alle partite IVA si
cela in realtà un vecchio insider in doppiopetto, sempre più attento a
non farsi nemici nella grande finanza.
Ne è sicuro? C’è chi sostiene che sulla politica economica Salvini sia pronto anche a svolte “eterodosse”...
Ho sempre detto che sul terreno della politica economica Salvini ha
l’aria del gattopardo: spinto dal precipitare degli eventi potrebbe
esser disposto anche a lasciare la moneta unica, ma sulla questione di
fondo della repressione della finanza non credo cambierebbe nulla: se
arrivasse all’aut aut con l’Europa, non si azzarderebbe ad applicare
controlli sui movimenti di capitale.
Eppure si narra che in materia chiese aiuto anche a Lei. È vero?
Ci incrociammo per caso, in uno studio televisivo. Era il novembre
2011, in piena crisi dello “spread”, alla vigilia della nascita del
governo Monti. In una concitata trasmissione di Piazza Pulita contestai la solita idea mainstream
che una politica di sacrifici potesse riportare sotto controllo i tassi
d’interesse e rimettere in equilibrio l’Unione monetaria. Anche Salvini
era ospite in studio: non portava la barba, ancora non baciava i
crocifissi e non ammiccava ai fascisti, ma era invece molto interessato
alla questione che ponevo. A fine trasmissione, ci ritrovammo a cenare a
base di mozzarella e pomodoro. Insistette per offrirmi la cena e mi
propose di collaborare sul problema della tenuta dell’eurozona.
Ringraziai gentilmente per la mozzarella ma rifiutai l’invito a
collaborare. Col senno di poi, posso dire di avere avuto un discreto
intuito premonitore: tra mitragliatrici, santini, omofobia, xenofobia,
nuove autonomie a favore delle regioni più forti e nuove tassazioni a
favore dei ricchi, dubito che mi sarei sentito a mio agio...
Nel
campo progressista, intanto, la situazione sembra sconfortante: in
Europa i socialdemocratici sono crollati, e anche Corbyn si è
impantanato nella Brexit. Pure la sinistra radicale paga pegni pesanti:
da Podemos a Melenchon passando per la Linke tedesca e la bruciante
sconfitta di Tspiras in Grecia. Lei a vario titolo ha mosso critiche a
tutte queste esperienze. Quali sono le responsabilità di una crisi così
generale?
Siamo dinanzi a fenomeni di portata storica,
prima di soffermarci sulle responsabilità dei gruppi dirigenti dovremmo
analizzare le cause oggettive. Tuttavia, se proprio vogliamo restare su
elementi di strategia politica, credo sia interessante che due
protagonisti di punta della sinistra in Europa, Corbyn e Tsipras, stiano
pagando un prezzo per i modi controversi con cui hanno gestito gli
esiti di due fondamentali referendum sulla partecipazione dei loro paesi
all’Unione. Una domanda che viene da porsi, per esempio, riguarda
Tsipras: se invece di genuflettersi ai creditori e segnare l’inizio del
suo declino avesse deciso di staccare la spina dell’eurozona, il corso
degli eventi politici europei sarebbe stato diverso? Ossia, la dicotomia
sterile tra le due forme fenomeniche della destra, quella liberista e
quella xenofoba, sarebbe stata messa in discussione dall’esistenza di
una terza via di sinistra alla crisi dell’integrazione capitalistica
europea? A questi interrogativi non è facile dare una risposta, anche
perché non è chiaro se e in che misura Stati Uniti, Russia e Cina
sarebbero stati disposti ad accompagnare l’uscita della Grecia dalla
moneta unica e a gestire le ripercussioni, sia economiche che
geopolitiche. Tuttavia è una questione che ha un certo peso storico e
che in mezzo a queste macerie forse merita di essere riesaminata.
I
Verdi sono in crescita in gran parte dell’Europa. Possono esser
considerati un valido contraltare al declino delle sinistre
tradizionali?
La questione ecologica rappresenta un
nodo nevralgico dei rapporti contraddittori tra capitalismo, attività
umana e natura. Le crisi ambientali sono un tipico segnale dei
fallimenti del libero mercato capitalistico e dell’esigenza di una
moderna pianificazione pubblica dei principali processi produttivi. Il
tema è di grande attualità e in linea di principio potrebbe contribuire
alla costruzione di un’alternativa strategica al liberismo, al
nazionalismo e alle loro funeste sintesi future. Non mi pare, tuttavia,
che al momento i Verdi affrontino la questione in modo così profondo.
In Italia i Verdi non hanno raggiunto la soglia di sbarramento e La Sinistra ha ottenuto una profonda débacle. Che ne pensa?
Date le tendenze europee, era un esito ampiamente previsto. In
prospettiva non è detto sia un male. C’è un’intera generazione di
giovani, in Italia e nel resto d’Europa, che avverte sulla propria pelle
i guasti e le contraddizioni dell’attuale modello di sviluppo, e che
secondo i sondaggi più accreditati manifesta crescente attenzione verso
una critica rigorosa e non velleitaria del capitalismo. Leve e pratiche
politiche inedite si faranno largo per intercettare questa massa in
espansione di nuova classe operaia.
C’è invece chi si consola con la tenuta del PD zingarettiano giunto secondo dopo la Lega. Può bastare?
Non direi. I dati indicano che il PD è stato votato, ancora una volta,
soprattutto nei quartieri ricchi delle aree metropolitane. Temo sia
questo, ormai, il bacino principale di voti di quel partito, al di là
dei cambi delle dirigenze. Del resto, non vedo come si possa fare
breccia nei quartieri operai e nelle periferie se l’unica opposizione al
governo consiste nell’evocare di continuo la minaccia dello spread e
nel dichiararsi “responsabili” dinanzi ai mercati finanziari. Quella che
chiamo “sinistra spread” è un ossimoro che non ha futuro.
@giakrussospena
(28 maggio 2019)
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