Sembrava fatta e invece non lo è: ieri il Consiglio militare
transitorio (Tmc), rappresentante dell’esercito nel post-golpe, ha
annunciato la sospensione dei negoziati in corso con l’Alliance for
Freedom and Change sul processo di transizione. Sospensione di 72 ore
dopo che l’accordo sembrava essere stato ormai raggiunto.
A frenare, secondo l’esercito, sono state le nuove proteste che hanno
interessato il paese. O meglio, il fatto che non siano terminate: il
capo del Tmc, Abdel Fattah al Burhan, in tv ha citato chiusura di
strade, sospensione dei treni, blocco del traffico, e “provocazioni e
insulti gratuiti contro le forze armate e le Rsd”. Ovvero, le milizie
dell’intelligence che in questi mesi si sono rese responsabili di
assalti ai manifestanti e in alcuni casi di uccisioni in piazza.
“L’Alliance ha stilato un calendario per fermare l’escalation in
concomitanza con i negoziati – ha detto al Burhan – Tuttavia la
situazione è peggiorata. La retorica ostile ha creato uno stato di caos generale e illegalità diffusa
che ha favorito l’infiltrazione di elementi armati nel sito di protesta
nei dintorni di essa. Tutti questi (sviluppi) hanno portato al venir
meno della rivoluzione pacifica”.
Tutto sospeso, dunque, fino al ritorno della calma. La
minaccia è velata ma preoccupante: le forze armate, che hanno dovuto
cedere su molti punti a favore delle opposizioni dopo la deposizione e
l’arresto di Bashir sia per le forti pressioni interne che per quelle
esterne, potrebbero sfruttare un qualsiasi pretesto per un colpo di
mano. Lo sanno le opposizioni che hanno subito criticato la
sospensione dei negoziati e ricordato “la pacatezza (della rivoluzione),
un salvagente per i popoli vulnerabili dalla tirannia dei governanti
tirannici e un’arma che sconfigge i più grandi arsenali e scuote i troni
dei tiranni”.
La decisione dell’esercito, dice l’Alliance, è “spiacevole, ignora
gli sviluppi raggiunti nei negoziati e il fatto che l’incontro di
mercoledì doveva finalizzare l’accordo che avrebbe fermato l’escalation,
compresi i blocchi delle strade”. Per cui si avanti con il sit-in di Khartoum, davanti alla sede delle forze armate ormai da settimane.
E’ qui, denuncia il movimento popolare, che i manifestanti
sono stati di nuovo aggrediti mercoledì: 14 i feriti. “Riteniamo il
Consiglio militare responsabile degli attacchi ai civili – ha
detto Amjad Farid, portavoce della Spa, la Sudanese Professionals’
Association, leader delle proteste fin dallo scorso dicembre – Usano gli
stessi metodi del vecchio regime nell’affrontare i ribelli”. I
manifestanti aggiungono: veicoli con il logo delle Rsf hanno aperto il fuoco su Via al-Mek Nimir, nel centro di Khartoum, a poca distanza dalla sede del ministero degli Esteri.
Resta da vedere cosa ne sarà dell’accordo raggiunto tra
lunedì e martedì tra Tmc e Alliance che prevede tre anni di transizione
guidati da un governo completamente civile, un Consiglio supremo con
poteri simbolici e un parlamento da 300 membri di cui due terzi
destinati alle opposizioni. Ma, seppur raggiunta, l’intesa va
finalizzata: martedì si era parlato di 24 ore per definire i dettagli:
mercoledì la data finale. Ma il dialogo è sospeso e con esso è sospeso
il via a quel periodo di transizione che nei primi sei mesi dovrebbe
essere dedicato alla pacificazione delle zone del paese in conflitto,
dove sono attivi gruppi armati.
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