Una prima panoramica sulle europee deve considerare un aspetto centrale nella vita democratica francese: la disaffezione per le elezioni della sua popolazione.
L’astensione è da tempo il primo partito tra le classi popolari, ed anche questa volta – sebbene si sia registrato un aumento dei votanti – solo una persona su due circa si è recato alle urne, avvicinando la partecipazione al 52,7% del 1994.
Per la precisione il tasso di partecipazione è stato questa volta del 50,7% rispetto agli aventi diritto, cioè 8,3% in più che nel 2014 – mentre era stato del 40,6% nel 2009.
Tra il 1990 e il 2014 nei paesi della UE la Francia è stata in testa per il tasso medio di astensione (40%), decisamente superiore rispetto al gruppo mediano (Olanda, Spagna, Germania). Inoltre era il solo paese in cui la “non partecipazione” al voto è stata lineare passando dal 32,5% al secondo turno al 44,7% di quello del 2012.
Questa sfiducia nell’assetto politico francese in generale è stata registrata dalla fotografia – più attendibile dei sondaggi – del Cevipof, laboratorio di ricerca in scienze politiche che rende pubblica una inchiesta qualitativa annuale dal 2009.
Nel gennaio 2019, in pieno movimento dei GJ, questa inchiesta rilevava che la fiducia nel presidente in carica e nell’istituzione presidenziale veniva espressa solo dal 23% degli intervistati.
Il 70% dei sondati dichiarava che la democrazia non funziona bene, il 74% si esprimeva dicendo che lo Stato viene gestito nell’interesse di qualcuno, mentre l’85% affermava che i responsabili politici non si preoccupano delle persone come loro.
Un quadro che fa emergere come Macron stesse governando, e stia tuttora governando, senza consenso.
Tra questi dati, poco più della metà (il 57% per la precisione) non è d’accordo con l’affermazione che la politica è un affare per specialisti.
Un dato interessante per due motivi: da un lato perché dimostra che per più della metà del campione la sfera della cosa pubblica è patrimonio dei cittadini e non di una oligarchia; dall’altra questa affermazione viene espressa in un periodo in cui l’azione politica collettiva che si esprime attraverso il movimento dei GJ, sembra essere lo sbocco necessario all’esaurimento di ogni ipotesi di cambiamento all’interno della rappresentanza politica dentro il rigido assetto della Quinta Repubblica.
Una risposta che sembra maturata dentro quell’immensa scuola politica di massa che è stata – ed è tuttora – la marea gialla, che oltre a rivendicazioni sociali esprime precise richieste politiche che sottolineano il deficit strutturale di democrazia in Francia, come ha ben messo in evidenza Edwy Plenel – direttore di “Mediapart” – nel suo bel pamphlet: “La victoire des vaincus. À propos des gilets jaunes”.
Il dato di disaffezione che riportavamo all’inizio si accentua per le europee tenendo anche conto della mancata presa in carico della volontà popolare espressa con il referendum nel 2005, contro il progetto di costituzione europea, bocciata nell’Esagono anche grazie alla mobilitazione della CGT e di quella parte della sinistra radicale (tra cui la sinistra socialista), che pose le basi per l’attuale configurazione politica.
Volendo semplificare, i francesi sono da tempo un popolo di “euro-scettici” che hanno visto susseguirsi una serie di figure politiche alla testa dello Stato che hanno chinato il capo di fronte alla UE, nonostante le promesse elettorali “riformiste”.
Queste considerazioni preliminari erano una premessa dovuta, considerato il fatto che Macron – che esce sconfitto dalle europee, superato dal FN – aveva puntato sul fatto che queste fossero un referendum sul suo operato e sulla sua persona, oltre alla concezione di “nazionalismo europeo” e di smaccato filo-europeismo che ne aveva fatto l’alfiere, a livello continentale, del progetto di integrazione europea – non da ultimo con la firma del trattato di Aquisgrana.
D’altro canto Jean Luc Mélenchon, nella tarda estate dell’anno scorso, durante il tradizionale meeting degli insoumis a Marsiglia aveva espresso la sua volontà di fare delle elezioni europee un referendum anti-Macron, “copiato” poi successivamente da Marine Le Pen che ha di fatto incassato l’ostilità a Macron, nonostante la sua politica converga alquanto con quella del Presidente, con un calco leggermente maggiore sulla politica migratoria ed un euro-scetticismo retorico che però – come tutte le altre forze cosiddette sovraniste nel continente – scompare quando c’è da confrontarsi effettivamente con il “rispetto del trattati”.
Nonostante questa chiara sconfitta già da domenica sera, “il Presidente dei ricchi” affermava che durante il secondo atto del suo quinquennio non avrebbe cambiato la propria direzione, in pratica la continuità con il suo operato, tra l’altro messo in discussione da una mobilitazione che dura dal 17 novembre, e che va tuttora avanti, senza perdere sostanzialmente di vigore.
Sia detto di passaggio, ma le liste di gruppi provenienti dai GJ – fortemente osteggiate dal movimento stesso – presentate alle europee si sono attestate attorno all’1%, cioè non hanno raccolto nemmeno parzialmente quel massiccio consenso, espresso anche nei sondaggi, rispetto all’azione della marea gialla, tramutatesi di fatto in “liste civetta” che hanno penalizzato le formazioni che hanno appoggiato i GJ, come la FI e il PCF.
Marine Le Pen, forte del risultato ottenuto, ha auspicato la dissoluzione dell’attuale assemblea nazionale e l’indizione di nuove elezioni.
Nelle elezioni europee precedenti, il partito dell’allora presidente F. Hollande, quello socialista, conobbe una grave sconfitta raccogliendo solo il 14% dei voti, contro il 24,9% del FN e il 20,8% dell’UMP il partito gollista che esprimeva allora una composizione unitaria.
Guardiamo ora alcunoi dati e tendenze.
Il Rassemblement Nationale, con il capo di lista Jordan Bardella, guadagna 22 eurodeputati con il 23,3%; l’alleanza LREM e MoDem, con alla testa Nathalie Loiseau, guadagna 21 deputati con il 22,4%, i verdi (EEVL) guadagnano 12 deputati con un 13,5% (avevano ottenuto il 16% alle precedenti europee); Les Républicains guadagnano 8 deputati con l’8,5%.
La France Insoumise, che alle precedenti elezioni europee aveva ottenuto un solo deputato, ne ottiene sei, con il 6,3%; ultima formazione ad ottenere dei deputati il Ps, Place Publique, che ottiene 5 deputati con un magro 6,2%, che rappresenta meno della metà dello score alle precedenti europee.
Sono esclusi da avere una rappresentanza in parlamento il PCF – un tempo il secondo più grande partito comunista occidentale dopo quello italiano – che con il capolista Ian Brossat ottiene solo il 2,5% e il movimento Génération.s creato da B. Hamon, da una costola del partito socialista, collegato all’alleanza dell’ex ministro delle finanze del governo Tsipras, Y.Varoufakis, con il 3,3%.
Dopo la sconfitta Hamon ha detto che si ritirerà dalla politica.
Sia detto di passaggio, “Primavera Europea” porta nel parlamento europeo solo Sofia Sakorafa, la deputata uscita da Syriza, eletta in Grecia con MeRA25, mentre Varoufakis presentatosi in Germania con la lista “Demokratie in Europa”, non è passato.
La lista sostenuta dal movimento creato da Macron (LREM) è arrivata in testa in 31 dipartimenti metropolitani e 3 collettività d’oltre-mare, tra cui Parigi.
Il partito di Marine Le Pen si impone in 65 dipartimenti metropolitani e 7 dipartimenti o collettività d’oltremare.
I verdi di EELV – vera “sorpresa” della competizione elettorale – superano il 20% in due dipartimenti (entrambi in Corsica), e sorpassano il 10% in 20 dipartimenti o collettività.
Gli eredi del partito gollista, Les Republicains di L.Wauquiez, sono in caduta libera, così come i socialisti.
La formazione di Wauquiez ha il suo miglior risultato nel dipartimento dell’Alta Loira, di cui è presidente con il 19,6%, ma in nessuno ha superato il 20%, mentre va oltre il 10% in soli 25 dipartimenti o collettività.
Il Partito Socialista è ancora più in crisi superando il 10% solo a Saint-Pierre-et-Miquelon e nelle Landes, mentre in 27 dipartimenti o collettività è al di sotto del 5%.
La France Insoumise oltrepassa il 10% alla Réunion – isola dell’oceano indiano e uno degli epicentri della marea gialla – con il 19%, in Guyana con il 13,6%, in Guadalupe con il 13% ed in Martinica con il 12,9% e a Siant-Pierre-et-Miquelon con il 11,9%.
Nel territorio metropolitano la formazione di J.L. Mélenchon supera il 10% solo a Seine-Saint-Denis – nella regione parigina – con l’11% e in Ariege (10,7%), mentre rimane sotto la soglia del 5% in 20 dipartimenti o collettività.
Le urne hanno sancito una dura sconfitta di Macron ed una vittoria del FN – che progredisce sulla costa atlantica – una discesa agli inferi pressoché inarrestabile della parte del gaullismo non alleata con Macron e del partito socialista – cioè dei due ex-pilastri del sistema politico francese – e la crisi di una parte della sinistra (PCF e Géneration) che non supera lo sbarramento.
I verdi, forza centrista e “compatibilista” come nel resto del continente, hanno un risultato in sintonia con il resto del Nord Europa, anche grazie alla spinta del movimento FFF; oltre ad essersi avvantaggiarsi dell’uscita di scena, lo scorso settembre, del popolare ministro alla transizione ecologica Houlot, in rottura con Macron, che aveva fornito un travestimento ecologista alla narrazione macroniana.
La FI, su cui torneremo più avanti, migliora il suo risultato rispetto alle europee precedenti, ma è in calo sia rispetto allo strabiliante risultato al primo turno delle presidenziali (19,6%) cioè più di 7 milioni di voti, che dei quasi 2 milioni e mezzo di voti delle successive elezioni legislative tenutesi di lì a poco, e che fecero l’11% dei consensi, totalizzando questa volta poco meno di un milione e mezzo di voti (1.428.410), e attestandosi come quinta forza politica francese.
In questo quadro, le mobilitazioni dei GJ non si arrestano e Macron è deciso più che mai a continuare la sua opera di “rullo compressore” in patria e di attore di primo piano della riconfigurazione della UE, segno che anche in Francia le europee non sono state che “un passaggio” relativamente importante che non fanno però cambiare direzione generale né al rappresentante delle oligarchie, per cui il FN come ha affermato Mélenchon ne è “l’assicurazione per la vita”, né ai suoi veri oppositori.
A forza di emulare la destra nel suo campo di “ordine e di disciplina” per potere sottrargli i consensi che perdeva, Macron non ha fatto che avvantaggiarla, in un ben studiato gioco delle parti, teso a creare una opposizione fittizia del tutto funzionale ai suoi grandi sponsor.
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