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17/05/2019

“Follow the money”. Il libro nero della Lega

Gli indici di lettura della carta stampata nel nostro Paese sono sempre stati molto inferiori rispetto alla media europea. Ora, dopo la crisi economica sviluppatasi nel 2008 e l’esplosione dei social network, il numero delle copie vendute si è praticamente dimezzato, con i riflessi che tutto ciò determina rispetto alla formazione dell’opinione pubblica. Nonostante questo quadro disarmante, i giornalisti che mantengono la schiena diritta sono più che invisi agli esponenti del governo giallo-verde, tanto che il pluralismo informativo rischia di essere azzerato. Segno che quando i giornalisti fanno il loro mestiere – come nel caso delle inchieste promosse dal settimanale “L’Espresso” a proposito della Lega – il materiale che riescono a raccogliere è talmente probante, che per la magistratura si aprono nuove piste di indagine.

Che la Lega avesse scheletri nell’armadio era noto, dopo la vicenda che aveva investito nel 2012 , per appropriazione indebita di denaro pubblico, Umberto Bossi, il tesoriere Francesco Belsito e i colletti bianchi legati ai clan della ‘Ndrangheta. Ora però l’ottimo ed esplosivo «Il Libro Nero della Lega» di Giovanni Tizian e Stefano Vergine (Laterza: pag 318, euro 18 ) – in tre succosi capitoli, a cui è acclusa una sbalorditiva documentazione – affonda ulteriormente i colpi, evidenziando alcune rilevanti novità che gradualmente stanno diventando sempre più di dominio pubblico. Se è vero che il 23 gennaio 2019 solo Belsito è stato condannato in appello – poichè Salvini ha scelto, per convenienze interne al partito, di non querelare Bossi e suo figlio, sui 48,9 miliardi di rimborsi elettorali non dovuti, in quanto i bilanci presentati dalla Lega nel triennio 2008-2010 erano stati falsificati – sia Roberto Maroni che Salvini erano consapevoli che i soldi da restituire erano frutto di un reato.

E li dovevano restituire perché paradossalmente non avendo richiesto il risarcimento a Bossi e a Belsito, automaticamente quest’onere è ricaduto sul partito. Partito che nel frattempo prima con Maroni e il suo cerchio magico si è ingegnato su dove dirottare il “tesoro padano” – anche attraverso operazioni speculative – e successivamente (nel 2015) ha deciso di sparpagliare i soldi nelle tredici realtà regionali a quel tempo costituite. Per poi, nel pieno dell’indagine giudiziaria, costituire una associazione senza scopo di lucro, la Più Voci, che è diventata la porta girevole per incassare i finanziamenti privati, come quelli dell’immobiliarista romano Luca Parnasi – successivamente indagato per la falsificazione dei documenti contabili – o della catena di supermercati Esselunga. Sino alla nascita della Lega per Salvini presidente in sostituzione della “Lega Nord per l’indipendenza della Padania” con lo stesso leader e il medesimo tesoriere, Giulio Centemero, ma con un codice fiscale diverso.

La propaganda sovranista sconta anche una indagine per alcune società sospettate di riciclaggio con una holding, la Ivad Sarl, avente sede in Lussemburgo, oltre alla trattativa che in seguito agli incontri segreti di Salvini con il vicepremier russo Dmitry Kozak, delegato agli affari energetici, ha assicurato – per il tramite di Gianluca Savoini – 3 milioni di euro per la campagna elettorale della Lega alle europee, mediante una partita di gasolio venduta dalla compagnia petrolifera Rosneft all’Eni con uno sconto del 6%. D’altronde non è un mistero che l’Associazione Italia-Russia coltivi all’insegna dell’intramontabile collante “Dio, patria, famiglia” stretti rapporti con il filosofo Aleksandr Dugin, teorico dell’Eurasia che tanto appassiona l’avvocato Andrea Mascetti, ex-missino diventato in un battibaleno esperto di politica internazionale. Mentre la formazione che ha ispirato la svolta nazionalista di Salvini, ovvero il Front National, aveva ricevuto nel 2015 il prestito di 9 milioni di euro, tramite una banca controllata da Mosca. Infine, Andrea Mascetti è solo una delle tante figure provenienti dagli ambienti della destra, che la svolta estremista della Lega ha assorbito nelle sue file dirigenziali.

Il secondo capitolo del libro è appositamente dedicato alle varie casistiche del trasformismo italico e alla crescita sorprendente dei consensi in alcune regioni del Sud, ove alcuni nuovi esponenti della Lega hanno strani rapporti con persone legate ai clan della ‘Ndrangheta, con tutte le conseguenze sul piano dell’immagine pubblica.

Indicativo di come un faccendiere si possa muovere a suo agio quando la politica è completamente scissa dall’etica è il caso dell’emergente Armando Siri: ex-craxiano, ideologo senza laurea della flat-tax e condannato – grazie a un patteggiamento – per bancarotta fraudolenta nel 2014 (per un fallimento doloso e pilotato con i soci). E’ indicativo soprattutto in una formazione come la Lega che con una mano ostenta il Vangelo, mentre con l’altra istiga all’odio contro i migranti, i rom e così via.

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