L’aggiornamento sulla “guerra a Huawei” è necessario, se non altro per le dimensioni del conflitto che si è aperto e per le ricadute immediate sulla vita di tutti noi. Mai come in questo caso, infatti, non si può proprio considerare quella tra gli Usa di Trump e la Cina come “un affare loro, che non ci riguarda”. Se non altro per la diffusione dei device Huawei e Honor, che stazionano in molte delle nostre tasche, e tutti gli altri sistemi adottati dal innumerevoli società italiane ed europee, compresi i principali gestori di telefonia.
Come spiegato nei giorni scorsi, Google ha esaudito la volontà del presidente Usa e stracciato i contratti di fornitura firmati con la società cinese; sia per quanto riguarda il sistema operativo Android (maggioranza assoluta del mercato smartphone e tablet) che per le innumerevoli applicazioni installate o scaricabili da Google Play.
La mossa, in linea molto teorica, avrebbe dovuto di fatto ridimensionare fortemente la penetrazione di Huawei sul mercato Usa ed europeo, in quanto le abitudini contratte dai clienti di tutto il mondo – per i quali l’ambiente Android è quasi una “seconda casa” – avrebbero dovuto rendere insopportabile la “perdita” e quindi incentivare la migrazione verso device più occidentali o comunque rientranti sotto la sfera di influenza Usa.
Il calcolo si è rivelato subito sbagliato. Richard Yu, capo della divisione Consumer business di Huawei (proprio i settori “di massa”), ha annunciato che “Il sistema operativo di Huawei sarà compatibile con Android e tutte le applicazioni web”, e dovrebbe essere disponibile “al più presto nell’autunno 2019 o, al più tardi, la prossima primavera”. Dispositivi supportati: smartphone, tablet, smart tv, “indossabili” e autovetture.
Lo store di Google sarà sostituito dalla App Gallery (già esistente per il mercato cinese), che è al momento non molto usata nei mercati extra-Pechino ma diventerà – opportunamente potenziata – la risorsa unica per scaricare programmi e app compatibili con Android.
In pratica, Huawei garantisce così la piena funzionalità dei propri dispositivi anche dopo il divorzio effettivo con il software Google (già rinviato dallo stesso Trump a fine agosto, per consentire la migrazione alle imprese Usa).
Per Google e tutti gli altri fornitori statunitensi è una notizia ferale, perché falcia buona parte dei loro introiti immediati e apre scenari foschi sulle prospettive future (se si mette un confine alle tecnologie altrui, questo confine varrà anche per le proprie).
Ancora più ironico, e devastante, il messaggio consegnato sempre ieri da Ren Zhengfei, fondatore e CEO della Huawei Technologies, in una intervista a China Media Group: “l’istruzione di base e l’istruzione professionale dovrebbero essere maggiormente seguite; il problema di base del commercio sino-americano risiede nel livello d’istruzione”.
La traduzione dovrebbe essere intuibile: gli americani studiano poco e male, questo limita ormai le loro capacità competitive e pensano di poter supplire a questa debolezza con l’uso della forza (che è sempre di meno, anche per quel motivo). Non funzionerà...
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