18/05/2019
Una spesa militare record: più che durante la guerra fredda
La spesa militare mondiale nel 2018 ha rappresentato il 2,1% del prodotto interno lordo (PIL) globale. In particolare, la spesa militare mondiale totale ha stabilito un nuovo record salendo a 1822 miliardi di dollari nel 2018, con un aumento del 2,6% rispetto al 2017. I cinque maggiori paesi, nel 2018, in questa graduatoria, sono stati gli Stati Uniti (649 miliardi di dollari), la Cina (250), l’Arabia Saudita (67,6), l’India (66,5) e la Francia (63,8).
Sette dei 15 paesi primi in graduatoria sono membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO): Canada, Francia, Germania, Italia, Turchia (+24% nel 2018), Regno Unito e Stati Uniti. Insieme, questi sette paesi hanno rappresentato il 48% (880 miliardi di dollari) della spesa militare globale nel 2018. L’Italia si è piazzata all’undicesimo posto globale sprecando in spesa militare di 27,8 miliardi di dollari (24,9 miliardi di euro) del proprio bilancio.
A evidenziare l’aumento della pressione della NATO sulla Russia, si segnalano i dati della spesa militare dell’Ucraina, nel 2018 pari a 4,8 miliardi di dollari (+ 21 percento rispetto al 2017 e + 53 percento rispetto al 2013, l’anno prima dello scoppio del grande conflitto armato in Ucraina), della Polonia, pari a 11,6 miliardi di dollari nel 2018 (+ 8,9 percento rispetto al 2017 e + 48 percento rispetto al 2009) e della Lituania. Quest’ultima (1,03 miliardi di spesa, +18% nell’ultimo anno), tra il 2009 e il 2018, ha registrato il più alto incremento relativo di spesa militare di tutti i Paesi europei: la spesa è aumentata del 156% nel decennio.
Altro dato che indica l’irruzione nello scenario mondiale di nuove potenze militari è quello del rapporto tra spesa militare e PIL nel Medio Oriente; sei dei 10 paesi con il più alto carico militare del mondo nel 2018 si trovano in questa regione: Arabia Saudita (8,8 per cento del PIL), Oman (8,2 per cento), Kuwait (5,1 per cento), Libano (5,0 per cento), Giordania (4,7 per cento) e Israele (4,3 per cento).
La classifica dei Paesi con la spesa militare più alta
Il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) [1] ha pubblicato il report annuale – riferito al 2018 – con il quale ha analizzato quanto ogni singolo Stato spende per il proprio comparto militare. Nel complesso il SIPRI ha rilevato un nuovo aumento della spesa militare, con un incremento del +2,6% rispetto all’anno precedente. Nel dettaglio, nel 2018 alla difesa sono stati destinati 1.822 miliardi di dollari, con un trend di crescita simile a quello a cui si è assistito negli anni della “Guerra Fredda”.
Come ci ricorda il SIPRI, con il termine “spesa militare” ci si riferisce a tutte quelle spese degli Stati riguardanti forze e attività militari, come l’acquisto di armi e attrezzature; le risorse destinate alla ricerca e allo sviluppo e quelle per salari e sussidi destinati al personale impiegato tra le fila delle Forze Armate.
Nel 2018 sono stati spesi 1.822 miliardi di dollari per la Difesa. A primeggiare nella classifica del 2018 – con le prime posizioni che sono rimaste invariate rispetto agli ultimi anni – sono Stati Uniti e Cina, con quest’ultima che negli ultimi dieci anni ha segnato una crescita dell’83% della spesa militare.
Nonostante questa crescita, sono ancora gli Stati Uniti a ricoprire la prima posizione della classifica con un monte spesa nel 2018 pari a 649 miliardi di dollari, il 36% della spesa globale. Rispetto al 2017 si segnala una crescita di quasi 40 miliardi di dollari, merito però della spinta impressa da Donald Trump al budget nazionale: nonostante si spenda di più, infatti, il rapporto tra spesa militare e PIL è sceso dal 3,5% al 3,2%.
Dietro gli Stati Uniti troviamo appunto la Cina, passata da 228 miliardi del 2017 a 250 miliardi di dollari. Siamo ancora molto lontani dagli Stati Uniti, nonostante la Cina sia – insieme alla Turchia (+65%) – il Paese ad aver incrementato maggiormente la spesa per la difesa nell’ultimo decennio (+83%).
Così come USA e Cina anche l’Arabia Saudita ha aumentato la propria spesa militare, arrivando a 68 miliardi di dollari che, pensate, equivale all’8,8% del loro PIL. Subito giù dal podio troviamo l’India (66,5 miliardi di dollari, 2,4% del PIL) seguita dal primo Paese europeo, la Francia, che si trova in quinta posizione subito prima della Russia, scesa dal 4° al 6° posto. Per la Francia il Sipri ha rilevato una crescita di 6 miliardi per il 2018, con la spesa militare che ha toccato i 63,8 miliardi di dollari (2,4% del PIL). Come anticipato al 6° posto troviamo la Russia (61,4 miliardi, 4% del PIL) che continua nella sua inesorabile discesa: solo nel 2016, infatti, questa era in 3^ posizione, per poi scendere fino alla 6ᵃ nel giro di due anni. Completano la top ten dei Paesi che spendono di più per la difesa il Regno Unito, (50 miliardi di dollari, 1,8% del PIL), la Germania (49,5 miliardi, 1,2% del PIL), il Giappone (46,6 miliardi, 2,3% del PIL) e la Corea del Sud che mantiene la 10ᵃ posizione con un monte spesa di 43,1 miliardi di dollari (2,6% del PIL)
CLASSIFICA 2018 POSIZIONE CLASSIFICA 2017 SPESA MILITARE 2018 (miliardi di $) RAPPORTO PIL (%) VARIAZIONE RISPETTO AL 2009 (%)
01° – Stati Uniti 1° 649 3,2 -17
02° – Cina 2° 250 1,9 +83
03° – Arabia Saudita 3° 67,6 8,8 +28
04° – India 5° 66,5 2,4 +29
05° – Francia 6° 63,8 2,3 +1,6
06° – Russia 4° 61,4 3,9 +27
07° – Regno Unito 7° 50,0 1,8 -17
08° – Germania 9° 49,5 1,2 +9,0
09° – Giappone 8° 46,6 0,9 +2,3
10° – Corea del Sud 10° 43,1 2,6 +28
11° – Italia 13° 27,8 1,3 -14
12° – Brasile 11° 27,8 1,5 +17
13° – Australia 12° 26,7 1,5 +21
14° – Canada 14° 21,6 1,3 +12
15° Turchia 15° 19,0 2,5 +65
DALL’11 SETTEMBRE 2001 AD OGGI GLI USA HANNO SPESO IN GUERRE ED ARMAMENTI 5,9 TRILIONI DI DOLLARI
Un recentissimo rapporto dell’Istituto statunitense Watson della Brown University per gli Affari Pubblici ed Internazionali ha rivelato: “Gli Stati Uniti hanno speso circa 5,9 trilioni dollari correnti nelle così detta ‘guerra al terrorismo’ fino al 2019″. ” In sintesi – prosegue il rapporto – i costi elevati in termini di spesa bellica e di guerra pongono un problema di sicurezza nazionale perché sono insostenibili” in cui non si manca di osservare “Il pubblico sarebbe meglio servito da una maggiore trasparenza e dallo sviluppo di una strategia globale per porre fine alle guerre e affrontare altre urgenti priorità di sicurezza nazionale“.
Il rapporto dell'Istituto Watson ha scoperto che “l‘esercito americano sta conducendo attività di ‘controterrorismo’ in 76 paesi, o circa il 39% delle nazioni del mondo, espandendo enormemente [la sua missione] in tutto il mondo”. Inoltre, queste operazioni “…sono state accompagnate da violazioni dei diritti umani e delle libertà civili, negli Stati Uniti e all’estero”. I ricercatori dell’Istituto Watson hanno stimato che “tra 480.000 e 507.000 persone sono state uccise nelle guerre post-9/11 degli Stati Uniti in Iraq, Afghanistan e Pakistan”. Questo bilancio “non include gli oltre 500.000 morti della guerra in Siria dal 2011″[2].
Ma il numero di morti è certamente molto più alto perché aggravato da centinaia di migliaia di persone uccise dagli effetti collaterali di tali conflitti. Inoltre, questo conteggio non include le morti indirette. I danni indiretti si verificano quando la distruzione causata delle guerre porta a conseguenze “indirette” a lungo termine per la salute delle persone nelle zone di guerra, ad esempio a causa della perdita di accesso a cibo, acqua, strutture sanitarie, elettricità o altre infrastrutture.
Usa, budget 2020: Trump aumenta le spese militari e taglia il welfare
Nella proposta di bilancio per il 2020, Donald Trump ha proposto di aumentare le spese della difesa del 4%, fino a 750 miliardi di dollari, e di tagliare gli aiuti all’estero di 13 miliardi. Lo hanno anticipato fonti della Casa Bianca. La scure dovrebbe abbattersi anche sul welfare (22 miliardi), sui buoni alimentari (17 miliardi). Tagli anche per il dipartimento di stato (23%), l’agenzia per la protezione dell’ambiente (31%) e i trasporti (22%).
LA SPESA MILITARE IN ITALIA
La Camera dei deputati, a Parlamento già sciolto, nella scorsa legislatura, il 28 dicembre 2017, approvò, a maggioranza assoluta, il Decreto del Consiglio dei ministri, già passato in Senato, che rinnovava le missioni militari all’estero in corso in Libia, Tunisia, Sahara occidentale, Repubblica Centro-Africana, Afghanistan, Libano, Balcani, Somalia più Lettonia e Turchia (ambito NATO) e che contiene una previsione di spesa per l’anno 2018 di 1,504 miliardi di euro, in aumento rispetto al 2017 (1,427 miliardi).
Contro il decreto votarono M5S e Liberi e Uguali mentre la Lega si astenne. Forza Italia e Fratelli d’Italia votarono, ovviamente, insieme alla maggioranza. Il Decreto del governo Gentiloni dispose il rinnovo ed il rifinanziamento delle missioni militari già attive nel 2017 ma anche l’avvio ed il finanziamento di nuove operazioni, la più importante delle quali in Niger. Questa spesa si aggiunse alle tante altre già previste per fini militari.
Secondo il Rapporto dell’Osservatorio MIL€X* sulle spese militari italiane nel 2018 [3], l’acquisto di nuovi armamenti, nello scorso anno, ha registrato un aumento del 15% della spesa complessiva e la spesa del Ministero della Difesa è passata dai 20,3 miliardi del 2017 ai quasi 21 miliardi del 2018, con un aumento del 3,4% cui vanno aggiunti gli stanziamenti per l’acquisizione di nuovi armamenti; il costo delle missioni militari all’estero a carico del MEF; gli oneri per i militari in pensione; i costi per l’adesione alla #NATO e quelli derivanti dalla compartecipazione e dal mantenimento delle basi USA presenti in Italia. Pertanto, l’aumento della spesa militare italiana nel 2018 è stata del 4% passando dai 24,1 miliardi del 2017 agli oltre 25 miliardi del 2018, pari all’1,42% del PIL previsto (nel 2017 era l’1,40%).
Analizzando il dettaglio delle voci di spesa del 2018 spicca un aumento del 9,7% dei fondi ministeriali per gli investimenti in nuovi armamenti e infrastrutture (2,3 miliardi). In aumento del 4,6% anche la spesa per il personale di Esercito, Marina e Aeronautica (10,2 miliardi) nonostante la riduzione degli organici dettata dalla Riforma Di Paola, a causa degli aumenti stipendiali per gli ufficiali superiori previsti dal recente riordino delle carriere. Questo per quanto riguarda i fondi preventivi relativi al solo bilancio del Ministero della Difesa, anche se ormai da anni i bilanci consuntivi diffusi in seguito risultano mediamente superiori di circa 2 miliardi ai preventivi. Una spesa militare in costante aumento ed in media con gli altri paesi della #NATO.
Ciò nonostante, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord – nata nel 1949 come unione dei paesi occidentali in funzione anti-sovietica ma che continua ad esistere immutata come struttura militare aggressiva – insiste perché l’Italia arrivi presto al 2% del PIL, avendo già deliberato in tal senso e senza che, ovviamente, sia stata mai aperta, nel nostro Parlamento, una discussione sul punto. Ma va precisato che le insistenze della NATO hanno già ottenuto risultati in altri paesi dell’area mediterranea. Paradossalmente, la Grecia, il cui popolo sta affogando nella miseria per effetto delle draconiane sanguinose misure di austerity imposte dall’Unione Europea, ha una spesa militare enorme che, nel 2017, è stata del 2,6% del PIL. Anche il Portogallo è in cima a questa classifica con l’1,9% del PIL. L’altro paese ”pig”, cioè, la Spagna, nel 2017 ha avuto una spesa militare di poco inferiore a quella dell’Italia (1,2% del PIL).
I dati sull’Italia sono stati confermanti dal rapporto annuale del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) – riferito al 2018 – con il quale ha analizzato quanto ogni singolo Stato spende per il proprio comparto militare. Secondo i dati del rapporto la spesa militare italiana per il 2018 è stata di 25 miliardi, ovvero, l’1,4 per cento del Pil, con un aumento del 4 per cento rispetto al 2017. Si tratta ormai di una tendenza di crescita avviata dal governo Renzi (con un 8,6 per cento in più rispetto al 2015) che non accenna a fermarsi.
Nel 2018, infatti, sono cresciuti anche il bilancio del Ministero della Difesa (21 miliardi, il 3,4% in più rispetto al 2017) e i contributi del Ministero dello Sviluppo Economico all’acquisto di nuovi armamenti (3,5 miliardi di cui 427 milioni di costo mutui, ossia il 115% in più nelle ultime tre legislature).
Il rapporto di MIL€X analizza i costi della ‘servitù nucleare’ legata alle spese di stoccaggio e sorveglianza delle testate atomiche tattiche americane B-61 nelle basi italiane e alle spese di stazionamento del personale militare USA addetto e di mantenimento in prontezza di aerei e piloti italiani dedicati al ‘nuclear strike’. Per Daniel Högsta, coordinatore della campagna ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons), premio Nobel per la Pace 2017 “ …Questi dati dimostrano come la presenza di armi nucleari abbia impatto negativo per i Paesi che le ospitano non solo dal punto di vista politico, ma anche della spesa pubblica. L’opinione pubblica dovrebbe rendersene conto”.
Tra gli ulteriori focus del Rapporto MIL€X* 2018, quelli sulle le spese italiane di supporto alle 59 basi USA in Italia (520 milioni l’anno) e di contribuzione ai bilanci Nato (192 Mission Need Urgent Requirements) delle ‘infinite’ missioni militari all’estero (16 anni di presenza in Afghanistan e 14 anni in Iraq), il costo della base militare italiana a Gibuti intitolata all’eroe di guerra fascista Comandante Diavolo (43 milioni l’anno) e lo ‘scivolo d’oro’ dimenticato per gli alti ufficiali ma condannato dalla Corte dei Conti e l’onerosa situazione dei 200 cappellani militari ancora a carico dello Stato (15 milioni l’anno tra stipendi e pensioni).
Nelle legislature dal 2016 al 2018 c’è stata una fortissima impennata nella corsa italiana agli armamenti: 5,7 miliardi nel 2018, l’88% in più, e si conferma la distorsione per cui essi sono possibili solo grazie ai contributi finanziari del Ministero dello Sviluppo Economico, anch’essi in aumento. “Finanziamenti sempre più ingenti e onerosi per la collettività e gravosi per il debito pubblico – spiega il rapporto – tenuto conto il sistematico ricorso del Mise a finanziare tali programmi richiedendo a istituti di credito (soprattutto Intesa, BBVA e Cassa Depositi e Prestiti) prestiti bancari concessi a tassi improponibili (fino al 40% del finanziamento erogato)”. Il costo annuale degli interessi, riportato nei bilanci del Mise, è estremamente elevato: se nel 2017 è stato di 310 milioni, per il 2018 si pagheranno 427 milioni. “Tra i programmi di riarmo nazionale in corso i più ingenti – continua Vignarca – sono le nuove navi da guerra della Marina (tra cui la nuova portaerei Thaon di Revel), i nuovi carri armati ed elicotteri da attacco dell’Esercito e i nuovi aerei da guerra Typhoon e F-35”.
Agli F-35 il rapporto dedica un approfondimento che analizza costi effettivi (50 miliardi con i costi operativi), reali ricadute industriali e occupazionali e “difetti strutturali – spiega il rapporto – che rischiano di mettere fuori servizio gli F-35 finora acquistati dall’Italia per 150 milioni l’uno e funzione strategica di questo sistema d’arma prettamente offensivo e intrinsecamente contrario all’articolo 11 della Costituzione Italiana e al Trattato di non Proliferazione Nucleare”.
Anche nel 2019, con una spesa annua di oltre 25 miliardi, l’Italia si conferma un Paese che destina ingenti risorse alla Difesa: continuiamo a investire in costosissimi sistemi d’arma, tra cui quello dei caccia F-35, le spese militari della Difesa aumentano nel 2019 del 2% in Legge di Bilancio 2019, e rimaniamo presenti in missioni militari che andrebbero chiuse, come in Niger e in Afghanistan.
Note:
[1] Lo “Stockholm International Peace Research Institute” (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, SIPRI) è un istituto internazionale indipendente, fondato nel 1966 Il suo compito è quello di condurre ricerche scientifiche in materia di conflitti e cooperazione, di importanza per la pace e la sicurezza internazionale, allo scopo di contribuire a una comprensione delle condizioni per soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali. Attraverso le sue ricerche il SIPRI rende accessibili informazioni imparziali su sviluppo degli armamenti, spese militari, produzione e commercio di armi, controllo degli armamenti e disarmo, oltre che su conflitti, prevenzione dei conflitti, sicurezza regionale e industria della difesa. I risultati del SIPRI vengono diffusi principalmente tramite libri, rapporti e altre pubblicazioni dell’Istituto oltre che tramite il suo sito web.
[2] Tom O’Connor , NEWSWEEK del 14/11/18
[3] “MIL€X” è un progetto che ha realizzato il 1°rapporto annuale sulle spese militari Italiane nel 2017 ed è promosso da Enrico Piovesana e Francesco Vignarca nell’ambito delle attività della Rete Italiana per il Disarmo
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