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17/05/2019

Il gioco rischioso degli Stati Uniti in crisi

“S/globalizzare” l’economia non è un gioco da ragazzi. Né per cuori deboli. Se i consiglieri nazionalisti di Trump pensavano di poter imporre facilmente gli interessi statunitensi – ri-localizzare negli States una parte della produzione manifatturiera fuoriuscita negli anni d’oro del Wto, senza però perdere la centralità sui mercati finanziari – la realtà si sta incaricando di mostrare quanto quella pretesa fosse illusoria. E pericolosa.

La “guerra dei dazi” aperta contro la Cina (e la Germania, anche se se ne parla meno) non è e non poteva essere un blitzkrieg. O meglio: come tutte le “guerre lampo” ha smesso di esser tale quando ha lasciato il tavolo degli “strateghi” per diventare scontro sul campo.

Abbiamo già scritto diverse volte su questo argomento, per cui ci limitiamo ad aggiornare sugli ultimi sviluppi, che stanno mettendo a dura prova anche gli analisti professionali dei giornali specializzati. Al punto che nella stessa testata – IlSole24Ore, per esempio – c’è chi ritiene che stiano vincendo i cinesi, e chi all’opposto vede in vantaggio gli americani.

Le guerre economiche, del resto, sono altrettanto complesse di quelle militari, e spesso le preparano. Ma se a darsele di santa ragione – per ora lavorando più di fioretto che di sciabola – sono due giganti, tutta la cristalleria del capitalismo attuale va in sofferenza.

Mettere un dazio del 25% su praticamente tutti i prodotti cinesi da importare negli Usa (per oltre 500 miliardi dollari), significa infliggere un danno pesante alla produzione di Pechino. Che ovviamente ha risposto facendo altrettanto, ma su un ventaglio di prodotti minore perché le importazioni cinesi dall’America sono certamente di dimensioni inferiori.

Ma l’arma delle tariffe doganali non è l’unica che si possa usare, in questo tipo di guerre. E quindi il Celeste Impero ha fin qui compensato le perdite (potenziali, perché i dazi non sono ancora operativi sulle merci già partite) lasciando svalutare la moneta. Il calcolo che ne deriva – secondo Vito Lops, de IlSole24Ore – vede ampiamente in vantaggio la Cina, per ora.

Ma altre armi sono a disposizione dei duellanti. Si segnalano infatti fughe di capitali stranieri dalle borse cinesi (Hong Kong e Shangai), per “chiara reazione difensiva degli investitori internazionali davanti agli scenari fuori-controllo”. Capitali che in parte corrono verso un parcheggio “sicuro” come i titoli di Stati di Washington, i quali però negli stessi giorni stanno subendo massicce vendite proprio da parte di Pechino (e Parigi, imprevedibilmente).

Del resto gli investitori cinesi si erano già clamorosamente assentati alle due ultime aste di Treasury Bond americani, facendo intuire l’irritazione per l’innalzamento dei dazi e i veti alla tecnologia di Huawei.

Ma in un’economia mondiale altamente interconnessa le mosse decise dai governi alimentano movimenti dei mercati assolutamente autonomi e in larga parte imprevedibili. Per esempio: “Persino i Bitcoin – notoriamente utilizzati in Asia per esportare capitali illegalmente – sembrano essere entrati nella partita: malgrado la stretta delle autorità di regolamentazione cinesi, i Bitcoin sono saliti del 40% da venerdì scorso, superando con slancio gli 8.000 dollari: il prezzo della crypto-valuta (come è accaduto durante l’ultima crisi tra Stati Uniti e Corea del Nord) è raddoppiato nell’arco di poche settimane”.

E’ finita? No, perché una guerra commerciale Usa-Cina si trascina dietro attese per una frenata complessiva della crescita, e dunque un minor utilizzo di materie prime (petrolio e ferro in primo luogo). Dunque un calo generalizzato dei relativi prezzi che andrà ad incidere sui bilanci di molti paesi estrattori (Usa compresi, specie per quanto riguarda greggio e gas).

Su tutto, va ricordato, aleggia sempre la “bolla del dollaro”. Moneta di riserva globale, bene-rifugio, unità di misura... Tante funzioni-chiave che si reggono però sulla “credibilità” degli Stati Uniti come decisore globale, autorevole e magari anche autoritario, spesso, ma attendibile.

Proprio quel che sta venendo a mancare, agli occhi del mondo, da qualche anno a questa parte...

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