A Prato un uomo di 65 anni si è suicidato nel chiostro di San Francesco. Da pochi giorni aveva ricevuto una lettera di sfratto, nella quale la Curia gli comunicava di aver bisogno dell’appartamento dove viveva per procedere con la ristrutturazione di parte del complesso, che si trova nel centro cittadino. L’uomo, aveva 65 anni e viveva nell’indigenza e proprio per questo era stato accolto “per motivi di carità all’interno del complesso parrocchiale” circa 4 anni fa.
A Torino una donna di 63 anni, dipendente del Comune, si è suicidata gettandosi dal palazzo comunale perché aveva ricevuto la lettera di sfratto.
Due episodi in pochi giorni, due contesti diversi ma un problema e un dramma comune, quello degli sfratti. Il boom degli sfratti si è consolidato e acutizzato nel tempo. I dati più recenti lo confermano anche nella sua articolazione territoriale.
Ormai sono troppe le persone in condizione di criticità sociale. E’ sufficiente una lettera di sfratto per spalancare un baratro in cui, in mancanza di sostegni istituzionali o di organizzazione comune con le altre persone in condizioni simili (opzione però fortemente criminalizzata dal ministero degli Interni e dalle leggi introdotte), si vede tutto buio e si decide di farla finita.
Oggi a Roma è andata diversamente, la signora Maria Pia, affetta da Alzheimer, non è stata sfrattata dalla sua casa a Casalbruciato perché c’è stato un picchetto popolare a impedirlo e una comunità proletaria che ha fatto scudo. Al picchetto c’era anche la signora Annamaria, una donna anziana sfrattata alcuni mesi fa con grande dispiegamento di forze da Villa Gordiani. I talk show televisivi cercano storie “di vita”, ma se le collegassero tutte insieme invece di visualizzarle come episodi specifici (spesso amplificandone i peggiori, quelli strumentalizzati dai fascisti), ne ricaverebbero la dimensione generale e pesantissima del problema: quella che richiede soluzioni vere, collettive, ispirate da uno spirito di giustizia sociale.
Non è importante se a sfrattarti sia la Curia vescovile, un proprietario privato o le istituzioni che gestiscono le case popolari, è decisivo il fatto che di fronte allo sfratto non sono previste alternative che ne limitino le conseguenze, spesso devastanti nelle figure sociali più deboli. Per questo gli sfratti sono un aspetto decisivo dell’emergenza abitativa e di quella sociale complessiva. La resistenza e l’organizzazione sono un dovere di giustizia sociale, più forte delle leggi. E’ tempo che lo si comprenda e si agisca di conseguenza.
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