Cambia il disegno del mondo, e il Vecchio Continente può solo guardare quel che sta accadendo, senza alcuna possibilità di incidere sui processi. Là dove prova a reagire, accentuando o recuperando la memoria imperialista, si rivela un colonizzatore dal braccio corto – nell’Africa sahariana, principalmente – con tecnologie “mature” e zero visione globale.
La guerra aperta da Trump – lo ripetiamo quasi ogni giorno – è ufficialmente contro la Cina, ma coinvolge direttamente anche Russia e soprattutto l’Unione Europea. O meglio: il suo “nocciolo” franco-tedesco, che aveva fin qui maturato ambizioni competitive fondate più sull’orgoglio che sulle forze reali.
Andiamo con ordine, possibilmente, mentre le notizie si accavallano.
La decisione di Google – obbedire al diktat di Trump contro Huawei – apre un conflitto di tipo “nazionalistico” nel comparto industriale che più di tutti aveva beneficiato della “globalizzazione”, fino ad incarnarne il volto positivo (quello negativo è appannaggio incontrastato della finanza speculativa e delle banche). Un comparto, quello dell’informatica, che ormai innerva tutti i sistemi propriamente industriali, amministrativi, gestionali e commerciali.
Pensare di ricreare “confini nazionali” dentro questo universo è quasi una follia, visto l’intreccio inestricabile tra produzioni di componenti hardware, sistemi operativi, app, programmi dedicati, dispositivi di rete, ripetitori, ecc. Ma nessun produttore privato può rischiare di disobbedire all’ukaze statunitense e di perdere, di conseguenza, l’accesso a quel mercato.
Nessun produttore privato, però, può perdere a cuor leggero l’accesso al mercato del futuro – quello cinese – che già oggi rappresenta una quota rilevantissima dei consumi globali e si avvia a diventare il più grande dei mercati “nazionali” (1,4 miliardi di persone, con redditi crescenti e consumi in proporzione).
La contraddizione è enorme e lacerante. Google, per esempio, con quella decisione sta rischiando il suicidio: il 25% delle sue entrate è infatti rappresentato dalla vendita di licenze Android a Huawei (compresa la controllata Honor). Quale multinazionale può sopportare senza dolore un taglio di queste dimensioni?
Soprattutto: se, com’è ormai accertato, Huawei ha quasi ultimato un suo sistema operativo alternativo e compatibile con le applicazioni scritte per Android (HongMeng OS), è davvero così vantaggioso perdere una posizione quasi monopolio (tra i sistemi operativi per smartphone ci sono soltanto iOS di Apple e quello Microsoft, ma a grande distanza) e favorire la crescita di un concorrente così potente?
Lo stesso calcolo va fatto per tutti i produttori di componenti fondamentali da inserire nei device – portatili e non – del colosso tecnologico cinese. Fabbricanti di semiconduttori, chip, memorie di massa, schede, app, sono già ora costretti a rivedere i propri programmi di produzione e investimento. Molti di questi hanno stabilimenti di produzione in Cina e stanno facendo frettolosi calcoli sul trasferimento migliore. Per la Cina sarà un grosso danno, ma per le multinazionali Usa anche.
Trump spera di attirare molta di questa capacità produttiva negli States, ma i privati ragionano con il portafoglio al posto del cuore. E dunque puntano semmai a paesi come India, Cambogia, Thailandia, Messico... Costo del lavoro e bassa tassazione possono compensare largamente il costo del trasporto (specie per le componenti di piccole dimensioni e alto valore aggiunto).
Buona parte delle società hi-tech statunitensi sono entrate in fibrillazione, perché il loro orizzonte si è improvvisamente ristretto e devono affrontare difficoltà inimmaginabili solo uno o due anni fa. Per dire: le infrastrutture di rete fornite da Huawei sono parte essenziale di molti sistemi informatici di aziende Usa, visto che costavano un terzo rispetto a quelli offerti dalla statunitense Cisco. Sostituirli richiederà soldi, tempo, problemi tecnici, ingorghi, blackout improvvisi dei servizi.
Come spiega un executive di una società tech americana rimasto comprensibilmente anonimo, «Quello che sta accadendo in questi giorni è un gioco pericoloso perché è come pensare di rompere una vena di un organismo senza rompere un’arteria. Tutti ne risentiranno».
Non sarà solo l’informatica a risentirne, perché la guerra dei dazi coinvolge migliaia di produttori di tutti i settori, dai giocattoli alle calzature. Senza dimenticare il redditizio settore aeronautico, dove le recenti tragedie provocate dai Boeing 737 Max stanno innescando non solo cancellazioni degli ordini di acquisto, ma anche richieste di risarcimento danni. In prima fila – non per caso – i tre principali vettori cinesi. China Southern, China Eastern e Air China hanno chiesto formalmente di essere compensate dal produttore americano, dopo che erano state le prime a sospendere i voli dei 737 Max per ragioni di sicurezza.
Meno affari per tutti, rallentamento globale delle economie e dello sviluppo tecnologico. La tanto attesa introduzione del 5G in Occidente, per esempio, che ha in Huawei la sperimentazione più avanzata, slitterà di molti mesi, forse qualche anno, se la società cinese sarà esclusa davvero anche in Europa. I possibili fornitori come Cisco, Eriksson, Nokia, ecc. sono infatti molto più indietro nello sviluppo della tecnologia necessaria. E non è affatto certo che possano produrla con tassi di efficienza operativa paragonabile a quella accertata già ora nelle tecnologie Huawei.
La differenza d’approccio tra Occidente e Cina è però sempre più evidente. Trump (e tutto l’establishment euro-statunitense) ragiona orientato a dare risposte immediate, spesso sulla base di esigenze politiche contingenti (elezioni, inchieste giudiziarie, oscillazioni di borsa o del Pil). I vertici cinesi ragionano invece sul lungo periodo, programmando e verificando i passaggi indipendentemente dalla permanenza di tizio o caio nei ruoli chiave.
La dimostrazione sta nel discorso fatto da Xi Jinping nella provincia di Jiangxi: “Siamo qui al punto di partenza della Lunga Marcia per ricordare il momento in cui l’Armata Rossa ha iniziato il suo viaggio. Ora ci stiamo imbarcando in una nuova lunga marcia, e dobbiamo ricominciare tutto da capo!“.
Due avvertenze sembrano necessarie, per permettere al lettore italiano – specie quello più giovane – di intuire le molte implicazioni di una frase apparentemente solo retorica.
a) Xi Jinping parlava dal distretto più importante della Cina per l’estrazione e lavorazione delle terre rare, indispensabili per gran parte delle produzioni hi tech. Di questi minerali Pechino è attualmente quasi l’unico esportatore a livello mondiale (oltre il 95% del totale).
b) La Lunga Marcia – che sotto la guida di Mao Zedong, Lin Piao e Chu Teh portò dall’invasione giapponese negli anni ‘30 alla vittoria della Rivoluzione nel 1949 – fu una strategia difensiva, meditata in ogni passaggio e senza alcuna concessione alla fretta.
Xi, 66 anni, è figlio di uno dei comandanti di quella guerra. In famiglia e nel partito, se ne sarà fatto un’idea piuttosto chiara.
Le guerre vengono sempre aperte da chi pensa di poter vincere abbastanza rapidamente. Poi vanno in un’altra maniera...
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