L’industria degli armamenti in Europa non è mai stata così sana. Il “Fondo europeo per la difesa” potrebbe essere incrementato del 22% per il periodo 2021–2027, fino a raggiungere i 13 miliardi di euro. Ciò nonostante gli scandali legati alle esportazioni europee di armi verso le zone di conflitto, come lo Yemen. I futuri eurodeputati dovranno approvare o meno questa impressionante esplosione di bilancio.
Questi 13 miliardi di dollari saranno utilizzati per la ricerca sulle “tecnologie innovative” militari, come i droni o le armi incendiarie, “la cui applicazione può cambiare radicalmente i concetti di difesa e il modo in cui vengono condotte le operazioni di difesa” [1]. E finanzierà le aziende produttrici di armi per sviluppare questi progetti “pilota”.
Una vittoria per le lobby degli armamenti
Questo aumento del bilancio è dovuto in parte alla pressione delle lobby dell’industria degli armamenti. Il “Fondo europeo per la difesa” è stato istituito nel 2016 in seguito alle raccomandazioni di un “Gruppo di personalità”, di cui almeno sette dei sedici membri provenivano dall’industria delle armi [2]. Il primo bilancio del fondo è stato di 590 milioni di dollari per il 2017–2020.
La convalida di questo bilancio sarà una delle sfide delle elezioni europee del 26 maggio: i neoeletti parlamentari saranno chiamati a deciderne l’ammontare. “Contrariamente a quanto è stato spesso suggerito, gli eurodeputati hanno chiaramente la possibilità di rifiutare di concedere questi 13 miliardi di euro al Fondo europeo per la difesa”, spiega Laëtitia Sédou, responsabile del programma della Rete europea contro il commercio di armi (Enaat). I parlamentari hanno due opzioni: o mettono a punto la proposta della Commissione e votano sull’aumento di bilancio o la respingono. Se lo accettano, durante la votazione del prossimo autunno, non avranno più la possibilità di metterlo in discussione per la durata del ciclo di bilancio (fino al 2027).
“Escludere il Parlamento europeo dal suo consueto ruolo di monitoraggio e da una certa influenza su un’attuazione più precisa è di per sé un precedente estremamente pericoloso per tutti i programmi dell’UE”, commenta Laëtitia Sédou. Sorgono anche questioni giuridiche, poiché il trattato di Lisbona vieta esplicitamente il finanziamento di progetti militari o di difesa attraverso il bilancio comune dell’Unione Europea.
Violazioni del diritto europeo e internazionale
Il voto degli eurodeputati si svolgerà sullo sfondo di controversie sull’esportazione di attrezzature militari verso paesi accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. È il caso della coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, che la Francia rifornisce di armi, contro i ribelli Houthi nel contesto della guerra civile nello Yemen (Mirages 2000, carri armati Leclerc, cannoni Caesar: la Francia è il fornitore ufficiale della carneficina yemenita).
Tuttavia, il trattato sul commercio di armi (ATT) e i regolamenti europei vietano i trasferimenti di attrezzature militari, in particolare quando vi sono rischi di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale o di destabilizzazione regionale (Yemen: è probabile che la Francia violi il trattato sul commercio di armi e sia perseguita penalmente).
Cosa accadrà nel caso di un’arma co-prodotta da diverse aziende europee e finanziata dal fondo? Quale pratica dominerà: il lassismo francese o il rigoroso rispetto degli impegni internazionali? Per Laëtitia Sédou, non c’è dubbio: “Il Fondo europeo probabilmente utilizzerà come riferimento il minimo comune denominatore”. Nel contesto di una coproduzione franco-tedesca, la Francia diventerebbe il riferimento, ad esempio, mentre le sue esigenze di esportazione di armi sono molto meno importanti di quelle della Germania.
“Solo perché produciamo più armi non significa che ci proteggiamo meglio”
In un contesto geopolitico teso, alcuni parlano dell’importanza che l’Unione Europea investa in un fondo di difesa per potersi proteggere in caso di minaccia. Questo è uno dei punti sollevati dalla Commissione europea. “Solo perché produciamo più armi non significa che ci proteggiamo meglio”, dice Laëtitia Sédou. Moltiplicare il bilancio di questo fondo rischierebbe di aumentare la duplicazione delle attrezzature militari e di alimentare una corsa agli armamenti.
Tuttavia, la Commissione europea insiste sui benefici di tali investimenti per la crescita e la creazione di posti di lavoro in Europa. La Rete europea contro il commercio di armi (Enaat) precisa questo argomento: ha calcolato che i posti di lavoro nel settore della difesa rappresentano solo lo 0,6% dell’occupazione totale nell’economia dell’UE nel 2016 (esclusi i settori non di mercato e finanziario). L’organizzazione indipendente dimostra inoltre, sulla base di studi, che gli investimenti in spese militari hanno un impatto neutro, se non negativo, sull’economia di un paese.
In Francia, i vari candidati alle elezioni di domenica non affrontano la questione, che è cruciale per la gestione del progetto europeo.
Note
[1] Vedi qui.
[2] Airbus (franco-tedesco), il produttore di missili MBDA (Francia), l’Associazione europea delle industrie aerospaziali e della difesa (una lobby degli armamenti), BAE System (Regno Unito), Saab (Svezia), TNO (Paesi Bassi), Leonardo (Italia).
* Traduzione a cura di Andrea Mencarelli (Potere al Popolo) dell’articolo pubblicato su BastaMag.
Fonte
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