Nel Consiglio Direttivo di settembre la Banca Centrale Europea (BCE) ha deciso di riprendere il programma di acquisti netti di titoli finanziari (Asset Purchase Programmes) meglio noto come QE, ovvero il famigerato Quantitative Easing. Con
il QE la banca centrale espande la liquidità a disposizione del sistema
economico con lo scopo dichiarato di ripristinare il corretto
meccanismo di trasmissione della politica monetaria: si suppone che la
liquidità immessa allenti le tensioni sui mercati finanziari e consenta
dunque all’economia reale di tornare sui binari della crescita. La banca
centrale inonda il sistema di liquidità acquistando titoli finanziari,
in prevalenza titoli di Stato dei paesi dell’area euro: tramite questi
acquisti, i titoli finiscono nella pancia della banca centrale mentre il
denaro, il prezzo pagato per acquistare quei titoli, entra nel sistema
economico.
Attraverso questo meccanismo, la BCE ha
introdotto nell’economia europea tra i 60 e gli 80 miliardi di euro ogni
mese dal marzo 2015 al dicembre scorso, quando il programma di acquisti
netti è stato provvisoriamente concluso, nell’ipotesi che tre anni di
stimoli monetari fossero stati sufficienti a rivitalizzare il sistema
finanziario e produttivo dell’area euro. Invece, il primo semestre del
2019 ha mostrato evidenti segni di stagnazione, con la produzione in calo
persino nel cuore pulsante dell’Europa, la Germania, e l’inflazione al
di sotto delle aspettative.
Insomma, gli effetti positivi del QE
sull’economia europea non si sono mai visti,
nonostante la massiccia iniezione di liquidità messa in atto dalla BCE a
partire dal 2015. Il Presidente della BCE, Mario Draghi, ha
sostanzialmente ammesso questo fallimento, ma ovviamente ne imputa ad
altri la responsabilità: secondo Draghi la politica monetaria sta
facendo tutto ciò che è in suo potere per rilanciare l’economia
europea, ma senza un briciolo di politica fiscale espansiva da parte
della Germania diventa impossibile evitare il baratro di un’altra
recessione. Il realtà, l’attento Draghi non ha mai nominato
espressamente la Germania, ma ha apertamente parlato di “governi che hanno a disposizione spazio fiscale (ossia, che hanno debito e deficit sotto controllo, ndr) e stanno fronteggiando un rallentamento”. Più chiaro di così non poteva essere: infatti, la Germania, come abbiamo recentemente visto,
sta mostrando tutti i segnali di una crisi. Quel che ci interessa è che
la stessa BCE ammette la sostanziale inefficacia del QE come strumento
di rilancio dell’economia. Ma allora perché rimettere in moto il
programma di acquisti netti? Quali sono gli effetti più importanti del
QE, al di là delle dichiarazioni ufficiali?
Due sono gli effetti principali del Quantitative Easing
sull’economia. Il primo è stato spesso menzionato, ma sempre di
sfuggita – e vedremo perché. Gli acquisti di titoli pubblici operati
dalla BCE hanno senza dubbio l’effetto di comprimere il costo del debito
pubblico pagato dai governi dell’area euro. Difatti, gli acquisti della
banca centrale rafforzano la domanda di titoli del debito pubblico e,
per questa via, determinano una riduzione del tasso d’interesse
pagato dai governi, dando sollievo ai conti pubblici proprio nella fase
in cui l’austerità rende più stringenti i vincoli di bilancio europei
del Fiscal Compact. Da quando la BCE ha annunciato l’intenzione di riprendere il QE (discorso di Sintra del luglio scorso),
il costo del debito pubblico italiano ha iniziato una parabola
discendente dal 3% allo 0,8% registrato in questi giorni. Questo è senza
dubbio un effetto positivo del Quantitiative Easing, perché riduce la
quota di spesa pubblica destinata al servizio del debito e dunque, in un
contesto di vincoli alla spesa, aumenta la quota di spesa pubblica che
può essere destinata alla spesa sociale.
Dicevamo che spesso i commentatori glissano sull’importanza di questo effetto positivo del QE, e sapete perché? Perché si tratta di un effetto collaterale,
assolutamente indesiderato dall’autorità monetaria europea – che ha per
l’appunto disegnato il programma di acquisti in modo tale da rendere
minimo l’impatto positivo del QE sul costo del debito pubblico dei paesi
periferici. La banca centrale si impegna a suddividere tra i paesi
europei i suoi acquisti mensili non sulla base dell’entità dei debiti
pubblici detenuti da ciascun paese, ma sulla base della quota del
capitale della BCE detenuta da ciascun paese: un criterio che rispetta
le gerarchie politiche interne all’Europa, non un criterio di
ottimizzazione degli acquisti. Ciò significa che la BCE acquista
soprattutto titoli del debito pubblico tedeschi, ed in misura sensibilmente inferiore titoli di Stato italiani.
Se si aggiunge a questo la diversa struttura del debito pubblico dei
due paesi – il debito pubblico italiano è sostanzialmente tutto debito
dello Stato centrale, cioè BTP, mentre quello tedesco è per metà debito
degli stati federati – si comprende come sia possibile che il QE non
abbia ancora azzerato i differenziali tra i costi del debito pubblico
dell’area euro, il fatidico spread. In buona sostanza, la BCE
potrebbe liberare molte più risorse nel bilancio degli Stati della
periferia europea se solo modificasse le regole del QE, realizzando
acquisti direttamente proporzionali al debito pubblico dei singoli
paesi. Se lo facesse, probabilmente non sentiremmo più parlare di spread ed
il servizio del debito pubblico diventerebbe trascurabile – come
avviene in Giappone. E come di fatto avviene anche in Germania, dove il
tasso di interesse sui titoli pubblici decennali è oggi prossimo a
-0,6%: la pubblica amministrazione tedesca si indebita a tassi negativi,
il che significa che riceve denaro dai creditori per contrarre nuovo
debito. Tutto grazie al fatto che la Germania è il paese che maggiormente beneficia degli acquisti netti realizzati dalla banca centrale.
D’altronde, e arriviamo al punto, il QE è stato disegnato dall’autorità monetaria europea proprio per rendere maggiore il suo controllo della politica economica dei singoli paesi.
Se la BCE acquistasse in massa il debito pubblico dei paesi periferici,
questi sarebbero messi nelle condizioni di praticare politiche fiscali
espansive, rilanciando l’occupazione e i salari. Al contrario, la
politica monetaria viene usata come una camicia di forza, tanto più
stretta quanto maggiore è il grado di disciplina che si vuole imporre:
la Germania è privilegiata dal QE, e Draghi la incoraggia addirittura ad
aumentare il deficit pubblico per sostenere l’economia europea tutta,
mentre i paesi periferici, dall’Italia alla Grecia, devono sottostare
alla più stringente disciplina di bilancio e rispettare l’agognata
agenda delle riforme. Perché? Perché il loro stato sociale è ancora
troppo consistente, troppo generoso, e deve essere abbattuto a suon di
austerità, lacrime e sangue. In questo senso, il secondo effetto
principale del QE è una vera e propria minaccia per qualsiasi opzione di
riscatto sociale nella periferia d’Europa. Con i suoi acquisti,
infatti, la BCE è entrata in possesso di una quota consistente del
debito pubblico di tutti i paesi dell’area euro; detto in altri termini,
l’autorità monetaria europea è divenuta il principale creditore dei paesi dell’euro.
E i creditori, si sa, hanno un grande potere sui loro debitori.
Pensiamo al caso italiano: la BCE detiene oltre 360 miliardi di euro di
titoli di Stato italiani. Qualora un governo democraticamente eletto
decidesse di violare i vincoli europei al fine di restituire
dignità ai lavoratori promuovendo una crescita inclusiva e favorevole
alle classi subalterne tramite un consistente aumento della spesa
pubblica, l’autorità monetaria non dovrebbe fare altro che
iniziare a svendere parte dei titoli di Stato italiani in suo possesso
sui mercati: così facendo, ne farebbe crollare le quotazioni spingendo
al rialzo il costo del debito pubblico con una dinamica identica a
quella che, dieci anni fa, ha dato inizio alla crisi greca. Vi sembra fantascienza? Eppure un assaggio di tutto questo si è avuto in tempi recenti:
per disciplinare il nascente governo giallo-verde, la BCE ha calibrato i
suoi acquisti in modo tale da indurre un aumento degli spread in
concomitanza con la discussione sulla compagine governativa, ed ha poi
raffreddato i mercati con ingenti acquisti di BTP subito dopo che la
nuova maggioranza ha accettato i tecnici scelti dal Quirinale nei
dicasteri di maggiore importanza (in particolare Tria all’economia e
Moavero Milanesi agli esteri).
Da un punto di vista politico, il fatto
stesso che un’enorme quantità di titoli pubblici risieda nelle casse
della BCE fornisce a quest’ultima un potere immenso che influenza la
gestione del debito pubblico dei singoli paesi: con il QE, la banca
centrale finisce col detenere una massa di titoli di Stato
potenzialmente esplosiva se gettata sul mercato, un’arma che le
garantisce una forza persuasiva enorme sulle decisioni di politica
fiscale dei singoli Stati e quindi, in ultimo, sulla possibilità di
effettuare politiche fiscali espansive a sostegno della collettività.
Tenendo le redini dei debiti pubblici europei attraverso gli acquisti
del QE, l’autorità monetaria europea assurge a dominus del
sistema politico dei paesi più deboli, costretti a sottostare al più
ferreo rigore di bilancio dalla mera minaccia di una ritorsione
finanziaria.
Un punto deve essere chiarito. In linea
teorica, non vi è nulla di sbagliato in un ruolo dominante della banca
centrale nella gestione del debito pubblico di un paese. Di norma,
infatti, si suppone che la banca centrale si ponga al servizio della sua
collettività. In Europa le cose stanno diversamente: i paesi dell’euro
hanno rinunciato alla sovranità monetaria, delegandola ad un’autorità
indipendente – la BCE – che impiega le leve di politica monetaria per
tenere sotto scacco i governi nazionali ed imporre ad un intero
continente le politiche di austerità. Il problema, quindi, non sta certo
nel protagonismo della banca centrale in sé, quanto piuttosto nel fatto
che la BCE adopera tutta la sua autorità, tutto il suo potere sul
governo della moneta, per mettere in ginocchio i lavoratori europei e
distruggere lo stato sociale. Se vogliamo difenderci da questa lotta di
classe condotta dall’alto verso il basso, dobbiamo prestare attenzione
anche alla politica monetaria, e al bazooka che la BCE tiene puntato sulle nostre rivendicazioni.
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