“La democrazia si difende difendendo la democrazia”, tuonano i democratici tutti d’un pezzo, sbigottiti all’idea che Donald Trump continui a “chiedere aiuti stranieri per infangare la famiglia del vicepresidente Biden” . Hanno scordato, gli integerrimi democratici, di quando Joe Biden, per coordinare meglio l’aggressione ucraina al Donbass, fatta in nome della “democrazia” targata Obama-Biden-Clinton, dichiarava tra il serio e il faceto di “incontrarsi con Petro Porošenko più spesso che con la propria moglie”, per i continui viaggi a Kiev, a curare gli affari di stato e di famiglia? Dunque, quale “democrazia si difende difendendola”? Quella del golpe nazista a Kiev, finanziato da Washington con 5 miliardi di $; degli antifascisti bruciati vivi alla casa dei Sindacati di Odessa; quella demo-repubblicana USA, che addestra e finanzia i battaglioni neonazisti ucraini, che fanno stragi in Donbass, o dei fascisti yankee che si addestrano in Ucraina tra i nazisti di “Azov”; quella del FMI che ha ridotto alla fame il popolo ucraino e lo lascia al freddo ogni inverno, che privatizza i terreni ucraini per svenderli ai monopoli energetici e agro-alimentari USA; quella dell’ex vice Presidente USA, che impone le dimissioni del Procuratore ucraino Viktor Šokhin, colpevole di indagare sulla Burisma Holding? Ma quando mai! La democrazia, la si difende salvaguardando il buon nome di un cristallino “democratico”, oltraggiato da un Trump che “non sta bene, non è lucido, non è in sé”.
Nell’ormai inflazionato colloquio telefonico del 25 luglio, Trump avrebbe così ricattato il presidente ucraino Vladimir Zelenskij: per non congelare i 391 milioni di $ di aiuti militari stanziati dal Congresso, gli avrebbe chiesto di far luce su “cosa sia successo in tutta questa situazione con l’Ucraina”, intendendo le voci sul ruolo di hacker ucraini nella campagna elettorale USA del 2016. Si sarebbe anche parlato di una possibile dichiarazione pubblica, in cui Zelenskij avrebbe dovuto annunciare l’avvio di indagini su Burisma. In effetti, per “infangare” la famiglia Biden, il lestofante ora di turno alla Casa Bianca, avrebbe anche potuto fare a meno di ricorrere a “paesi stranieri”: da almeno cinque-sei anni, le cronache politico-affaristiche di alcuni media riportano le vicissitudini in terra ucraina dei Biden, padre e figlio.
“Biden sa della corruzione in Ucraina non per sentito dire”, titolava la russa Vzgljad nel dicembre 2015, e citava il New York Times: “Joe Biden ha detto che Petro Porošenko è un membro della sua famiglia. Entrambi non nascondono i propri interessi personali in questa unione”. Nel momento in cui “il vicepresidente Joe Biden invita la leadership ucraina a compiere ogni sforzo per combattere la corruzione” continuava il NYT, “il rapporto di suo figlio Hunter Biden con una delle più grandi compagnie ucraine di gas, la Burisma Holdings, induce a dubitare della sincerità delle intenzioni di suo padre”. Anche Wall Street Journal calcava la mano sul fatto che Hunter Biden lavorasse “per un’azienda ucraina, diretta da un ex Ministro ucraino, Nikolaj Zločevskij, accusato di riciclaggio”.
Non erano ancora freddi i cadaveri di poliziotti e manifestanti contro cui avevano sparato i cecchini polacchi, lituani, georgiani pagati dall’ambasciata USA a Kiev, che già Hunter Biden e Devon Archer, nell’aprile 2014, entravano nel CdA della Burisma, all’epoca la più forte compagnia energetica privata ucraina: proprio nel momento in cui, secondo il NYT, era partita l’indagine sul riciclaggio. A marzo 2014, infatti, Zločevskij – finanziatore dei nazisti di “Azov” – aveva tentato di trasferire a Cipro 23 milioni di $ dal suo conto britannico presso la francese BNP Paribas. Ciò aveva sollevato sospetti di riciclaggio e Londra aveva congelato i suoi fondi. La portavoce di Joe Biden si era affrettata a dichiarare che gli affari di Hunter Biden non hanno nulla a che fare con la politica del padre per l’Ucraina.
Ora, lo storico americano Eric Suess scrive su Global Research che, per comprendere il perché Zelenskij sia riluttante a render pubblico tutto il lerciume su Joe Biden, bisogna sapere che il boss e benefattore di Hunter Biden alla Burisma è stato, almeno in parte, anche boss e benefattore di Zelenskij stesso. Vale a dire: l’ex governatore della regione di Dnepropetrovsk, concorrente in affari di Petro Porošenko: l’oligarca Igor Kolomojskij, il cui impero finanziario si estendeva a nord del bacino del Dnepr-Donets – la principale regione estrattiva ucraina che, secondo la US Energy Information Agency, racchiuderebbe 42 trilioni di m3 di gas di scisto – in cui Burisma detiene i diritti di perforazione.
Suess si rifà ad altre fonti e dice: “nel maggio 2014, con il titolo “Hunter Biden dovrebbe dichiarare a chi appartenga davvero il suo nuovo datore di lavoro ucraino, la Burisma Holdings”, Richard Smith aveva scritto che Hunter era diventato “membro del CdA” e che la “compagnia energetica ucraina ha acquisito un consigliere nella persona del figlio del vice-presidente e amico stretto del Segretario di stato”. A sua volta, Smith riportava quanto scoperto da un giornalista ucraino nel 2012. “Burisma ha cambiato proprietà nel 2011: al posto di Zločevskij e Lisin, la società è stata incorporata nella società offshore cipriota Brociti Investments Ltd. Pari e Esko-Pivnich. Una terza compagnia li stava già aspettando nello stesso edificio, la Ukrnaftoburinnja”, fondata da Zločevskij, ma passata poi al Privat Group di Igor Kolomojskij”.
Ancora Suess citaThe Washington Examiner, secondo cui, nel 2015 Burisma avrebbe pagato oltre 3 milioni di $ a Biden e Archer, successivamente però rimossi dal CdA e sostituiti da un consiglio di quattro elementi che, già dal 2013 includeva Alan Apter, della Sullivan & Cromwell, Merrill Lynch, Morgan Stanley and Renaissance Capital. Gli altri tre erano: Alexander Kwasniewski (Presidente polacco dal 1995 al 2005), membro del Consiglio Atlantico e del Bilderberg Club; Joseph Cofer Black, ex direttore del Centro antiterrorismo della CIA (1999-2002), poi vice-presidente del Blackwater Worldwide (ora Blackwater/Academi, di proprietà di Erik Prince, fratello di Betsy Prince, moglie di Dick DeVos, dell’impero Amway, Ministro della Pubblica Istruzione con Trump.
Il quarto membro è Karina Zločevskaja, figlia di Nikolaj Zločevskij, che sembra così rimanere socio di minoranza dell’azienda.
Dunque, evidenzia Suess, a controllare Burisma è Zločevskij o Kolomojskij? Obama ha sempre accusato Zločevskij di corruzione, ma lui aveva venduto Burisma a Kolomojskij ancor prima che Obama prendesse il controllo dell’Ucraina.
Ora, si sa che Viktor Šokhin – divenuto Procuratore generale nel 2015, ereditando le indagini su Burisma già avviate dalla Procura nel 2012 – nel marzo 2016 era stato rimosso con l’intervento dell’ex ambasciatore Geoffrey Pyatt, proprio su pressione di Joe Biden, per le sue indagini su Burisma. Proprio l’amministrazione Obama, sottolinea Suess, “aveva insistito a che il governo ucraino perseguisse Zločevskij, che però non era il boss di Hunter Biden, non controllava Burisma e non era collegato al governo ucraino, installato da Obama nel 2014”.
A proposito di Cofer Black e Blackwater/Academi, Suess ricorda come proprio Obama avesse ingaggiato la compagnia mercenaria per tenere sotto controllo il bacino Dnepr-Donets, per proteggere le perforazioni di Burisma. Secondo Zero Hedge, addirittura, mentre alcuni reparti ucraini proseguivano incursioni e bombardamenti contro città e villaggi del Donbass, altri erano impegnati nell’installazione delle attrezzature estrattive di Burisma nell’area di Slavjansk. “Il motivo della guerra?”, chiede retoricamente la pubblicazione: “si prevedeva che in tempo di pace il processo estrattivo avrebbe richiesto molti anni, durante i quali l’Europa sarebbe finita sotto la dittatura energetica di Putin. Ma, con la guerra, il processo, che a causa delle solite proteste contro il fracking, dura solitamente una decina d’anni, se non di più, può essere completato in pochi mesi!”. Anche se poi si è scoperto che non solo l’operazione Kolomojskij-Shell nel bacino del Dnepr, ma anche quella del governo ucraino con Chevron nel giacimento di Oleska erano economicamente ingiustificate.
Ora, tra i principali detentori del debito ucraino si possono contare Russia, FMI, American Franklin Templeton Fund, Blackstone Group, Banca mondiale, oltre a un gruppo di miliardari detentori di Eurobond, rappresentati dallo studio legale Weil Gotshal & Manges. Inoltre, anche governo USA e paesi UE sono indirettamente azionisti, attraverso le loro quote in FMI e Banca mondiale. Kolomojskij aveva derubato l’Ucraina a spese di tutti loro, i quali a loro volta fecero pressione su Porošenko perché lo destituisse da governatore. Oggi, conclude Suess, Zelenskij ha definito pubblicamente Kolomojskij come “il mio socio in affari”, ma deve anche poter contare sul sostegno americano per non crollare; probabilmente teme che, se “esaudisce la richiesta di Trump, il suo patron principale, Kolomojskij, possa finire in galera. Ma, da parte sua, Trump teme che se mette sotto pressione Zelenskij, allora l’intero “deep state”, non solo i miliardari del Partito democratico, ma anche i repubblicani, gli si rivolgano contro.
Un bel dilemma. Mica come la quisquilia su “come si difende la democrazia”! E, soprattutto: quale democrazia, repubblicana o democratica che sia; democrazia per chi; per quale classe; e chi deve esser chiamato a difenderla.
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