La sfida tra il partito laburista e quello conservatore ha caratterizzato fin qui la campagna elettorale.
Da un lato Boris Johnson leader dei tories ed ex primo ministro, succeduto a Theresa May, ha giocato quasi tutto sulla sua supposta capacità di avere raggiunto un accordo con i 27 dell’UE rispetto alla Brexit prima dell’indizione delle elezioni anticipate.
Dall’altro, Jeremy Corbyn ha puntato tutto sui contenuti di un programma politico di riforme radicali esposto nel nuovo Manifesto – il nome è in italiano – del Labour.
Tale documento è forse l’esposizione più organica che una forza politica continentale abbia fin qui espresso rispetto alle sfide che attendono chi vuole dare rappresentanza alle classi subalterne, tartassate da – almeno in Gran Bretagna – quasi 40 anni di politiche neo-liberiste, ed aspira a governare un Paese del “Primo Mondo” accettando le sfide poste globalmente.
Luci ed ombre del Manifesto
Il Manifesto non è il libro dei sogni, ma un’organica sistemazione di soluzioni concrete.
Affronta di petto la necessità della transizione ecologica, anzi ne fa l’asse principale per la trasformazione della società nel suo insieme a cominciare dai gangli vitali del sistema economico.
La declina con la questione di classe, in termini di creazione di posti di lavoro, formazione professionale, garanzie sindacali e riequilibrio delle storture territoriali del “vecchio” modello di sviluppo.
L’autonomia e il risparmio energetico all’interno dei criteri di eco-compatibilità sono alla base della ricetta laburista.
C’è una visione complessiva che potremmo sintetizzare con la formula “più pubblico, meno privato” come risultato del processo di riappropriazione dei settori strategici dell’economia e dei beni indispensabili per la collettività, a cominciare dalla settore manifatturiero, altro che de-industrializzazione!
Si prevedono per questo grandi investimenti pubblici di lungo periodo. L’orizzonte è la pianificazione economica di lungo corso, non la garanzia dell’aumento dei dividendi per gli azionisti delle oligarchie economiche su tutto ciò che può essere “mercificato”.
C’è una radicale messa al centro dei bisogni umani, dalle necessità basilari: casa, cibo, istruzione, cure sanitarie, sicurezza ambientale complessiva, ecc. tutto ciò insieme ad un ampliamento dei diritti civili sostanziali, a cominciare dall’effettiva parità uomo/donna – le donne guadagnano in media il 13% meno degli uomini – e la fine della discriminazioni sessuali e razziali, verso una società che valorizzi le differenze.
C’è una attenzione alla comprensione della natura sociale del crimine e a prospettare soluzioni che mirino alla prevenzione, alla de-carcerazione, all’inclusione, in assoluto contrasto con quaranta anni di neo-liberismo che hanno imbarbarito il tessuto sociale collettivo e favorito la guerra di tutti contro tutti, in cui la “sicurezza” delle classi popolari era l’ultima delle preoccupazioni per l’establishment.
In generale c’è una attenzione particolare alle fasce più sfavorite dalle politiche neo-liberiste, che hanno visto azzerate le più elementari garanzie vitali. In special modo donne, anziani e bambini sono stati i più colpiti in questo processo di “pauperizzazione” che ha ricacciato la Gran Bretagna in una situazione simile alla Prima Rivoluzione Industriale, con una “umanità eccedente” trattata come scarto.
C’è, potremmo definirla, una chiara identificazione del nemico cui fare pagare il prezzo di questa transizione politico-sociale: quella manciata di privilegiati – come viene detto nell’introduzione del Manifesto – a cui i Conservatori hanno lasciato mano-libera in questi anni.
È il laissez-faire ad essere messo radicalmente in discussione.
I grandi inquinatori, gli speculatori finanziari, gli evasori fiscali delle multinazionali, nelle parole di Corbyn, sono il vero volto della classe dominante e sulle loro spalle graverà il peso di un cambiamento inderogabile, perché le contraddizioni accumulate rendono questo sistema in crisi prossimo al collasso.
Certamente nell’elaborazione del Manifesto alcune questioni rilevanti – che sarebbe disonesto non sottolineare – costituiscono per così dire delle “pietre d’inciampo” sulla strada di una trasformazione complessiva della Gran Bretagna, e soprattutto della sua possibile collocazione internazionale.
È ribadita infatti la propria fedeltà alla NATO; le proposte sul dopo Brexit del Labour tendono a perpetuare il legame con il dispositivo economico-commerciale del Mercato Comune Europeo, non dando seguito al desiderio di de-connessione rispetto alla UE espresso inequivocabilmente con il referendum del 2016.
Sarebbe altrettanto disonesto non sottolineare come le riforme, e anche alcuni importanti orientamenti di politica internazionale, neghino alla radice ciò che il processo di integrazione europea è stato per le classi subalterne, e ciò che ha significato per alcune popolazioni, in specie del Nord-Africa e del Medio-Oriente (Palestina e Yemen, per esempio); oltre che alcune responsabilità della NATO, per esempio nel conflitto libico.
Allo stesso tempo sarebbe miope – a differenza di ciò che emerge dal Manifesto – non considerare come corresponsabili dell’attuale sfacelo della condizione della working class britannica e della “tendenza alla guerra” portata avanti da Londra, quella parte del partito laburista – ora marginalizzata e sconfitta politicamente, ma assolutamente non scomparsa – che si è riconosciuta nel progetto politico di Tony Blair e del suo New Labour.
Lo zoccolo duro dell’ex New Labour è la vera “Quinta Colonna” di qualsiasi progetto di inversione di tendenza nelle politiche del Partito.
Certo i Conservatori sono il primo nemico da battere, ma il nemico – per così dire – ha per lungo tempo marciato alla testa della compagine laburista, fino all’elezione di Corbyn nel 2015, che ha dovuto faticare non poco per “disinnescare” i tentativi di defenestrarlo o quanto meno di sbarrargli la strada da parte della destra interna...
Una campagna elettorale inedita
Questa settimana il Manifesto ha avuto l’endorsement di 163 economisti di fama, che hanno sottoscritto una lettera in cui spiegano sinteticamente le ragioni della loro scelta in favore del Labour, partendo dalla constatazione di una decennale stagnazione economica e di relative condizioni di vita peggiori dei livelli pre-crisi: i salari britannici sono inferiori a quelli percepiti nel 2008, per esempio.
Una decisa scelta in favore della transizione ecologica, con la “green industrial revolution”. Una politica di forti investimenti pubblici a lungo termine, in settori strategici, è considerata positivamente anche per ciò che comporta l’impatto occupazionale e l’inversione di tendenza nei servizi pubblici.
La lettera indirizzata al Financial Times e ripresa da altre testate si conclude con le seguenti affermazioni:
“A noi sembra chiaro che il Labour Party ha non solo compreso i profondi problemi che stiamo affrontando, ha fornito proposte serie per trattarli. Crediamo che meriti di formare il nuovo governo”.
Sempre questa settimana è stata caratterizzata da un vero e proprio coupe de theatre del leader laburista, che ha mostrato le più di 450 pagine di documenti ora desecretati che provano inconfutabilmente come la privatizzazione completa del sistema sanitario nazionale britannico – NHS – sia stata uno dei nodi delle trattative sulla Brexit intraprese tra il governo conservatore e l’amministrazione statunitense.
Boris Johnson ha ripetutamente e pervicacemente negato che ci fosse stato questo tipo di trattativa, giurando e spergiurando che le accuse formulate dal Labour erano pure invenzioni.
Secondo quando è stato reso pubblico da Corbyn, invece, questa trattativa è andata avanti per ben due anni – dal luglio 2017 al luglio 2019 – con sei sessioni di incontri.
Da ciò che si evince, nessun settore è stato escluso a priori dall’accessibilità al “mercato” inglese da parte degli Stati Uniti e la questione dei farmaci viene menzionata come una dei punti nodali della trattativa.
Il sistema sanitario nazionale britannico, sull’orlo del collasso per i tagli operati dai Conservatori, fa gola ai big della white economy statunitense, in particolare alle grosse case farmaceutiche.
Il differenziale di spesa pro capite tra Gran Bretagna – che ha un sistema sanitario pubblico – e quello degli Stati Uniti (totalmente in mano ai privati) rende bene l’idea di quanto l’ulteriore apertura ai privati possa essere vettore di profitti: 365 sterline in UK contro le 946 in USA.
Vista la vera censura mediatica, occorre ricordare che proprio una parte rilevante dell’industria farmaceutica statunitense è al centro di uno dei più grossi scandali e relativi processi penali della storia contemporanea, avendo incentivato – con una politica di “marketing aggressivo” – la prescrizione di oppioidi come gli anti-dolorifici, sviluppando così una dipendenza su larga scala che ha fatto un vero e proprio massacro.
Non proprio dei filantropi, quindi...
Secondo le carte ottenute dal gruppo “Global Justice Now”, grazie al Freedom of Information Law, il ministro del commercio britannico George Hollingbery – come ha rivelato The Daily Mirror – ha incontrato i giganti dell’industria farmaceutica durante il periodo di discussione degli accordi post-brexit nel quartier generale di Elli Lilly, ad Indianapolis, nell’agosto del 2018.
Un clamoroso pugno nello stomaco ai Conservatori, considerando che proprio la questione del diritto alla salute è diventata nel corso di queste settimane la prima preoccupazione politica dell’elettorato, secondo quanto riportano i sondaggi, di fatto superando le polemiche sulla “Brexit”.
Un’altra inchiesta del Guardian, pubblicata venerdì 29 novembre, a cura di Denis Campbell – esperto di politiche sanitarie del quotidiano – ha rivelato alcune cifre della privatizzazione “strisciante” del comparto.
Dal 2015 vi è stato un aumento dell’89% del valore dei contratti dei fornitori non NHS del Sistema Sanitario Nazionale, passati da 1,9 miliardi a 3,6 di sterline...
Di questo processo di esternalizzazione si sono avvantaggiate particolarmente due aziende: Care UK (una azienda del “privato sociale”) e la Virgin Care, del miliardario Richard Branson. La prima ha accumulato 17 contratti di fornitura per il valore di 731 miliardi sterline dal 2015, mentre nello stesso periodo la seconda si è aggiudicata 13 contratti del valore di 579 di miliardi.
Un processo che sembra intensificarsi come ha dimostrato una altra inchiesta del quotidiano britannico del luglio di quest’anno: per l’anno 2018-19 i privati si sono aggiudicati contratti per 9,2 miliardi!
Un altro punto nodale su cui si è incentrata la campagna elettorale del Labour questa settimana è stato il “cambiamento climatico”, uno degli aspetti tra l’altro più importanti dell’impalcatura del Manifesto, che avuto l'appoggio dalla nota intellettuale ed attivista statunitense Naomi Klein, con un video di alcuni minuti.
L’impianto del partito laburista e le affermazioni del capo del Labour sono molto chiare e sposano l’urgenza nel dovere adottare soluzioni adeguate – queste elezioni sono the last chance, cioè l’ultima possibilità per porvi rimedio – identificando chiaramente i veri responsabili: “100 aziende sono responsabili del 70% delle emissioni inquinanti a livello globale e non si deve pagare il prezzo della transizione a net zero economy.”
Il messaggio è chiaro, la soluzione non è l’austerità ecologica fatta pagare ai più, ma va addebitata ai veri responsabili, cioè l’esatto contrario delle ricette che oligarchie europee stanno apparecchiando e di cui Macron è stato il più risoluto interprete (come per l’aumento delle accise sui carburanti che ha ispirato il movimento delle “gilet gialli”, dal novembre dell’anno scorso).
La “marea gialla” e questa radicalizzazione del Labour sono figlie delle stesse dinamiche – certamente con modalità e sbocchi diversi – ma sono comunque entrambe espressione del riemergere della lotta di classe e del processo di politicizzazione della contraddizioni nella convulsa epoca della fine dell’egemonia neo-liberista.
Andiamo a vedere nel dettaglio, facendo una sintesi ragionata dei maggiori aspetti presenti nelle 107 pagine del Manifesto, mettendo in corsivo le traduzioni di alcuni passaggi salienti.
Per agevolare la lettura abbiamo diviso l’esposizione in due parti, riservandoci di pubblicare in un successivo contributo l’analisi dettagliata della seconda metà del programma laburista di cui abbiamo qui trattato solo i primi due capitoli.
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Il Manifesto
Il documento si compone di 5 capitoli ed è preceduto da una introduzione di Jeremy Corbyn.
A green industrial revolution, cioè una rivoluzione industriale ecologica che affronta i 4 sotto-capitoli i seguenti temi: Economia ed Energia, Trasporti, Ambiente e il Benessere degli animali.
È uno dei punti dirimenti della proposta complessiva del Partito laburista, che coniuga transizione ecologica, armonizzazione territoriale, creazione di un milioni di posti di lavoro ben pagati e sindacalmente rappresentati.
Il secondo capitolo: Rebuild Public Services è dedicato a tutti gli aspetti del Welfare State e della necessità della sua ricostruzione ad iniziare dalle modalità con cui finanziarlo ed include: il NHS e il diritto di cura, il sistema dell’istruzione, la polizia e la sicurezza, il sistema giudiziario, le comunità e il governo locale, la politica anti-incendio e i soccorsi, nonché il digitale, la cultura i media e lo sport.
Il terzo capitolo Tackle Poverty and Inequality tratta di come affrontare la povertà e le disuguaglianze ed è diviso in sei parti: lavoro, donne e eguaglianze, questione migratoria, sicurezza sociale, la questione abitativa e i problemi costituzionali.
Il quarto capitolo The Final Say on Brexit è dedicato alla Brexit, mentre l’ultimo si intitola esplicitamente A New Internationalism, cioè un nuovo internazionalismo, ed è diviso in 4 sotto-capitoli: nuovo internazionalismo, diplomazia, difesa e sicurezza, nonché solidarietà internazionale e giustizia sociale.
“Il Panel intergovernativo sul Cambiamento Climatico ha detto che abbiamo bisogno dimezzare le emissioni globali entro il 2030 per avere la possibilità di mantenere il riscaldamento globale entro limiti di sicurezza – ciò significa agire ora, e agire con decisione”.
Il peso della non-scelta di agire, si rivelerebbe più oneroso di quello di attuare politiche adeguate basate sul “far pagare” la transizione ecologica ai responsabili dell’inquinamento e ai piani alti della società. Questo comporta degli investimenti onerosi e a lungo termine che saranno intrapresi attraverso principalmente due vettori pubblici con la creazione di una Banca nazionale d’Investimento a livello centrale e di una nuova Banca Postale, con uffici dislocati sul territorio parte di un servizio postale totalmente ri-pubblicizzato.
Un aspetto interessante della politica di tale proposta è quello di “cambiare i criteri a cui una impresa deve attenersi per essere quotata nella Borsa Londinese, così che qualsiasi compagnia che fallisce nel contribuire all’affrontare l’emergenza climatica e ambientale sarà messa fuori dalla listino.”
Il Labour intende procedere verso una forte de-centralizzazione del potere in generale valorizzando le capacità decisionali locali e declinando le scelte strategiche come questa in base ai bisogni locali, prevedendo un Fondo di Trasformazione Locale.
Sposteremo il centro di gravità politico facendo sorgere l’Unità del Fondo di Trasformazione, una parte rilevante del Tesoro, nel Nord dell’Inghilterra.
La questione energetica è presa di petto, partendo dalle emissioni inquinanti degli edifici che saranno radicalmente trasformati alzandone gli standard qualitativi. “L’uso energetico è responsabile del 56% del totale delle emissioni in Gran Bretagna ed è il settore più inquinante”.
La ricetta è una trasformazione dell’efficienza energetica delle 27 milioni di case inglesi e la riduzione della bolletta energetica familiare a 417 sterline l’anno in media entro il 2030.
La produzione di energia, altamente de-localizzata, tornerà in mano pubblica e centrata sulle rinnovabili.
“In mano pubblica l’energia e l’acqua verranno considerate diritti e garantiti piuttosto che merci, con il surplus totalmente reinvestito od utilizzato per ridurre le tariffe. Saranno le comunità stesse a decidere, perché le utilities non saranno gestite da Whitehall, ma degli utenti e dai lavoratori.”
Il settore energetico e la sua rete di fornitura sarà completamente pubblicizzato, e gestito da una nuova Agenzia Energetica Nazionale e da 14 agenzie regionali.
Il settore industriale con una rinnovata politica di rifinanziamento della ricerca – l’obiettivo è del 3% del PIL entro 2030 – sarà al centro del processo di transizione ecologica dall’acciaio all’automotive, con la creazione di un Consiglio Nazionale di settore, il Foundation Industries Sector Council, che sarà il driver di questo nuovo modello di sviluppo, che manterrà standard elevati per una mano d’opera qualificata, con ampliati diritti sindacali ed un potere decisionale effettivo.
I trasporti pubblici saranno al centro della politica di mobilità del Labour che mira a riparare ai danni delle dismissioni operate in questi anni per ciò che riguarda strade e ferrovie, imperniati sull’elettrico. Un progetto ambizioso che vuole cambiare volto al trasporto urbano ed alla vivibilità delle città: “terremo insieme trasporto e pianificazione del territorio per creare centri urbani e città in cui l’andare a passeggio e la bicicletta siano la scelta migliore: sicura, accessibile, salutare, efficiente, economica e non-inquinante.”
La tutela dell’ambiente è un nodo centrale per lo sviluppo di una ambiente sano e per la preservazione dell’ecosistema.
“La nostra aria inquinata contribuisce a più di 40000 eccessi prematuri ogni anno”, si può leggere nel programma
Piantare alberi è uno degli aspetti della restaurazione della natura, così come la protezione della fauna.
“Nel 1979 il 20% della terra era di proprietà pubblica, oggi è dimezzata“, ma il recupero della proprietà pubblica del suolo è una necessità per una sua gestione razionale e a fini collettivi.
Un quarto del cibo preparato al giorno viene sprecato in GB, indice di uno squilibrio evidente, considerato che una parte importante della popolazione soffre invece di malnutrizione.
Malattie connesse alla cattiva alimentazione e l’incapacità di avere una dieta adeguata a causa dell’indigenza, sono due facce della stessa medaglia e caratterizzano le abitudini alimentari in Gran Bretagna.
L’emergenza alimentare vuole essere affrontata con l’introduzione di “Diritto al Cibo” (Right To Food), mettendo fine alla “food bank Britain” in un anno e la contestuale creazione della “garanzia di accesso a un cibo sano, nutriente, prodotto in modo sostenibile”. Una politica che cercherà di coniugare questo bisogno con lo sviluppo della filiera locale di produzione di cibo e che avrà come vettore la creazione di una Commissione Nazionale sul Cibo e il rinnovamento della Allotments Act.
Il collasso del sistema sanitario ed in generale del social care sta in alcune cifre:
“Ci sono 100.000 posti vacanti nelle NHS England, inclusa una carenza di 43.000 infermiere. Ci sono 15.000 posti letto in meno”. Questo porta a gravi criticità a cui il Labour provvederà con un piano di emergenza e con uno stop alla privatizzazione del settore, che avrà un innalzamento delle risorse di almeno il 4,3% annuo. La parte dedicata alla questione sanitaria, non solo ospedaliera e non solo curativa, ma anche di prevenzione gratuita – tra cui un check-up dentistico annuale – è molto dettagliata e riguarda sia il miglioramento del servizio che le condizioni di lavoro. Si tratta di una rivoluzione culturale come testimonia questo breve passaggio: “aboliremo i fast-food vicino alle scuole e adotteremo regole più stringenti rispetto alla pubblicità di cibo spazzatura e ai livelli di sale nel cibo”.
È nella cura degli anziani che gli effetti dell’austerità si sono rivelati più letali. I tagli ai fondi per il Social Care hanno lasciato un milione e mezzo di persone anziane senza le cure di cui necessitano. Circa 8 miliardi sono stati espunti dai budget per il Social Care dal 2010″.
La costruzione di un Servizio di Cura Nazionale è una delle soluzioni adottate, che provvederà tra l’altro a colmare le carenze d’organico del settore. “Circa un milione e mezzo di persone lavorano nei servizi di cura, ma ci sono 100.000 posti vacanti”.
L’istruzione è uno dei diritti che il Labour intende garantire per ogni fascia d’età, rendendone uno dei fiori all’occhiello del suo vasto programma, istituendo tra l’altro un strumento statale per questo tipo di “servizio”: il National Education Service e marginalizzando le scuole private.
Aumentare risorse, servizi, organico del settore dai primi anni di vita è una priorità, e tra le proposte vi è l’allungamento del congedo di maternità a 12 mesi…
I progetti dei Conservatori hanno lasciato le scuole in condizione di operare tagli per l’83% degli istituti, una vera mannaia.
Alla faccia del supposto atteggiamento razzista di Corbyn viene espressamente citato la necessità dell’insegnamento dell’Olocausto e della Black History a pag.39 del programma!
Un istruzione gratuita lungo tutto il percorso esistenziale che permetta una riqualificazione continua alle fasce di popolazione che sarebbero escluse dai progressi dell’evoluzione scientifica e tecnologica è una delle priorità.
L’educazione universitaria sarà resa nuovamente gratuita, abolendo quel sistema di “strozzinaggio” legalizzato di finanziamento privato degli studi universitari che ha lasciato i laureati più poveri con un debito medio di 57.000 Sterline!
Come avevamo accennato una politica tesa a puntare sulle reali cause del crimine contraddistingue il programma. L’incipit del sotto-capitolo sul sistema giudiziario da il senso di un orientamento sinceramente progressista sulla questione criminale: “Il carcere non è il posto migliore dove potere affrontare la dipendenza dalle droghe, la malattia mentale e ai debiti che portano molte persone verso il crimine.”
La questione del “governo locale” è affrontata con una offensiva a tutto campo tesa a ricostruire un tessuto collettivo attraverso una nuova assunzione della responsabilità dello stato e delle sue articolazioni sociali dei bisogni sociali, ponendo fine all’esternalizzazione dei servizi (e favorendo l’in-house) e implementando i servizi dalle biblioteche ai centri giovanili, dagli sportelli del nuovo servizio postale ai pub che verranno considerati veri e propri asset sociali, anch’essi vittime della desertificazione dei centri di aggregazione comunitaria: “i pub sono centri di aggregazione comunitaria ma 18 chiudono ogni settimana in Gran Bretagna.”
Come già ricordato un più bilanciato sviluppo locale e una maggiore capacità decisionale a livello di prossimità caratterizzano l’impianto complessivo del Manifesto in cui è annunciata la creazione di una Agenzia dello Sviluppo della Cooperazione, con il fine di raddoppiare il peso del settore cooperativo per la promozione dello sviluppo locale.
Sui giovani il Labour investirà a differenza dei Conservatori, le cue politiche di austerità hanno portato alla chiusura di almeno 750 youth centers dal 2012, creando un National Youth Service che garantirà uno sviluppo adeguato.
Il Labour assumerà 5000 vigili del fuoco e migliorerà complessivamente il comparto.
L’accesso libero e gratuito della banda larga digitale entro il 2030 è uno dei punti focali della rivoluzione laburista. Anche in questo caso si tratta della sostituzione del privato con il pubblico: British Broadband che avrà due bracci operativi British Digital Infrastructure (BDI) e British Broadband Service (BBS). La tassazione delle multinazionali, incluse i giganti del settore tecnologico, pagherà i costi operativi della rete pubblica in fibra ottica.
L’accesso gratuito alla cultura e il miglioramento delle sue infrastrutture pubbliche è assicurato: 1 miliardo di investimenti attraverso il Cultural Capital Fund per trasformare biblioteche, musei e gallerie attraverso il Paese.
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