di Michele Giorgio – il Manifesto
Benyamin
Netanyahu conferma che lascerà entro il primo gennaio i portafogli
ministeriali che detiene – sanità, diaspora, welfare e agricoltura – ma
continuerà a ricoprire il ruolo di premier. L’Alta Corte di
Giustizia ieri ha comunicato che può rimanere a capo del governo e
questa decisione di fatto ha dato il via alla campagna di Netanyahu per
le elezioni del 2 marzo, le terze in Israele in 11 mesi. Le due
precedenti consultazioni, il 9 aprile e il 17 settembre, non sono
riuscite a risolvere lo stallo politico che si trascina da un anno. Per
due volte Netanyahu, leader del partito Likud, non è riuscito a formare
una maggioranza di destra. E ha ugualmente fallito il suo principale
avversario, il centrista e leader della lista Blu Bianco, Benny Gantz.
Con l’annuncio della rinuncia ai quattro ministeri Netanyahu prova a
presentarsi come un politico rispettoso della legge e di quel sistema
giudiziario che ha duramente attaccato dopo l’incriminazione per
corruzione, frode e abuso di potere giunta il 21 novembre. Troppo poco
per darsi una immagine diversa da quella di astuto manovratore politico
che si è cucito addosso in questi anni e presentarsi all’appuntamento
del 2 marzo come candidato premier senza macchia. Gantz batte
ogni giorno sullo stesso punto: un premier incriminato non può guidare
Israele. Il leader di Blu Bianco guadagna consensi, almeno nei sondaggi, ed è convinto che i guai del primo ministro con la giustizia peseranno parecchio sulle scelte degli elettori.
Netanyahu si deve guardare anche alle spalle, dai compagni di partito che lo considerano una palla al piede del Likud. L’opposizione interna non è tanto forte da metterlo in pericolo, ma cresce. Gideon Saar, il suo più accanito rivale, si sta preparando con il coltello tra i denti alla prima seria sfida in 14 anni, le primarie del 26 dicembre, alla leadership del partito.
Ieri Saar ha avvertito che un Likud guidato da Netanyahu non sarà in
grado di vincere e formare un governo dopo le elezioni del 2 marzo. «Se
Netanyahu vince le primarie, non ci sarà un governo. Dobbiamo preservare
la tradizione democratica del Likud», ha proclamato reagendo ai
fedelissimi del premier che lo accusano di «tradimento».
Che Netanyahu si sia indebolito e rischi questa volta una sconfitta, cominciano a pensarlo anche a Ramallah.
Prima delle elezioni israeliane del 9 aprile e del 17 settembre
l’Autorità Palestinese (Anp) ha mantenuto un profilo basso, non ha
interferito desiderando in silenzio l’uscita di scena del capo del
Likud, ispiratore di tutte le decisioni prese da Donald Trump contro i
diritti dei palestinesi. E tutto lasciava pensare che avrebbe fatto lo
stesso anche per il 2 marzo. Invece ieri, magicamente, sono arrivate ai
media israeliani dichiarazioni registrate lo scorso settembre in cui il
presidente dell’Anp, Abu Mazen, sottolinea più volte l’importanza
dell’affluenza alle urne degli arabo israeliani, i palestinesi con
cittadinanza israeliana. Un invito esplicito ai palestinesi in Israele
ad andare a votare in gran numero, per permettere alla Lista araba unita
di conquistare più seggi (ora ne ha 13) e garantire il sostegno
necessario, anche solo dall’esterno, a Gantz per formare un governo
senza Netanyahu e il Likud.
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