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12/12/2019

Strage di Piazza Fontana - Buchi neri e ferite aperte


Oggi è il 12 dicembre e sono passati cinquanta anni dalla Strage di Stato di Piazza Fontana a Milano. Non ci sono dubbi che su quella strage e il progetto di cui è stato fattore scatenante (quella che abbiamo definito come “guerra di bassa intensità”, ndr) ci siano ancora ferite aperte e buchi neri. Ce ne sono talmente tanti che rendono irricevibile ogni tentativo di parlare o imporre quella che gli apparati istituzionali definiscono come “memoria condivisa”. Per noi i cinquant'anni passati dalla Strage di Stato non sono una pietra di inciampo ma una ferita ancora aperta.

Al contrario assistiamo al tentativo di spalmare su questa ferita sanguinosa della storia recente del nostro paese una melassa narrativa e rovescista in senso storico. Ne è testimonianza l’omertà registrata su tutti i mass media sul nome di chi avrebbe messo materialmente la bomba in piazza Fontana il 12 dicembre del 1969. Secondo l’identikit emerso dall’ultimo libro di Guido Salvini (La Maledizione di Piazza Fontana, ndr) e da un articolo de Il Fatto, sarebbe stato un fascista veronese di Ordine Nuovo – Claudio Bizzarri – deceduto poco tempo fa. Perché questo silenzio o, peggio ancora, questo imbarazzo? Perché si continua a parlare di “misteri”, ad alimentare depistaggi politici e mediatici sulle stragi quando invece è tutto chiaro, gli autori sono rimasti a piede libero, e qualcuno ha fatto anche carriera? Utile, anche per capire le connessioni tra i funzionari degli apparati italiani e quelli statunitensi (incluso il commissario Calabresi), il videodocumentario realizzato all’epoca da Pierpaolo Pasolini.

In secondo luogo è emerso che nella stanza della Questura di Milano dalla quale il 15 dicembre 1969 precipitò l’anarchico Giuseppe Pinelli, non solo c’era il commissario Calabresi (cosa ribadita in ogni sede dall’anarchico Pasquale Valitutti anche lui fermato in quella occasione, ndr), ma c’erano anche i vertici dei servizi segreti dell’epoca.

Scrivono nel loro recentissimo libro Gabriele Fuga ed Enrico Maltini (il primo storico avvocato degli anarchici, il secondo militante anarchico) che viene confermata la presenza, “fino ad oggi sempre celata, in quelle stanze della Questura milanese, di funzionari di altissimo livello dell’Ufficio affari riservati del Viminale, venuti da Roma il giorno dopo la strage, che di fatto, senza mezzi termini e stando alle loro stesse parole, comandavano, impartivano direttive e scrivevano i rapporti che facevano poi firmare al questore e al capo della polizia. Poi, elemento importante, il vicedirettore degli Affari riservati Guglielmo Carlucci, anch’esso presente, ammette che i nomi di Pietro Valpreda e di Pinelli vengono fatti da Roma poche ore dopo la strage, prima ancora della testimonianza del tassista Cornelio Rolandi e prima che si confutasse l’alibi di Pinelli. L’allora commissario Antonio Pagnozzi parla esplicitamente di pista prefabbricata originata non a Milano”.

In una intervista a Il Fatto, i due autori spiegano che “Di nuovo si può aggiungere che Calabresi potrebbe essere stato costretto a coprire, oltre alle sue, altre e più gravi responsabilità. Per esempio, quelle dei funzionari degli Affari riservati. Soprattutto quelle di Silvano Russomanno in primis, che con ogni probabilità partecipavano all’interrogatorio ma che dovevano restare nell’ombra. I documenti dimostrano che Silvano Russomanno stava tentando a tutti i costi di incolpare Pinelli, e lo farà anche dopo la sua morte, delle bombe sui treni di agosto”.

È importante quest’ultimo riferimento, perché non molti sanno che quella di Piazza Fontana non fu la prima bomba ad esplodere, fu quella che fece la strage. Prima del 12 dicembre 1969 ne erano esplose ben 142, su treni, dentro banche, alla Fiera di Milano e all’Altare della Patria a Roma. Non fecero morti ma furono utilizzate dai servizi segreti per preparare la “pista anarchica” per la Strage di Stato di Piazza Fontana.

Il fatto che a Milano, in Piazza Fontana, ci siano due lapidi dedicate al compagno anarchico Giuseppe Pinelli (una messa dalle istituzioni, l’altra dai compagni) è la rappresentazione materiale che sulla Strage di Stato ci sono due visioni completamente diverse e non può esserci “memoria condivisa”.

Infine, ma non certo per importanza, dall’inchiesta condotta dal giudice Guido Salvini – e conclusasi con una sentenza che ha messo la lapide su ogni possibile verità giudiziaria sulla Strage di Stato – emergono i nomi degli agenti amerikani che agirono nell’organizzazione della Strage di Stato insieme ad alcuni agenti italiani reclutati nei servizi militari Usa di stanza nelle basi Nato del Veneto, in particolare il Comando Ftase di Verona e la Caserma Ederle di Vicenza. Si tratta di Joseph Luongo e Jospeh Leo Pagnotta. È tutto scritto ed è stato consegnato anche alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle Stragi. La politica, tutta, dunque lo sa ma continua a tacere, negare, rimuovere questo fattore scomodo nelle relazioni dentro la Nato e con gli Stati Uniti.

Forse adesso è più chiaro perché nel 1982 qualcuno (le Br in quel caso ndr) avesse sequestrato un generale americano proprio della base Nato/Ftase di Verona per rivolgergli “qualche domanda”. Quel sequestro portò allo scoperto in Italia il massiccio ricorso alla tortura nei confronti dei militanti Br, e non solo, che venivano arrestati. Ma anche questo, all’epoca, venne negato e perseguito da tutti, governo e opposizione. È emerso solo negli anni più recenti ma anche qui nella totale omertà e rimozione dei mass media e della politica, tutta, in modo assolutamente bipartisan, oggi come allora.

Per questo chi parla ancora di “misteri” e di memoria condivisa sta ingannando e rovesciando la storia. Con costoro non avremo mai nulla da spartire ed a costoro continueremo a non fare alcuno sconto.

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