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01/11/2020

La seconda ondata

La storia del colera in Italia di Eugenia Tognotti compie 20 anni visto che la prima edizione, presso Laterza, è proprio del 2000. A due decenni di distanza quel testo aggiunge nuove caratteristiche a quelle che accompagnarono l’uscita dell’originale. Diviene infatti un utile elemento di paragone con il presente e gli scenari futuri piuttosto che, come alla data di uscita, una interessante risistemazione del materiale storiografico disponibile.

Consideriamo quindi che nell’Ottocento, l’Italia ha subito diverse ondate di epidemia da colera che hanno sempre coinvolto Napoli con esiti drammatici fino ai provvedimenti del 1885 che ristrutturarono il sistema sanitario, urbanistico e fognario del capoluogo campano.

È interessante ricordare quello che è accaduto con l’epidemia del 1836-37, che si svolse in due ondate di cui la seconda, che fu quella che uccise Leopardi, più feroce della prima. Durante la seconda ondata, quella del 1837, furono prese misure di quarantena che scatenarono rivolte in tutto il regno delle due Sicilie e in città come Catania e Siracusa furono addirittura istituite amministrazioni autonome che dichiararono “deposto il re avvelenatore“ (visto che oltre al virus si era diffusa la credenza che il colera era stato sparso dai Borbone come pretesto per decimare la popolazione). La risposta della monarchia non si fece attendere con 300 fucilazioni in tutto il regno che si aggiunsero alle migliaia di morti del colera.

Questo per fermarsi al caso italiano in un secolo più recente visto che la storia delle rivolte legate alle reazioni popolari durante l’epidemia coincide con quella dell’impero romano con tanto di dichiarazioni di fine epidemia imposte dalla rivolta all’imperatore.

Quello che abbiamo visto in questi giorni rientra quindi nello schema delle proteste a fronte di una epidemia prolungata e a condizioni di vita che si fanno non più sopportabili. Le nostre società, proprio perché maggiormente complesse, sono più delicate di quelle del passato. Basti vedere la velocità con la quale il virus ha sinistrato economia e finanza globali nella scorsa primavera: incomparabilmente più elevata rispetto ai danni economici e alla velocità di diffusione delle epidemie nell’Ottocento. Ma anche con le reazioni della piazza oggi piuttosto composite e, se è consentito dirlo, più contenute rispetto al passato il cui effetto dirompente sta tutto nel circuito della comunicazione piuttosto che in campo aperto. L’estetica della piazza è quindi adesso il vero elemento dirompente della seconda ondata italiana: si tratta di qualcosa che non è controllabile né dai media né dagli attori sul campo per quanto entrambi ne abbiano bisogno. E, soprattutto, si tratta di qualcosa che, di fronte ad un peggiorare dell’epidemia, può avere i suoi forti effetti politici.

Di solito misure radicali di contenimento e proteste di piazza finiscono per eliminarsi: o prevale l’uno o prevale l’altro. Non è dato al momento prevedere se le proteste di piazza oggi riescano ad alimentare ulteriormente quell’estetica che diventa effetto politico. È chiaro però che, finita l’epidemia, per i danni che questa situazione avrà prodotto sulla società questo fenomeno può candidarsi a protagonista dei nostri anni ’20. Vedremo come, in una società che è impolitica, differenziata, quanto incline ad improvvise reazioni e in una politica che è immobile quanto disposta a tutto, come ogni organismo sociale, a mantenere i propri livelli di sopravvivenza.

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