Se ne è parlato, purtroppo poco, ma se ne è parlato, anche dalle pagine di questo giornale. Ma le ripetute denunce e domande sul perché la Lombardia sia stata la più colpita dalla pandemia di Covid 19 e sul perché le province più inquinate della Lombardia fossero colpite più pesantemente di altre, cominciano a trovare delle risposte, anche sul piano scientifico e ambientale. È quanto spiega uno studio condotto dal Cnr italiano insieme all’Istituto di Tecnologia di Grenoble (Francia) e alla Fondazione “E. Amaldi”.
“I risultati ottenuti mostrano una buona correlazione tra insorgenza dei sintomi da COVID-19, inquinamento atmosferico e condizioni climatiche registrati in Lombardia tra febbraio e marzo 2020” sostiene uno dei ricercatori che ha condotto lo studio.
Qui di seguito pubblichiamo il comunicato ufficiale prodotto dal Cnr su questa ricerca.
“I risultati ottenuti mostrano una buona correlazione tra insorgenza dei sintomi da COVID-19, inquinamento atmosferico e condizioni climatiche registrati in Lombardia tra febbraio e marzo 2020” sostiene uno dei ricercatori che ha condotto lo studio.
Qui di seguito pubblichiamo il comunicato ufficiale prodotto dal Cnr su questa ricerca.
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La prima ondata di SARS-CoV-2 in Lombardia
Le possibili correlazioni a livello regionale tra sintomi e condizioni atmosferiche, meteo e inquinamento, indagate da uno studio condotto dall’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Cnr con il Gipsa-lab del Grenoble Institute of Technology e la Fondazione E. Amaldi, pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health
Da gennaio 2020, milioni di persone in tutto il mondo hanno contratto il virus SARS-CoV-2 con un tasso medio di mortalità compreso tra il 2% e il 5%. Tuttavia, alcune aree del mondo hanno presentato un tasso di contagio superiore alla media. La Lombardia appartiene a queste aree con circa il 40% dei contagi dell’intero paese (durante la prima ondata dell’epidemia) e un tasso di crescita dell’infezione, nelle 24 ore, superiore al resto delle regioni italiane.
Lavori recenti hanno ipotizzato che la presenza di inquinanti atmosferici quali particolato (PM10, PM2,5), ossidi di azoto e di zolfo, e le condizioni meteorologiche come temperatura, grado di umidità, velocità del vento, possano condizionare la stabilità di MERS-CoV e SARS-CoV-1 ed è ipotizzabile un simile effetto anche per il SARS-CoV-2.
Nello studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health e condotto dall’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati (Ismn) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismn), dal Gipsa-lab del Grenoble Institute of Technology e dalla Fondazione E. Amaldi, si è indagata la possibile correlazione tra inquinamento atmosferico, dati meteorologici e focolai COVID-19 sviluppatisi nell’area della Regione Lombardia.
In questo studio sono stati analizzati i dati epidemiologici forniti giornalmente dall'Istituto superiore di sanità e Protezione civile, riportando la distribuzione geografica nelle 12 province lombarde durante la prima ondata dell’epidemia (dal 24 febbraio al 31 marzo 2020).
Nel periodo analizzato è emerso che oltre il 63% dei 42.283 contagiati registrati in tutta la regione erano concentrati nelle province di Milano, Bergamo e Brescia. Più in generale, mentre a livello nazionale il rapporto medio tra casi infetti e popolazione era di circa lo 0,21%, in Lombardia era il doppio (0,42%).
“I risultati ottenuti mostrano una buona correlazione tra insorgenza dei sintomi da COVID-19, inquinamento atmosferico e condizioni climatiche registrati in Lombardia tra febbraio e marzo 2020”, riferisce Roberto Dragone, ricercatore Cnr-Ismn. “Tra i possibili meccanismi riconducibili agli inquinanti chimici atmosferici non si può escludere la sensibilizzazione dell’organismo all’attacco virale per abbassamento delle difese immunitarie.
Le apparenti discordanze, che a volte emergono dalla letteratura, riguardo agli effetti dell’inquinamento atmosferico possono dipendere da cambiamenti locali nel tipo di inquinanti e/o nelle loro concentrazioni.
Inoltre, è da considerare che le concentrazioni di particolato atmosferico monitorate non tengono conto della sua composizione chimica, la quale è responsabile del tipo di interazione con la particella virale e/o con l’organismo umano.
Tale composizione dipende dalla fonte di emissione, e quindi può variare anche a seconda dell’area geografica monitorata. Infine, non è da sottovalutare che l’esposizione al virus è favorita nelle situazioni indoor e dagli assembramenti, sia all’aperto sia al chiuso, verificatisi all’inizio della prima ondata della pandemia e in assenza di misure preventive per il contenimento del contagio”.
Per lo studio di correlazione sono stati analizzati i dati meteorologici relativi alla temperatura, all’umidità relativa e alla velocità del vento, registrati giornalmente dalle stazioni meteorologiche distribuite sul territorio della Regione Lombardia.
Inoltre, tramite il monitoraggio dell’atmosfera Copernicus (CAMS), implementato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF), sono stati elaborati i dati satellitari relativi alle concentrazioni giornaliere degli inquinanti atmosferici: PM10, PM2,5, ossidi di azoto (NO, NO2), ossido di carbonio (CO) e di zolfo (SO2), ozono (O3) ammoniaca (NH3).
Per i gas con proprietà acide o basiche è stato valutato il possibile contributo alla “acidità atmosferica netta”.
“Una maggiore comprensione delle correlazioni tra virus, inquinamento atmosferico e condizioni ambientali è, a nostro avviso, importante nella comprensione dei possibili meccanismi di diffusione e quindi nell’intervento mirato al contenimento della capacità infettante delle particelle virali”, conclude Gerardo Grasso, ricercatore del Cnr-Ismn.
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