Nei paesi occidentali colpiti dalla crisi strutturale, le strategie delle classi dirigenti hanno individuato due formidabili strumenti di oppressione delle classi lavoratrici e dell’intera società.
Da un lato, la colonizzazione delle menti e la produzione di valore aggiunto da parte dei “lavoratori mentali”; dall’altra, la nuova catena del valore e l’intensificazione dello sfruttamento non si limitano più alla produzione, ma anche alla circolazione e commercializzazione delle merci.
Entrambe le questioni si riferiscono alla contraddizione centrale del modo di produzione capitalistico, quella che esiste tra lo sviluppo delle forze produttive e le relazioni sociali di produzione.
Produttività del lavoro, nuove tecnologie, industria 4.0, mentre il livello di sviluppo raggiunto dalle aziende permetterebbe una riduzione globale dell’orario di lavoro, superando i rapporti sociali attuali. E inoltre una soggettività in grado di ridurre le difficoltà dell’impatto del cambiamento, ma non di abbattere l’oppressione di una classe scientificamente pianificata per sfruttare le classi subalterne.
Le élite al potere ovunque cercano il consenso attivo della maggioranza della popolazione, se necessario attraverso la violenza e, ove possibile, con la pressione ideologica. La costruzione di questo consenso, chiamato anche “pensiero unico”, richiede oggi più mezzi ed energie che mai.
È necessario, perché oggi la popolazione è più istruita e informata. I mass media sono diventati cruciali per il pensiero unico. Nei paesi occidentali, il dibattito pubblico si svolge principalmente nei media. Tuttavia, sarebbe più corretto affermare che questo è promosso dai media.
Sono loro che stabiliscono l’orientamento dei dibattiti. La maggior parte degli strumenti di comunicazione dell’impero mediatico sono nelle mani di grandi gruppi capitalisti, che ne fanno principalmente un uso commerciale sebbene, allo stesso tempo, sfruttino la loro funzione ideologica.
Tutto ciò risulta evidente anche dalla lettura dei dati strutturali che mostrano come la competitività del Paese e la concorrenza globale influiscano sulla riduzione del costo del lavoro nell’istruzione e nella scuola a sostegno di un sistema di capitali in crisi. Se consideriamo la percentuale di spesa pubblica per l’istruzione, ad esempio, in Italia, questa è la più bassa in Europa.
Mentre i lavoratori intellettuali sono una parte fondamentale del blocco sociale e della classe antagonista al capitale.
L’innovazione tecnologica è, come abbiamo visto, alla base del funzionamento del modo di produzione capitalistico, ma anche del suo possibile superamento (tendenza, dal punto di vista di un modello teorico senza considerare la lotta di classe che, di per sé, può costruire una società più avanzata).
Ma assistiamo anche alla sostituzione del lavoro umano, che già implica una tendenza al calo dei margini di estrazione del valore aggiunto, che come abbiamo visto avviene solo attraverso lo sfruttamento dei lavoratori.
La competizione del capitale nella lotta per la sopravvivenza e il potere richiede l’uso di macchine e tecnologie sempre più avanzate ed efficienti. Marx sottolinea che il modo di produzione capitalista è il primo nella storia umana a porre continuamente problemi che possono essere risolti solo attraverso la scienza.
Insomma, la scienza non è neutra, ma ha un contenuto di classe, in quanto si rifà sempre al quadro generale dei rapporti di potere tra le classi, in relazione alle quali interviene. Questo va ricordato anche in relazione alla retorica che abbiamo visto in questi anni su Internet e alle possibilità di democratizzazione ed emancipazione che la rete aprirebbe in quanto tale, da una prospettiva che arriva addirittura ad assegnare all’innovazione tecnologica un potenziale di trasformazione sociale che non ha.
Rispetto alla società, deve essere concepita dialetticamente: le potenziali trasformazioni che lo sviluppo tecnologico porta con sé sono in contraddizione con i rapporti sociali di produzione che caratterizzano una formazione economico-sociale.
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