Professor Emiliano Brancaccio, a parte il presidente di Confindustria Carlo Bonomi e il prode Luigi Marattin, perfino il Corriere ha scoperto che i salari in Italia sono i più bassi d’Europa e fermi da trent’anni. Fosse la volta buona che riusciamo finalmente ad alzarli...
Se ne sono accorti, era ora. Ma bisognerebbe aggiungere che negli ultimi quindici anni i salari sono addirittura caduti. Se prendiamo il 2007 come riferimento, in Italia il valore reale dei salari è diminuito di 4 punti mentre nella zona Euro è mediamente aumentato, seppure di poco. Detto questo, l’apertura del Corriere non garantisce che riusciremo a far salire i salari al punto di compensare lo spaventoso aumento dell’inflazione. Ci sarà da lottare perché lo scenario è avverso dal punto di vista istituzionale e politico.
Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco parla solo di aumenti «una tantum» per evitare spirali inflattive...
Quando si tratta di decidere sui tassi di interesse, i banchieri centrali, lo sappiamo, si dividono fra falchi e colombe, e Visco è considerata una moderata colomba. Quando però si tratta di aumentare i salari sono tutti falchi e Visco non fa eccezione. Questo atteggiamento anti-sindacale applicato al nostro paese mi sembra del tutto fuori luogo. In Italia è già molto difficile difendere il potere di acquisto dei salari.
Si riferisce al mitico Ipca, l’indice dei prezzi al netto dei beni energetici importati?
È certamente uno dei problemi. Stando alle attuali regole della contrattazione, un eventuale adeguamento salariale avverrebbe già in pesante perdita. Se prendiamo gli ultimi dati Istat, l’inflazione al netto dell’energia è al 3,7% ma quella complessiva è salita al 6,9%. Quindi, se ci atteniamo all’Ipca, perdiamo subito oltre il 3 per cento. Per me, bisognerebbe rivedere i criteri incorporando anche l’inflazione importata.
Visco parla però di «vane rincorse tra prezzi e salari»...
Quella di Visco è una vecchia fantasia degli economisti ortodossi che si basa sull’idea che le imprese scaricheranno tutto sui prezzi. È una tesi falsa, smentita dall’evidenza empirica: non sempre possono scaricare tutto sui prezzi, spesso devono ridurre i profitti. Tra l’altro, uno dei pochi meriti dell’Unione monetaria è che non c’è più la svalutazione e questo rende ancora più difficile spostare l’aumento salariale sui prezzi. Abbiamo preso tante mazzate a causa dell’Euro, ora che ne possiamo trarre un po’ di vantaggio ci dicono di stare zitti e buoni? La mettono sempre come conviene a loro.
Quindi lei contesta quei sindacalisti che sostengono che il Patto per la fabbrica consente di avere aumenti oltre l’Ipca, basandosi per esempio sull’andamento di settore?
Il Patto per la fabbrica del 2018 costituisce un problema e bisognerebbe ragionarci su. Poi ovviamente bisogna vedere se i rapporti di forza consentono di ottenere un miglioramento. Detto questo, chiariamoci: la questione non è solo salariale. Quando Visco propone di trovare meccanismi alternativi ai salari per distribuire meglio l’aumento dell’inflazione fra i vari gruppi sociali, in linea di principio sono d’accordo. Riprende quella vecchia idea riformista di governo politico della distribuzione tra le classi sociali. Il problema è che quello che propone Visco va poi attuato dal governo. Ma il governo Draghi sta gestendo la dinamica inflazionista senza nessun riguardo alle disuguaglianze: ha ridotto le accise sulla benzina, ma quella è una misura tecnicamente «regressiva» perché aiuta in modo uguale chi ha la Mercedes e chi ha la Panda.
Un aspetto positivo nella situazione politica c’è: il presidente di Confindustria Bonomi le spara così grosse da apparire isolato e criticato perfino dal PD...
Bonomi talvolta somiglia a un vecchio padrone delle ferriere, sembra spuntato fuori dall’800. Quindi che di tanto in tanto risulti isolato non meraviglia. Ma da qui ad avere un atteggiamento ottimista sulla fase politica ce ne passa...
Perché è pessimista?
Perché questa compagine di governo bada a tutti, dai balneari ai commercianti. Mai alla classe lavoratrice.
Qualche voce sostiene di rimettere la scala mobile: per l’ortodossia economica è una bestemmia?
Certo, è una bestemmia per l’ortodossia economica. Ma l’ortodossia è ormai smentita dai dati. Reintrodurre meccanismi di adeguamento dei salari ai prezzi è possibile. Ci sono paesi, come il Belgio, in cui tali meccanismi ancora esistono e presentano automatismi interessanti.
Secondo lei dal punto di vista economico l’Italia può permettersi di aumentare i salari a livello dell’inflazione reale?
Sì. Dopo la violentissima cura dell’austerity, l’Italia ha ribaltato la sua posizione. Non è più un paese inflazionista e in deficit verso l’estero, ma è un paese con un’inflazione sotto la media europea e in surplus commerciale. In questo scenario, c’è margine competitivo per l’aumento dei salari. Anzi, in una vecchia ottica di riformismo virtuoso, si direbbe che l’aumento salari è la frusta che serve al nostro capitalismo arretrato per costringerlo a diventare più efficiente, anziché pretendere di galleggiare a colpi di bassi salari e prebende pubbliche.
Passiamo al salario minimo: il ministro Andra Orlando parla di Trattamento economico complessivo del settore come salario minimo. Pensa che si debba scendere a compromessi sebbene ci sia la Direttiva europea a rendere necessario un intervento?
Qualche mese fa un tribunale di Milano ha stabilito che un accordo sindacale andava rigettato perché situava le retribuzioni sotto il livello di povertà. È ovvio che in una situazione così drammatica per la contrattazione dobbiamo trovare modi per mettere un limite alla caduta dei salari che non si sostituisca ma aiuti il rilancio della contrattazione collettiva.
Invece sempre Bonomi considera il Reddito di cittadinanza il competitor per il salario minimo e aumenti...
Da questo punto di vista il tanto vituperato Reddito di cittadinanza ha avuto un effetto positivo, creando una sorta di pavimento. Ma non basta, non può fare il lavoro del salario minimo. Serve una retribuzione minima oraria di carattere generale che non danneggi i settori dove si contratta ma spinga verso l’alto i settori più deboli.
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