Giorni fa il Fondo monetario internazionale ha diffuso uno studio da cui emerge come sinora l’inflazione sia stata spinta soprattutto dai profitti aziendali piuttosto che da incrementi retributivi confermando quanto rilevato nei mesi scorsi dalla stessa BCE.
E nella stessa giornata, al Forum dei banchieri centrali in corso a Sintra, in Portogallo, la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha accusato le imprese di essere le principali responsabili dell’impennata dell’inflazione dello scorso anno ed ha dichiarato di essere “pronta a tutto per fermare l’inflazione”.
“Pronta a tutto”, si, ma a cosa?
Intanto la BCE è “pronta” sicuramente a continuare ad alzare i tassi d’interesse ed allo stesso tempo a proseguire nell’imporre le solite ricette ultraliberiste ed improntate alla famigerata austerità ai paesi membri dell’area euro.
Tutte cose che fanno letteralmente a pugni con quanto affermato nella stessa sede dalla Lagarde che ha aggiunto “questa fase si va esaurendo, e ora siamo entrati in una seconda fase, in cui i lavoratori cercano di recuperare potere di acquisto chiedendo aumenti di stipendio[...]
Secondo le nostre ultime proiezioni i salari dovrebbero aumentare di un ulteriore 14% da qui alla fine del 2025 e tornare pienamente in termini reali al livello pre-pandemico”.
Come possano, poi, salari e stipendi aumentare del 14% entro due anni continuando ad alzare i tassi di interesse ed impedendo, allo stesso tempo, la messa in atto di qualsiasi intervento regolatore degli stati membri sulle imprese – in primis quelle di grandi dimensioni – e quindi sui prezzi in nome del “libero mercato ” e della ” concorrenza” (i due principi cardini dei Trattati sul Funzionamento dell’Unione europea) è un mistero rispetto al quale solo un atto di fede può piegarsi.
Si, perché è proprio in virtù degli assiomi teologici comunitari del “libero mercato ” e della “concorrenza” alla base dei Trattati UE che quelle stesse imprese hanno accumulato e continueranno ad accumulare extraprofitti ed a guidare il gioco lasciando che le classi dirigenti sovranazionali e nazionali svolgano un ruolo da semplici comparse.
Ciò è ancora più vero dopo che l’Unione Europea, invece di assumere, finalmente, un insperato autonomo ruolo di mediazione in grado di aprire un varco ad una soluzione di pace (ma anche ad una semplice tregua) nel conflitto in atto in Ucraina, a giugno scorso, ha votato per l’economia di guerra ed in favore della devoluzione dei fondi del PNRR per le spese in armamenti (peraltro già escluse dal patto di stabilità!).
E continuando, pervicacemente, dopo un anno e mezzo dall’inizio della guerra, ad appiattirsi irragionevolmente su una posizione guerrafondaia e di totale subalternità agli USA ed al suo principale strumento politico-militare (leggi NATO) e, di conseguenza, a pagare un prezzo immane tanto sul piano delle forniture energetiche quanto su quello economico generale.
Un prezzo enorme, quello dell’inflazione galoppante, che viene scaricato prevalentemente sui settori popolari dei vari paesi europei.
Un mistero – quello del paventato aumento del 14% di salari e stipendi entro due anni – che si tinge di tratti ancora più oscuri in un paese come l’Italia, in cui, al netto delle attuali pantomime pseudo-sovraniste del governo, totalmente piegato ai dettami della UE, e di quelle altrettanto patetiche delle cosiddette “opposizioni” (sia politiche che sindacali), è in atto un ostracismo trasversale purché non si faccia davvero una legge sul salario minimo.
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