Difficile scacciare l’impressione che “il giardino” in cui abitiamo – così Josep Borell ha di recente definito l’area euro-atlantica, contrapponendola alla “jungla” mondiale – si stia popolando di rovi spinosi che stracciano vesti, lacerano carni, riducono gli spazi vitali.
Le cronache francesi, i milioni di senza tetto (e carcerati) statunitensi, i precari sottopagati di tutti i paesi – a partire naturalmente dal nostro – le centinaia di migliaia di giovani “bianchi e cristiani” costretti a lasciare la propria terra in cerca di un salario decente e quindi una prospettiva di vita non troppo deprimente, ci dicono che c’è qualcosa che non va più.
Qualche giorno fa, in uno degli innumerevoli talk show che appestano le nostre serate sul divano, un imprenditore italiano descriveva inorridito questa scena vissuta in Cina: “compri il biglietto del treno, vai al tornello e lì c’è un impiegato che lo prende, lo inserisce nel lettore del codice a barre e poi te lo ridà facendoti passare”.
Uno “spreco” inimmaginabile dalle nostre parti dove – bestemmiando spesso tra macchinette malfunzionanti e resti che non arrivano nella giusta misura – facciamo tutto da soli. Per l’imprenditore quello stipendio “regalato” era incomprensibile, una prova dell’”arretratezza” di un sistema economico e politico.
A guardare le prestazioni dell’economia cinese non si direbbe che “soffra” per questo di scarsa competitività. Anzi. Quello e altri stipendi che qui sono stati “risparmiati” per massimizzare i profitti aziendali (anche nelle ferrovie, per stare all’esempio dell’imprenditore passate in pochi anni da 220mila dipendenti a circa 70mila) non “girano” più nell’economia quotidiana, ma vengono capitalizzati in centomila modi che non restituiscono nulla al benessere sociale (alla faccia delle teorie dello “sgocciolamento” o trickle down).
Non stiamo qui a fare il vecchio gioco del confronto tra sistemi diversi per poi arrivare a dire che “si sta meglio altrove”. Stiamo cercando di cogliere il punto – la causa – che sta trasformando il presunto “giardino” in un roveto invivibile.
Proprio la Francia ci mostra, con inusuale violenza, la trasformazione in corso. Lì, in fondo, le classi dirigenti del neoliberismo stanno mettendo in atto i processi di “riforma” che qui in Italia sono stati realizzati nell’arco di 30 anni sotto la spinta congiunta di Confindustria e dell’”austerità europea”.
Solo che oltralpe questo processo di impoverimento sociale sta avvenendo a tappe forzate, nel giro di pochissimi anni. E la differenza, nelle condizioni di vita, si vede, si sente, si tocca. “La gente” subisce questo attacco e reagisce perché sa e ricorda come viveva – meglio, ovviamente – solo qualche anno fa.
Qui da noi è stata applicata la strategia della “rana bollita”, assuefacendo per gradi una popolazione intera a restare privata di tutto perché tutto – anche l’acqua – è stato dato “ai privati”. Ma, al tempo stesso, questi “lavoratori e pensionati “poveri ragionano da “proprietari” solo perché abitano in una casa comprata sputando sangue per una vita, anziché in affitto o in una casa “popolare”.
Chi si chiede “perché non facciamo anche noi come in Francia” dovrebbe fare i conti meglio con questa condizione, che disorienta anche politicamente, favorendo perversioni un tempo impensabili – le classi più deboli che votano per i propri carnefici – e il crescere dell’irrazionalismo ad ogni livello.
Sta di fatto, comunque, che a forza di tagliare la spesa pubblica per ridurre il debito, “il sistema euro-atlantico” ha eliminato o sta finendo di eliminare (in Francia, e presto anche in Germania) ogni tipo di spesa sociale. Ossia ogni forma di “ammortizzatore” che garantiva la coesione sociale – per quanto conflittuale – delle comunità. E senza “lubrificante” il motore comincia a battere in testa, annunciando rotture più o meno clamorose.
Ma se la reazione “popolare”, come vediamo nelle banlieue, è quella consueta – la rabbia senza alternative, senza progetto di cambiamento, che dura finché può – quella del potere è altrettanto disperata e priva di futuro.
La frase agghiacciante con cui Macron ha invitato la polizia a reprimere “senza tabù” rivela contemporaneamente sia la ferocia con cui un potere vuole andare avanti, superando i limiti e le garanzie costituzionali di una “repubblica parlamentare democratica” (un “tabù” considerato ormai fuori moda), sia la mancanza di altri strumenti di governo diversi dalla pura forza bruta.
Del resto, questo ha significato imporre la “riforma delle pensioni” nonostante l’assenza di una maggioranza parlamentare, pur in presenza di un imponente movimento di massa e di sindacati almeno fedeli alla propria funzione originaria (non certo come CgilCislUil).
Ma nelle rivolte francesi c’è qualcosa di più, e di differente rispetto alla condizione sociale italiana. Nelle banlieue ci sono gli eredi diretti dello sfruttamento coloniale d’Oltralpe. Da sempre rifiutati e costretti a percorsi di omologazione secondo il criterio “uno su mille ce la fa” (nello sport, nella musica, nel cinema...), ma mai considerati “davvero francesi” (come gridavano del resto i maiali fascisti che si sono proposti come “ronde” per “riportare l’ordine” nelle periferie in fiamme).
Pezzi di popoli diversi che ora – soltanto ora – possono confusamente sentire la spinta proveniente dai propri paesi di origine, e che li porta a confrontarsi con molta meno soggezione di un tempo con i tenutari del “giardino”. Dall’Africa, dall’America Latina e soprattutto dall’Asia arrivano sempre più spesso risposte orgogliose invece che accomodamenti orditi da dittatori corrotti.
E se non sei soltanto un giovane speranzoso che bussa alla porta dei ricchi per un tozzo di pane o un posto da servitore, ma “senti” d’essere in qualche modo collegato ad un mondo che rialza la testa, anche i manganelli e i blindati nelle strade diventano meno terrificanti. Sfidabili...
Lungi dall’essere soltanto “pezzi di jungla” il resto del mondo va realizzando un diverso rapporto di forza con l’euro-atlantismo neoliberista. Un rapporto di forza che coglie l’imperialismo occidentale in piena crisi di idee, strumenti di governo (interni e internazionali), risorse economiche, coesione sociale.
Aver “privatizzato” le finalità e la visione d’insieme dello Stato ha reso certamente più ricchi “i privati” già ricchi. Ma ha anche svuotato lo Stato (francese, italiano, “europeo”, ecc.) di ogni capacità di manovra. Lo ha “blindato”. Ma il terreno su cui fa sferragliare i cingoli è sempre meno solido...
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