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01/08/2023

Tassi d'interesse più alti di sempre, finirà come nel 2008?

di Guido Salerno Aletta

La BCE ha deciso di aumentare ancora i tassi di interesse, di un quarto di punto: l'inflazione dei prezzi al consumo nell'Eurozona non calerebbe infatti abbastanza velocemente.

In media, l'inflazione era al 10% netto a gennaio scorso, ed a giugno ancora al 6,4%. Eppure la tendenza alla contrazione è stata netta: era scesa di appena un decimo di punto tra gennaio e febbraio, passando dal 10% al 9,9%; poi di 1,6 punti percentuali a marzo, essendo arrivata all'8,3%; poi solo di due decimi di punto ad aprile, essendo arrivata all'8,1%; quindi, di un intero punto percentuale a maggio, essendo scesa al 7,1%; è scesa ancora di sette decimi di punto a giugno essendo arrivata al citato 6,4%.

Ci sono Paesi con una inflazione già bassissima, come il Belgio dove a giugno il tasso annuo era addirittura dell'1,6% ed altri come la Grecia che sono appena al 2,8%, mentre la Francia sta al 5,3% e l'Italia al 6,7%: ci sono troppi fattori di differenza.

Intanto, il tasso di crescita reale continua a scendere: sempre nell'Eurozona, il primo trimestre di quest'anno ha segnato una crescita zero. C'è stato un calo continuo, trimestre dopo trimestre, dal +0,6% del primo trimestre del 2022 fino ad arrivare al -0,1% nell'ultimo trimestre dello stesso anno.

I tassi di interesse sono stati ritoccati dalla BCE, portando quello per il rifinanziamento principale delle banche al 4,25% e la remunerazione sui loro depositi ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria al 3,75%: è un record, visto che nel 2008, alla vigilia della catastrofe causata dal fallimento della Lehman Brothers, il tasso minimo di rifinanziamento principale era stato del 4,25% mentre la remunerazione sui depositi era al 3,25%. Solo il tasso per il rifinanziamento marginale era stato ancora più alto, con il 5,25%, mentre ora è stato portato al 4,50%.

Detto in sintesi: alle banche ora conviene tenere fermo il denaro presso la BCE, senza rischi, dove rende appunto il 3,75% annuo.

In Italia, l'ABI ha rilevato che a giugno scorso il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni è stato il 4,27% rispetto al 2,05% di giugno 2022, con un incremento di 222 punti base, mentre era stato pari al 5,72% alla fine del fine 2007; sempre a giugno, il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è stato del 4,86%, più che triplicato rispetto all'1,44% di giugno 2022, con un incremento di 342 punti base, mentre era stato del 5,48% alla fine del 2007. Sempre a giugno scorso, il tasso medio sul totale dei prestiti è stato del 4,25%: praticamente raddoppiato rispetto al 2,21% del giugno 2022, con un incremento di 204 punti base, quando era stato del 6,18% alla fine del 2007.

Il punto chiave sta nella capacità di resistenza delle famiglie e delle imprese: le prime sono strette tra l'aumento dei prezzi al consumo e quello delle rate dei finanziamenti contratti a tassi variabili; le seconde, dalla stasi dei consumi reali che viene nascosta da un aumento dei fatturati monetari e da una riduzione del credito.

Gli impieghi delle banche a favore del settore privato dell'economia sono scesi dai 1.481 miliardi del giugno 2018 ai 1.457 miliardi del giugno 2021, per risalire a 1.487 miliardi nel giugno del 2022 e scendere poi nuovamente, al minimo di soli 1.447 miliardi, a giugno scorso.

Negli Usa, già alla fine del 2007, Ben Bernanke che allora era alla guida della Fed si rese conto che l'effetto moltiplicatore determinato dall'aumento dei tassi, agendo a ritroso sui prestiti a tasso variabile già erogati, determinava una dinamica incontrollabile sulla capacità delle famiglie americane di ripagare gli oneri sui debiti.

Qui non stiamo parlando solo dell'Italia, dove il credito alle imprese ed alle famiglie è stato tenuto fortemente sotto controllo, ma di tutta l'Eurozona: il rischio non è tanto quello della recessione, prospettiva cui siamo comunque pericolosamente vicini, ma di un avvitamento delle condizioni finanziarie delle imprese marginali e delle famiglie più deboli.

Al danno già grave che è provocato dall'inflazione si potrebbe aggiungere quello di una perdita di controllo della capacità dei debitori di rispettare le scadenze: la stabilità finanziaria è più importante di quella dei prezzi.

Il sistema bancario sembra vivere felicissimo nel Nirvana degli incassi crescenti sui prestiti, dopo anni di dieta ferrea: la BCE è passata, come la Fed, da un eccesso all'altro.

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