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10/11/2023

Debito pubblico, 40 anni di inutile agonia

di Guido Salerno Aletta

Bisogna porre termine all'agonia cominciata con il Trattato di Maastricht: non solo va abbattuto il divieto di finanziamento degli Stati da parte della Bce, ma andrebbe stabilito, al contrario, l'obbligo di sottoscrivere tutto il nuovo debito che viene emesso solo per pagare gli interessi.

In Italia, dal prossimo anno, la finanza pubblica ricomincerà a drenare risorse dall'economia reale per destinarle alla rendita finanziaria. Bastano due soli dati: mentre le imposte in conto capitale ammonteranno ad appena 1,5 miliardi e 551 milioni di euro, le spese per interessi sul debito pubblico arriveranno ad 89 miliardi.

Le previsioni di crescita del Pil si riducono così al lumicino, ben che vada all'1% in termini reali: il nuovo deficit, di 77 miliardi di euro, non basterà dunque neppure a coprire l'onere complessivo degli interessi.

Nella Nadef, la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, si prevede infatti di ritornare al saldo primario attivo, per 12,2 miliardi di euro, una somma pari allo 0,6% del Pil. Questa è la quota delle entrate che sarà destinata, insieme a tutto il deficit, a finanziare la spesa per interessi che crescerà continuamente per via del rifinanziamento del debito in scadenza ai tassi più elevati decisi dalla Bce.

Basta guardare un po' all'indietro per capire che il nodo sta tutto qui: nel 2022, per esempio, il deficit monstre di 156 miliardi non solo finanziò completamente la spesa per interessi che fu di 82 miliardi, ma ne rimasero altri 74 miliardi per coprire un po' più della metà delle spese in conto capitale che furono di 150 miliardi. La ripresa dell'economia dopo la crisi pandemica fu sostenuta dalla spesa pubblica finanziata in deficit.

Mentre si aspetta la definizione del nuovo quadro europeo di disciplina dei bilanci pubblici, sostituendo quello definito dal Fiscal Compact nel 2012, occorre fare una riflessione più ampia sul sistema di finanziamento del debito pubblico.

In pratica, bisogna riflettere sui due fondamentali vincoli europei che risalgono al Trattato di Maastricht: divieto di ogni tipo di finanziamento degli Stati da parte della Bce; tetti al deficit ed al debito pubblico, rispettivamente al 3% ed al 60% del Pil.

La combinazione di questi due vincoli si è dimostrata catastrofica per l'Italia, che già nel 1992 si trovava con un altissimo rapporto debito/Pil, pari al 110%, salito ancora fino al 1994 quando arrivò al 127%, una vetta che allora sembrava insostenibile ma che oggi appare un miraggio irraggiungibile visto che quest'anno sarà del 140%. Certo, è in forte riduzione rispetto al 2022 quando fu del 147%, ma solo perché in questi ultimi anni l'inflazione ha gonfiato il Pil nominale, che è cresciuto del 6,8% nel 2022 e del 5,3% nel 2023, mentre la crescita reale è stata del 3,7% nel 2022 mentre dovrebbe essere intorno allo 0,8% nell'anno in corso.

Con questi vincoli, l'Italia è destinata a continuare ad essere sempre più povera: se fa più deficit, viene mazzolata dalle Agenzie di rating e paga tassi di interesse sempre più elevati; se invece taglia le spese o aumenta le entrate per ridurre il deficit, finanziando l'onere degli interessi con l'avanzo primario, abbatte la crescita.

Ma è dal 1980, dal "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro, che il debito pubblico è esploso a causa di un onere per interessi sempre più alto: da allora non si è fatto altro che foraggiare la rendita finanziaria, un errore irreparabile.

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