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13/05/2025

Dazi, scienza, olio di serpente

Cospargere il malcapitato di pece bollente, farlo rotolare tra le piume di gallina e poi issarlo su un palo o una traversina ferroviaria e portarlo in giro per il paese, esponendolo al pubblico ludibrio.

Di questa punizione ci racconta Mark Twain, citandola più volte nel suo Le avventure di Huckleberry Finn fino al capitolo trentatreesimo (titolo emblematico: «La fine ingloriosa dell’aristocrazia») dove a subirla sono i due truffatori che si spacciavano per il Delfino di Francia e per un fantomatico duca inglese. Proprio a loro tocca il trattamento che veniva di solito riservato a coloro che approfittavano della dabbenaggine altrui attraverso truffe più o meno ingegnose o vantando capacità inesistenti. O, ancora spacciando per panacea contro tutti i mali l’olio di serpente.

Chissà se una punizione del genere sarebbe appropriata per l’uomo che ha consigliato il presidente Usa in carica, Donald Trump, di dare l’avvio alla “guerra dei dazi” che, dai primi del mese di aprile, imperversa, creando scompiglio tra i mercati finanziari internazionali.

Il soggetto in questione ha nome e cognome: si tratta di Peter Navarro e ricopre la carica di senior counselor for trade and manufacturing, incarico affidatogli da Trump non si sa bene su quale base. Navarro, con ogni probabilità avrebbe continuato la sua placida carriera di docente di Economia e politiche pubbliche presso l’università della California/Irvine se non avesse dato alle stampe un paio di lavori nei quali esprimeva pareri fortemente anti-cinesi che hanno colpito l’entourage del tycoon.

Il guaio è che, per dare spessore alle sue tesi, Navarro ha più volte citato un tal economista di Harward, Ron Vara, niente di più che il suo pseudonimo. Stando alle sue tesi, sposate entusiasticamente da Trump, la rigida politica dei dazi potrebbe portare alle casse Usa qualcosa come seimila miliardi di dollari.

Peccato però che nelle due settimane di aprile, i dazi introdotti dal presidente Usa, abbiano avuto la sola capacità di generare una sorta di terremoto nella finanza internazionale. Pare che lo stesso Elon Musk, fino a poco tempo fa nelle grazie di Trump, dopo aver perso una trentina di miliardi, abbia definito Navarro “più stupido di un muro di mattoni” (senza voler, ovviamente, offendere i mattoni).

Finito qui? No perché Trump, nel mettere in piedi il suo caravanserraglio, non ha mancato di inserire tra i suoi più stretti collaboratori tale Laura Loomer, giornalista di stampo complottista (sua la definizione dell’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre, una «macchinazione interna») che ha avuto non poco peso nei tagli di personale all’interno del Consiglio di sicurezza nazionale.

Ma non basta: a capo del Fbi, Trump ha messo un certo Kash Patel, più noto per aver sostenuto che i fatti del 6 gennaio 2021 (l’attacco a Capitol Hill, per intenderci) sarebbero stati coordinati da personale Fbi allo scopo di danneggiare il movimento MAGA (Make America Great Again).

Insomma, a gestire il potere di una delle nazioni più potenti al mondo, c’è ora una vera e propria corte dei miracoli. Ancor più fantasiosa se aggiungiamo ai nomi sopra citati quello della pastora (una tele-predicatrice) Paula White-Cain (dirige White House Faith Office) e dell’ormai famoso ministro della Salute Usa, Robert Kennedy Jr., personaggio quanto mai ondivago che, dopo aver sostenuto da sempre la colpevolezza dei vaccini come veicoli per le forme di autismo, oggi, cambiando improvvisamente bandiera, ha cominciato a parlare di una «tossina ambientale» che sarebbe la responsabile dell’aumento dei casi. E si è spinto a pronosticare scoperte importanti sull’argomento entro il prossimo mese di settembre.

BMJ e Lancet: l’osservato speciale Trump

Ben due delle riviste medico-scientifiche più prestigiose, cioè il British Medical Journal (BMJ) e The Lancet si sono unite agli allarmi già lanciati da Nature e da Science sull’attacco che l’attuale amministrazione Usa sta conducendo in molti settori della ricerca scientifica bio-medica.

The Lancet in particolare ha preso in esame le conseguenze possibili – ma anche più che probabili ₋ connesse ai pesanti tagli operati dai decreti esecutivi presidenziali con i quali Trump ha bruscamente interrotto i finanziamenti ai programmi di assistenza estera degli Stati Uniti.

Stando all’autorevole rivista l’arresto dei finanziamenti Pepfar (President’s Emergency Plan for Aids Relief, gigantesco programma sanitario internazionale a cui diede il via nel 2003 il presidente George W. Bush) produrrebbe conseguenze esiziali: nella sola Africa subsahariana, entro il 2030 l’Hiv potrebbe infettare fino a un milione di bambini e quasi mezzo milione di essi potrebbe morire di Aids. Ovviamente c’è da considerare anche che da una diffusione così violenta dell’epidemia potrebbe provocare quasi tre milioni di orfani.

Fino a oggi il programma Pepfar ha costituito una “pietra angolare” (la definizione è degli esperti di The Lancet) per la lotta all’epidemia globale di Hiv/Aids, fornendo oltre 120 miliardi di dollari di finanziamenti. Pepfar avrebbe già salvato più di 26 milioni di vite e garantito la nascita di 7,8 milioni di bambini senza Hiv. Prima dei tagli di Trump contribuiva ai servizi di prevenzione e trattamento dell’Hiv per almeno 20 milioni di persone soprattutto nei Paesi dell’Africa subsahariana.

Sul futuro di un programma tanto importante (anche per mantenere la leadership statunitense in questo specifico settore) gravano ombre oscure: l’ordine esecutivo della Casa Bianca ha sospeso tutti gli aiuti esteri per 90 giorni, in attesa di una revisione. Pepfar ha ricevuto una deroga per la continuazione di alcuni programmi ma già a partire dallo scorso gennaio molti servizi sono già stati interrotti o sospesi.

Una possibilità per proseguire con il programma ci sarebbe e gli autori dell’analisi chiedono almeno un “piano di transizione” quinquennale per poi trasferire, sempre con la collaborazione Usa lo stesso programma ai governi locali: una lettera di 11 funzionari sanitari di vari Paesi africani, descrive quali impegni i loro governi intendano adottare per rendere sostenibile i programmi contro l’Hiv.

Veniamo ora alle segnalazioni del BMJ che ha sottolineato una serie di iniziative del governo Trump più o meno sensate (?). Eccone alcune.

Nessuno sa cosa fa l’altro

Il ministro della Salute Usa, Robert F. Kennedy Jr., pare aver affermato di non sapere nulla dei tagli avviati nei confronti dei vari programmi sanitari pubblici. Semmai ci siano stati, a suo dire, sono stati resi necessari dal fatto che riguardassero “principalmente” programmi di diversità, equità e inclusione.

Inoltre, a proposito della lunga catena di licenziamenti di personale dell’HHS (United States Department of Health and Human Services) Kennedy ha anche affermato che alcuni dei licenziamenti (si parla di 10 mila posti di lavoro) sono stati eseguiti per errore. Ma, a quanto pare, non ci sarà alcuna reintegrazione di questo personale (cfr. il sito di Politico).

I tagli ai posti di lavoro (sempre nell’ottica del risparmio federale prediletta dal DOGE, il Dipartimento dell’efficienza governativa fortemente sostenuto da Elon Musk, che però ha annunciato sin dal prossimo maggio, il ritorno ai propri affari) hanno provocato lo svuotamento di alcuni uffici di sanità pubblica e la fuoriuscita di non pochi scienziati senior dalla FDA (Food and Drug Administration) e dei NHI (National Institutes of Health).

Ancora l’autismo

Nuove ricerche sulla diffusione dei disturbi dello spettro autistico negli Stati Uniti hanno messo in luce come la patologia colpisca 1 bambino su 31. Il dato, segnalato con un certo clamore dai Cdc, ha una sua importanza: solo nel 2000 indagini sullo stesso fenomeno rivelavano come solo 1 bambino su 154 ne soffrisse, mentre nel 2016, l’incidenza era salita a 1 bambino su 54.

Va segnalato a tale proposito che in Europa il fenomeno interessa 1 bambino su 89 e nella sola Italia, 1 su 77. Si tratta senza dubbio alcuno di una questione spinosa e che non va sottovalutata ma in qualche modo, secondo la maggioranza degli esperti mondiali, l’aumento delle diagnosi è dovuto soprattutto a una sempre maggiore informazione dei medici e alle nuove metodiche diagnostiche.

Negli Usa, al contrario, l’amministrazione Trump ha messo il problema nel mirino proponendo inizialmente un ritorno all’abusato collegamento tra autismo e vaccinazioni. Poi, il direttore del NIH, Jay Bhattacharya, ha annunciato una ricerca ad ampio respiro che però, Kennedy Jr. (sempre lui), ha affermato essere rivolta a individuare le «tossine ambientali» responsabili della rapida diffusione di una vera e propria “epidemia”.

Kennedy ha escluso cause di tipo genetico: esattamente il contrario di quanto esperti Usa vanno da tempo affermando. Secondo Alison Singer, presidente dell’Autism Science Foundation, organizzazione no-profit per le famiglie affette da autismo, un’elevata quantità di evidenze indica una causa genetica (intorno al 20%). A suo dire può anche incidere una concomitanza di mutazioni genetiche. O, come suggeriscono altri esperti ₋ secondo i quali i geni non spiegano tutti i casi di autismo ₋ potrebbe esserci una combinazione negativa fattori genetici ed esposizioni ambientali.

NHI senza soldi: i giudici contro Trump

Sono ben 16 i procuratori generali statali che hanno intentato causa all’amministrazione Trump e al NIH contestando la revoca dei finanziamenti per la ricerca. In particolare i giudici affermano che sia stato violato l’Administrative Procedure Act. Si tratta del sistema di controllo dei regolamenti emanati dalle agenzie federali che ha sostanzialmente lo scopo di difendere i cittadini che subiscano danni per quanto deciso dalle varie agenzie.

Il governo Usa, però non ha gradito e si è subito appellato contro la decisione di un giudice che ha bloccato i tagli del NIH con particolare riferimento ai finanziamenti delle università (si parla di una cifra intorno ai 4 miliardi di dollari) Gli istituti di ricerca hanno evidentemente accolto con favore questa pronuncia che dovrebbe in qualche modo tamponare le difficoltà finanziarie della ricerca biomedica.

Dimissioni per Peter Marks

Il 28 marzo 2025 Peter Marks, direttore del Center for Biologics Evaluation and Research della FDA, ha annunciato improvvisamente le sue dimissioni. Dietro l’abbandono ci sarebbero forti dissapori tra lo stesso Marks e l’attuale ministro della Salute Robert Kennedy Jr. Marks, a capo del suo ufficio fin dal 2016 è stato anche coordinatore dell’operazione Warp Speed con la quale, durante l’epidemia di Covid, sono stati predisposti e prodotti i vaccini.

Marks ha ricevuto una sorta di aut aut da Kennedy: essere licenziato o dimettersi. Nella sua lettera di dimissioni Marks ha dichiarato al Wall Street Journal che il team del ministro della Salute gli ha proposto di cercare dati inesistenti per giustificare un’informazione distorta anti-vaccino. «Non potrò mai dare fiducia a nessuno se non a chi segue la scienza così come la vediamo», ha affermato. «Non posso semplicemente accettare teorie del complotto e giustificarle».

Università o barzelletta?

«Non è un’università ma una barzelletta», in questo modo Donald Trump ha etichettato l’università di Harvard, sottolineando come al suo interno si insegnino «odio e stupidità».

L’ateneo, per tutta risposta ha fatto causa al Governo federale contestando i tagli di quasi 2,2 miliardi di finanziamenti che, a dire della controparte, non solo vanno contro le normali regole procedurali ma violerebbero anche il Primo Emendamento, quello cioè con il quale vengono garantiti i diritti di libertà di religione, parola, stampa, riunione pacifica e il diritto di rivolgere petizioni al governo.

La contesa tra Trump e Harvard pare essere stata dettata soprattutto dallo spirito inclusivo che anima e ha animato le scelte del famoso ateneo (peraltro dovrebbe essercisi laureato lo stesso Navarro, consigliere economico di Trump) così come il fatto di “non aver protetto gli studenti ebrei” a causa di manifestazioni pro-Palestina svoltesi ad Harvard.

Ma non basta: «Il treno della cuccagna degli aiuti federali ₋ affermazione già sentita dalle nostre parti ₋ sta finendo», ha dichiarato Harrison Fields, portavoce della Casa Bianca. «I fondi dei contribuenti sono un privilegio e Harvard non soddisfa i requisiti di base necessari per accedervi», ha concluso in una nota.

Di converso il rettore Alan Garber nella richiesta di azione legale ha sottolineato come «Le azioni degli imputati minaccino l’indipendenza accademica di Harvard e mettano a rischio la ricerca fondamentale, salvavita e innovativa che si svolge nel campus».

L’ateneo non è rimasto solo a difendere questa trincea: l’American Association of Colleges and Universities, con la firma di rettori e amministratori di college di tutti gli Stati Uniti, compresi i grandi atenei pubblici di ricerca e i piccoli college privati, ha emesso una dichiarazione congiunta con quale è stata denunciata «l’ingerenza governativa e politica senza precedenti che sta mettendo a repentaglio l’istruzione superiore americana».

Chiudo questo ulteriore capitolo delle “malefatte” dell’amministrazione Trump con una piccola nota. Pochi giorni fa, dopo la scomparsa di papa Francesco, un’accolita di Trump, Marjorie Taylor Greene, deputata repubblicana per lo Stato della Georgia, ha dato voce alle molte accuse rivolte al Papa appena defunto dai rappresentanti di Maga. Taylor Greene ha pubblicamente affermato che «Il male viene sconfitto dalla mano di Dio» esprimendo la propria felicità per la morte del Pontefice.

Si può certamente discutere sulla qualità complessiva dell’operato di papa Francesco ed è giusto farlo perché la storia stessa lo impone. Ma il commento della deputata trumpiana mi riporta all’incipit. Non sarebbe il caso che negli Usa cominciassero a munirsi di pece e piume?

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