Entro la fine di febbraio dovrà essere trovato l'accordo al Congresso sull'innalzamento del tetto del debito pubblico, altrimenti partiranno i tagli automatici di spesa.
L'incubo che ha tenuto svegli i mercati finanziari anche a cavallo di Capodanno torna a dominare la scena.
«Se il Congresso non autorizzerà l'innalzamento del tetto del debito le conseguenze saranno disastrose, per l'economia e sui mercati». Ma la durezza delle parole del presidente , ormai è risaputo, non servono a smuovere gli oppositori repubblicani; al massimo preparano il terreno dell'attribuzione eventuale delle “colpe”.
Barack Obama non ha usato giri di parole per spiegare agli americani la cruda realtà: senza una rapida decisione, col debito che ha già sforato il limite legale dei 16.400 miliardi di dollari - il Paese va incontro al default e alla recessione. Se finora tutto ciò è stato evitato è grazie alle misure straordinarie varate all'inizio del mese, le ultime firmate dal segretario al Tesoro uscente Tim Geithner. Ma si tratta di risorse che servono ad arrivare solo a fine febbraio. Dopo di che c'è solo il baratro del fallimento. E a nulla servirebbero in quel caso le “misure straordinarie e non convenzionali” messe in campo dalla Federal Reserve (in buona sostanza: “iniezioni di liquidità”, ovvero stampare moneta) per “stimolare l'economia”.
Anzi, anche il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, lancia un appello a Congresso perché agisca in fretta. I repubblicani però vogliono a tutti i costi legare la questione dell'innalzamento del limite legale con quella dei tagli alla spesa pubblica, come del resto ha riaffermato a stretto giro di posta lo speaker della Camera, John Boehner.
Obama invece considera le due questioni come completamente distinte e separate. I toni del presidente sono duri: «Una sola parte non può dettare legge sul 100% degli americani», e non decidere l'immediato innalzamento del tetto del debito pubblico sarebbe «irresponsabile e assurdo». «Significherebbe - spiega - non poter più pagare i servizi sanitari, i servizi sociali per i più poveri e per i disabili, i college, le imprese».
L'inquilino della Casa Bianca ha del resto gioco facile nell'accusare di irresponsabilità i suoi avversari: l'ultima volta che i repubblicani sono voluti andare al muro contro muro «gli Stati Uniti hanno perso la tripla A e le imprese hanno fatto registrare un picco negativo sul fronte dei posti di lavoro». Il riferimento è all'estate del 2011, quando l'estenuante trattativa sul debito finì per costare cara, col primo downgrade della storia americana. «E per rendere completo il fiasco - aggiunge Obama - è aumentato il deficit».
Insomma, il gioco dell'arrivare all'ultimo minuto per strappare quante più concessioni si pretendono, ha un costo che nemmeno gli Stati Uniti si possono più permettere. «Alzare il tetto del debito - spiega rivolto agli americani - non significa aumentare la spesa pubblica», come vogliono far credere i repubblicani, ma significa «onorare gli impegni di pagamento già presi». Dunque, mano tesa al Congresso se si vuole discutere su come ridurre il deficit. Ma - ribadisce Obama - sul tetto del debito non si tratta: «Non mi metterò certo a discutere se dobbiamo pagare o meno i nostri conti. Non siamo una nazione di insolventi!».
E invece proprio di questo, alla fin fine si tratta. Gli Stati Uniti, almeno dal 1971 ad oggi, “pagano” i loro debiti... stampando altri dollari, senza più alcun rapporto tra questa massa di moneta immessa nella circolazione globale e una base aurea qualsiasi. Sfruttano insomma la propria posizione unica, di stampatori liberi della moneta internazionale di pagamento, per “mantenere un livello di vita” (in generale, tra consumi privati e pubblici, spese militari comprese) ingiustificato dai fondamentali dell'economia.
La Federal Reserve, intanto, in una comunicazione emessa ieri sera, al termine della riunione del Fomc, ha confermato per il momento l'intenzione di continuare con le misure straordinarie e «non convenzionali» messe in campo per favorire la ripresa americana. Lo ha ribadito Ben Bernanke, che si è detto ancora non completamente soddisfatto dei progressi fatti dall'economia Usa, nonostante i recenti segnali di un miglioramento. «Ci sono alcune cose positive - ha detto in un convegno - ma voglio essere chiaro: c'è ancora molto da fare».
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