Assad propone un ‘piano di pace’, naturalmente respinto dalla coalizione
delle opposizioni. L’International Human Rights Commission accusa l’ELS
di essere una coalizione di terroristi, alcuni dei quali provenienti
addirittura dall'Australia. Secondo i ribelli l’esercito avrebbe
arrestato il fratello del leader di Al Qaeda, al Zawahiri.
Intervenuto all'Opera di Damasco davanti ad un'ampia platea
di sostenitori, nel primo discorso pubblico da giugno, il
presidente siriano Bashar Assad ha accusato i ribelli di essere
"terroristi" e "criminali" legati ad Al Qaeda. E poi ha spiegato il suo
piano, diviso in una serie di tappe. “Prima di tutto le potenze esterne
dovranno smettere di armare i gruppi terroristici e dovranno cessare le
operazioni terroristiche” ha detto Assad, che poi ha aggiunto:
“l'esercito metterà fine alle operazioni militari, pur riservandosi il
diritto di difendere gli interessi dello Stato. Successivamente il
governo di Damasco indirà una conferenza di riconciliazione con
singoli siriani e partiti politici che non hanno tradito la Siria. La
conferenza di riconciliazione servirà a definire una Carta nazionale che
verrà sottoposta a referendum, sulla base della quale verranno indette
elezioni parlamentari che porteranno ad un nuovo governo e ad una
amnistia”.
Assad ha poi escluso ogni dialogo "con le
marionette dell'Occidente", promettendo di sconfiggere i rivoltosi. I
ribelli "sono nemici del popolo, nemici di Dio che ricorrono al
terrorismo contro la gente "- ha detto - "la chiamano rivoluzione, ma
non hanno nulla a che vedere con essa. Una rivoluzione ha bisogno di
pensatori, ma questo e' branco di criminali". Infine il capo del regime
di Damasco si è anche detto "grato" per il sostegno offerto da Cina,
Russia e Iran.
Dopo pochi minuti è arrivata la
reazione degli oppositori al regime siriano, naturalmente di completa
chiusura. La Coalizione nazionale siriana ha respinto la "soluzione
politica" proposta dal Presidente. "Quando abbiamo dato vita alla
Coalizione abbiamo detto che volevamo una soluzione politica, ma... ci
sono ora oltre 60.000 martiri. I siriani non hanno fatto tutti questi
sacrifici per mantenere questo regime tirannico", ha detto il portavoce
dell'opposizione, Walid al-Bunni, alla France presse. Dichiarazioni di
fuoco contro l’iniziativa di Assad sono piovute immediatamente anche da
Israele, Stati Uniti e Unione Europea. E anche il ministro degli Esteri
italiano Giulio Terzi ha sentito il bisogno di partecipare al coro.
Intanto nel paese sono in corso aspri combattimenti in numerose città,
anche con l’uso di armi pesanti e con numerose vittime da entrambe le
parti e anche tra i civili.
Due giorni fa
l’International Human Rights Commission (IHRC) ha affermato che il
cosiddetto ‘esercito siriano libero’ è null’altro che un gruppo
terroristico, sottolineando che Turchia, Qatar e Arabia Saudita
forniscono denaro e armi ai terroristi in Siria. In un’intervista
rilasciata alla TV araba siriana mercoledì, il capo dell’IHRC, Muhammad
Shahid Amin Khan, ha detto che l'IHCR condanna il terrorismo in tutto il
mondo, senza alcuna eccezione, aggiungendo che i rapporti diffusi dai
media dei paesi occidentali e di alcuni Stati del Golfo Persico,
riguardo agli sviluppi in Siria, sono “falsi”. “La Siria è stata vittima
dello stesso tipo di terrorismo che ha preso di mira il Pakistan e
altri paesi, a causa di Al-Qaeda, che stava combattendo contro
l’occupazione USA in Afghanistan ed ora è presente in Siria”, ha
aggiunto Khan. Il capo dell’IHRC si è scagliato contro il Qatar e la
Turchia a causa del loro perseguimento di una politica basata sul
finanziamento ai terroristi per destabilizzare i Paesi islamici. E poi
ha invitato tutte le parti in Siria a mettersi in gioco nel dialogo e a
trovare una soluzione pacifica alla crisi in atto nel paese, invitando i
gruppi dell’opposizione a modificare la propria politica di sostegno al
terrorismo e di smetterla di essere semplici strumenti nelle mani di
altri paesi.
Da tempo il governo siriano afferma che
molti dei combattenti nelle file delle milizie dell’opposizione sono
fondamentalisti islamici quando non appartenenti ai gruppi combattenti
della rete di Al-Qaeda provenienti da altri paesi.
E
proprio ieri il fratello minore di uno dei leader di Al-Qaeda, Ayman
al-Zawahiri, sarebbe stato arrestato in Siria dalle forze del regime. A
diffondere la notizia è stato il quotidiano britannico Independent,
secondo il quale i ribelli avrebbero riferito che Mohamed al-Zawahiri è
stato catturato a Daraa, nel sud-ovest della Siria, dove partecipava a
un incontro con esponenti dell'opposizione. Le fonti hanno affermato
anche che l'uomo non si trovava in Siria per condurvi azioni violente. E
che anzi “la sua sarebbe una missione umanitaria e avrebbe cercato di
mediare una tregua per consentire la consegna di aiuti”. Eppure nei mesi
scorsi Ayman al-Zawahiri ha apertamente preso posizione contro il
regime siriano, affermando che è un dovere di tutti i musulmani
partecipare alla jihad contro il presidente Bashar al-Assad. Tra i ribelli
siriani, il gruppo jihadista Jabhat al-Nusra ha conquistato un ruolo
sempre più di primo piano e si ritiene che il suo leader, Abu Muhammad
al-Julani, sia in contatto diretto con Ayman al-Zawahiri.
Il
fratello del numero uno di al-Qaeda, tuttavia, ha più volte negato in
passato di voler prendere parte direttamente al conflitto siriano. Ex
comandante militare della Jihad Islamica, ha trascorso 14 anni in
carcere in Egitto, il suo paese, con l'accusa di essere coinvolto
nell'omicidio del presidente Anwar Sadat nel 1981 e di aver condotto
altre attività terroristiche.
E a proposito di combattenti
stranieri attivi in Siria, di seguito un interessante articolo
pubblicato ieri dall’agenzia NenaNews
Siria, i jihadisti arrivano anche dall'Australia
di Giorgia Grifoni – NenaNews 5 gennaio 2013
E'
il primo governo, quello australiano, a fare dichiarazioni ufficiali ed
elencare i provvedimenti che rischia chi si unisce alla ribellione
siriana: 20 anni di carcere in patria e 7 per chi recluta, secondo una
legge del 1978 in base alla quale "è vietato recarsi in un paese
straniero con l'intenzione di partecipare alle ostilità".
Il portavoce del ministro degli esteri Bob Carr è stato esplicito:
Canberra avrebbe ricevuto informazioni secondo le quali sarebbero almeno
100 i cittadini australiani armi in mano in Siria e almeno 3 di loro
sono già morti negli scontri, come riportato dall'Osservatorio siriano
per i Diritti umani. A detta di Canberra, i mercenari che andrebbero a
ingrossare le fila della ribellione anti-Assad sarebbero membri delle
comunità non anglofone del paese, figli della più recente immigrazione e
lasciati partire per la Siria con la scusa del volontariato e degli
aiuti umanitari. Una scheda che potrebbe essere redatta in altre parti
del mondo, dall'Asia centrale all'Europa.
L'aveva detto, il
vice ambasciatore russo presso l'Onu a Ginevra, all'inizio dello scorso
anno, ma era stato vago: "sono almeno 15.000 gli stranieri che
combattono contro le forze del presidente siriano Bashar al-Assad". Il
regime, dal canto suo, aveva dichiarato i ribelli un esercito di
mercenari sanguinari entrati in Siria per creare anarchia. I servizi di
intelligence tedeschi avevano invece azzardato cifre inverosimili: solo
il 5 per cento dei combattenti siriani sarebbe siriano. E i think tank
occidentali si erano avvicendati a precisare stime e provenienze: sono
in numero crescente, ma costituiscono una fetta minore della ribellione
siriana.
Residuati del passaggio di jihadisti che andavano
ad unirsi ad al-Qaeda in Iraq negli anni 2004-2009, prodotto
dell'occhio cieco di Bashar al-Assad che non si era curato di
controllarli. Nostalgici di un emirato mai conosciuto ma invocato nelle
battaglie di Iraq, Afghanistan e Yemen. Ma anche nuove reclute, secondo
quanto emerge da vari reportage da Aleppo, ansiose di unirsi alla lotta
per la liberazione del popolo siriano contro l'odiato Assad. Entrano dal
sud della Turchia, dove per troppo tempo il primo ministro Erdogan ha
chiuso un occhio prima di accorgersi che questo esercito avrebbe fatto
solo gli interessi degli emiri del Golfo. Per arrivare ad Aleppo, basta
solo arrampicarsi su per le montagne.
Secondo un'analista
del Washington Institute, nei primi sei mesi del 2012 erano riusciti ad
entrare in Siria tra i 700 e i 1400 combattenti stranieri. Formavano
allora dal 4 al 7 per cento della ribellione contro Bashar al-Assad. Ma
nei sei mesi successivi le stime indicano che il loro numero è stato in
costante aumento, soprattutto nei pressi della città di Aleppo e in
generale nel nord della Siria. Vengono dal Nord Africa e dai paesi
Arabi, ma anche dal Caucaso, Europa, e Asia sud-orientale.
I contingenti più grandi - dai 500 ai 900 uomini - sono largamente
costituiti dai vicini della Siria: iracheni, giordani, libanesi e
palestinesi. Lottano contro i soldati filogovernativi per il controllo
di scali strategici, come l'aeroporto militare di Taftanaz, da cui
partono i raid aerei nella provincia. Secondo l'Osservatorio siriano per
i Diritti umani, sarebbero circa 800 i ribelli impegnati nella
battaglia, quasi tutti provenienti dal gruppo Jabhat al-Nusra, il Fronte
del Sostegno.
Accusata di uccidere e torturare la
popolazione, l'unità combattente jihadista più importante della Siria -
quella che ad Aleppo tiene in pugno i vari gruppi di ribelli che
compongono l'Esercito siriano libero con i petrodollari e con le
tecniche di guerriglia più avanzate - è stata recentemente inserita da
Washington nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Nata
poco meno di un anno fa, è l'unica unità presente in Siria a essere
riconosciuta da al-Qaeda. Si è fatta un nome nella ragnatela siriana
reclamando la responsabilità di un attentato a Damasco a gennaio dello
scorso anno, ma si è subito spostata al nord, terreno più fertile e meno
controllato dalle forze di Assad.
Secondo una scheda
redatta dall'Economist, al-Nusra conta circa 7.000 unità, poco meno
della metà di tutte le forze ribelli in campo in Siria.
Dagli ultimi reportage da Aleppo emerge come, nonostante la
dichiarazione di jihad globale e l'intenzione di stabilire un emirato
islamico nel nord della Siria, parte della popolazione si senta più
vicina a questa formazione che non agli altri gruppi dell'Esercito
siriano libero, chiamati più volte "l'esercito dei criminali".
Specialmente tra i più poveri e depredati. Sembrerebbe, infatti, che
questa fazione non saccheggi e devasti come le altre. Alcuni residenti
di Aleppo intervistati dall'Economist, che non volevano che i gruppi di
ribelli entrassero in città, hanno dichiarato di vederli focalizzati
sulla battaglia piuttosto che sul saccheggio. Forniscono armi e soldi
puntualmente provenienti da Riyadh e Doha anche alle formazioni alleate e
sono tra i quattro gruppi di ribelli più numerosi nel paese.
Stranieri e islamici radicali. Un'accoppiata che, se suona allarmante
nel pieno del conflitto, a fine guerra lo sarà ancora di più, come
emerge anche da una commissione d'inchiesta Onu sulla presenza di
guerriglieri stranieri nel Paese. Carla Del Ponte, ex procuratore del
tribunale internazionale dell'Aja, l'ha riassunto chiaramente: "Questo è
un elemento molto pericoloso e lo sarà di più soprattutto nel dopo,
ossia quando il presidente Assad non sarà più in carica e il regime sarà
cambiato. Perché questi mercenari che combattono al fianco degli
opponenti sono molto addestrati alla guerra". E non se andranno.
Fonte
Promette di finire peggio che in Libia.
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