La Francia rispolvera la "Francafrique" e protegge i suoi interessi. Un
conflitto che si annuncia lungo e denso di conseguenze in tutto il
continente. E che, al momento, costa 400 mila euro al giorno.
In generale, quando il governo francese si occupa dei maliani è per
espellerli; come mai tutto ad un tratto si è trasformato nel difensore
della popolazione del Mali? Per rispondere a questa domanda, è
inevitabile sottolineare le responsabilità stesse della Francia nella
crisi in Mali.
Politiche di aggiustamento strutturale
La crisi del debito negli anni '80 ha avuto un impatto drammatico sul
continente africano. Per quanto riguarda il Mali nel 1968 il debito era
di 55 miliardi Fcfa (vecchi franchi, ndt) per salire nel 2005 a 1.766
miliardi Fcfa.
I piani di adeguamento strutturale e la declinazione locale delle
politiche «a favore dei paesi poveri particolarmente indebitati» hanno
avuto conseguenze disastrose per il Mali, traducendosi nella
privatizzazione massiccia delle aziende del Mali a beneficio delle
imprese multinazionali, in prima linea quelle francesi. La distribuzione
di energia elettrica è passata sotto il controllo di Bouygues,
società presente anche nel campo estrattivo, dalle miniere d'oro alle
miniere di Morila. La società di sviluppo tessile del Mali che gestiva
la filiera del cotone è stata parzialmente venduta a Dagris; Orange,
attraverso la sua controllata di allora Ikatel, ha acquisito la
telefonia; l'Office du Niger, che gestisce i terreni coltivabili, è
diventata il promotore dell'accaparramento di terre. A questo si
aggiunge la presenza di multinazionali come Delmas, Bolloré che possiedono depositi di oltre 100.000 m2 essenzialmente per lo stoccaggio del cotone.
La seconda conseguenza è l'indebolimento dello stato, incapace di
assolvere le sue funzioni sociali e sovrane. Le strutture sanitarie e
l'istruzione sono fatiscenti, le forze armate del tutto inefficienti.
Queste tendenze sono molto più forti nel nord del paese, che è la
regione più povera.
Corruzione di massa
Allo stesso tempo, esiste in Mali un personale politico particolarmente corrotto.
L'entourage di Amadou Toumani Touré e il suo clan hanno ammassato
milioni di dollari grazie alla corruzione e ai traffici in
particolare nel nord del paese. Traffici di ogni tipo che non solo
finanziano i gruppi armati jihadisti e non, ma anche la gerarchia
militare del Mali e il suo ceto politico. La Francia non ha mai smesso
di sostenere Amadou Toumani Touré, che è stato in grado, dopo il colpo
di stato, di restituire il potere ai civili presentandosi e vincendo le
elezioni presidenziali del 2002-2007 prima e poi quelle 2007-2012,
ancora una volta in condizioni di trasparenza e correttezza elettorali
molto discutibili.
Come al solito la diplomazia francese ha fermato i giochi e sostenuto
Toumani Touré, mentre questi stava conducendo il suo paese dritto verso
l'abisso.
L'intervento in Libia
La Francia è stata la testa di lancia nell'intervento militare in Libia. Come nel caso del Mali, il presidente Sarkozy
ha preso a pretesto l'urgenza di intervenire - ai tempi si trattava di
rispondere alle colonne di mezzi blindati in procinto di entrare nella
città liberata di Bengasi. Conosciamo il seguito, un intervento per
bloccare questa colonna si è trasformato in un intervento massiccio da parte della Nato che ha rubato la rivoluzione ai libici e
ha impedito, attraverso le modalità della conquista di territori, la
costruzione di nuove strutture di potere. La militarizzazione a oltranza e
la caduta brutale di Gheddafi hanno creato un vuoto, adatto a tutti i
gruppi jihadisti e trafficanti per acquisire intere scorte di armamenti.
Inoltre, questo crollo repentino del regime libico, senza una struttura
credibile alternativa di governo, ha destabilizzato l'intera regione,
eliminando una risorsa di mediazione nei conflitti del Sahel.
La Francia scherza con il fuoco
La Francia, come farebbe qualsiasi paese imperialista, ha capito che
Toumani Touré si rifiutava di combattere effettivamente Al Qaeda del
Maghreb nel nord del Mali. Questa questione è particolarmente importante
per la Francia, soprattutto perché Areva ha investito ingenti somme per l'estrazione di uranio nella zona del Niger di confine con il nord del Mali.
La Francia ha cominciato a considerare il Movimento nazionale di
Liberazione del Azawad (Mnla) come possibilità di esercito supplente, in
grado di garantire la sicurezza degli impianti di estrazione e di
contenere gli attacchi di Al Qaeda in Maghreb .
Il Mnla è un'organizzazione Tuareg laica, che lotta per l'indipendenza
del Azawad, regione che si trova nel nord del Mali ed è il risultato di
una ricomposizione tra le organizzazioni Tuareg della zona. La maggior parte delle truppe combattenti provengono dalla Libia,
dove hanno servito nell'esercito. Dopo la caduta di Gheddafi sono
rientrate in Mali con armi e veicoli dotati di mitragliatrici. Un
convoglio che ha percorso migliaia di chilometri senza mai essere
fermato.
La diplomazia francese all'epoca guidata da Juppé, sempre presente in
queste regioni, ha spiegato che era arrivato il momento di avviare i
negoziati con il Mnla, fornendo a questo legittimità e incoraggiamento: "Parigi è favorevole a un dialogo politico inter-maliano" Alain Juppé lo ha ribadito nel palazzo presidenziale: "Si tratta di un dialogo politico che può aiutare ad uscire dallo scontro. Un dialogo assolutamente necessario".
In questa riunione il ministro francese aveva ribadito l'impegno della
Francia al rispetto dell'integrità territoriale del Mali e che il nemico
numero uno aveva un nome: Al-Qaeda del Maghreb islamico.
Lo scenario si sviluppa però in modo diverso da quanto era stato previsto dagli strateghi del Quai d'Orsay. Il Mnla stringerà un'alleanza con i jihadisti nella lotta contro l'esercito del Mali e sarà poi espulso dalle principali città del nord dai suoi ex alleati.
Esistono quattro organizzazioni jihadiste: Ansar Dine, organizzazione tuareg che ha rifiutato di aderire al Mnla e la cui priorità è l'introduzione della sharia; Al Qaeda del Maghreb Islamico, che viene dal Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento algerino; il Mujao (Movimento per l'unicità del jihad in Africa occidentale) e Boko Haram, setta che sta seminando un regno di terrore nel nord Nigeria attaccando lo Stato, così come i cristiani nigeriani.
Promemoria
L'intervento della Francia in Mali è solamente l'ultimo di una lunga tradizione di interventi.
Dal momento dell'indipendenza dei paesi africani la Francia è
intervenuta in quel continente una sessantina di volte. La strategia
della Francia è quella di mantenere la sua influenza politica ed
economica attraverso il costante sostegno alle varie dittature, che in
cambio di questo sostegno tutelano completamente gli interessi francesi.
In questo modo le multinazionali francesi mantengono vere e proprie
nicchie di mercato nel settore agro-alimentare, nella logistica, nei
trasporti, nella telefonia, ma anche nel saccheggio delle risorse
naturali, tra cui il petrolio e l'uranio.
Pedine della Francia
Quando è possibile, la diplomazia francese evita di intervenire direttamente. Così è successo per la crisi in Mali.
La Francia ha due strutture a disposizione.
Da una parte la presidenza dell'Unione africana fornito
dal presidente del Benin Boni Yayi. Durante la sua visita in Francia il
30 maggio, Hollande gli consigliò che l'Unione Africana effettuasse una
richiesta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per chiedere un
intervento militare africano: "Di fronte ai diversi approcci per
risolvere la crisi, il presidente francese ha invitato l'Ecowas e
l'Unione africana a richiedere al Consiglio di Sicurezza affinché possa
realizzare un «quadro di ricostruzione della stabilità per il Mali e
l'area più ampia». [2] Quando a Montreal è venuto a sapere dell'intervento militare francese, ha detto di sentirsi al settimo cielo".
Il secondo fulcro della diplomazia francese è l'Ecowas,
l'organizzazione ombrello per gli stati dell'Africa occidentale,
guidata da Ouattara, che ha conquistato la sua posizione di presidente
della Costa d'Avorio grazie ai carri armati francesi (la giustificazione
al tempo era quella di far rispettare i risultati delle elezioni
presidenziali - elezioni sulla cui legittimità c'è molto da dubitare).
Per quanto riguarda il mediatore di Ecowas, che non è altro che Blaise Compaoré ben noto nel serraglio di Françafrique, grazie al suo contributo nel rovesciamento (e assassinio, NdT) di Thomas Sankara
e per la sua complicità con Charles Taylor condannato per crimini
contro l'umanità per gli abusi commessi in Liberia e Sierra Leone.
La Francia si oppone ad un processo di transizione politica
Quando l'esercito ha deciso di inviare i soldati maliani sul
fronte, garantendo che le armi e le munizioni sarebbero arrivate
successivamente, è scoppiata una rivolta nella caserma del Kati, situato
a quindici chilometri dalla capitale Bamako. I ribelli si stavano
muovendo verso il palazzo presidenziale, difeso malamente solo da alcuni
membri della guardia presidenziale. Amadou Toumani Touré deve fuggire. I
ribelli si ritrovano al potere e annunciano la creazione di un
consiglio nazionale; il colpo di stato è sostenuto dalle organizzazioni
della sinistra radicale, dalle organizzazioni della società civile e da
una parte dei sindacati che costituiscono il Movimento popolare 22
marzo. Questa organizzazione si propone di essere il braccio politico
dei militari.
La diplomazia francese è in linea con i governi africani in carica, la
paura forte è che il Mali si emancipi dall'ordine stabilito e faccia di
tutto per rimettere in sella il precedente e vituperato governo maliano.
L'Ecowas organizzerà un blocco economico che ben presto provocherà
l'isolamento del paese; si darà da fare per sabotare tutti gli sforzi di
una riorganizzazione della politica maliana che soddisfi le esigenze
delle popolazioni e riesce a mettere a capo della transizione il
Presidente dell'Assemblea Nazionale, che non ha alcuna legittimità
popolare o costituzionale. Peggio ancora, mentre i jihadisti rafforzano
la loro posizione, l'Ecowas bloccherà i porti di Dakar e Conakry per scongiurare la consegna di armi che il Mali aveva acquistato legalmente. Armamenti
che saranno sbloccati solo nel momento in cui il Mali avrà firmato la
richiesta di assistenza militare esterna.
Lobby bellicista
La Francia farà un intensa attività di lobbying affinché la comunità
internazionale accetti il principio di un intervento militare; è la sua
diplomazia che scriverà la risoluzione delle Nazioni Unite e si
scontrerà per oltre due mesi contro lo scetticismo dell'Onu, degli Usa e
della stessa Algeria, che dovrà a malincuore accettare il principio del
negoziato con alcuni gruppi armati, in particolare con il Mnla e Ansar
Dine.
L'intervento militare francese
Osservatori come Jacquemot, sul settimanale «L'Express» hanno spiegato come questo intervento sia stato a lungo preparato:
"Lo scoppio dell'intervento francese è stato improvviso, ma era stato
pianificato. Come prova, la contro-offensiva è andata ben oltre le
comunità minacciate ed era ben preparata". Le Drian, ministro della Difesa, già nel 2012 parlava di un intervento inevitabile.
Ancora una volta, l'urgenza evocata di un intervento militare serviva a
impedire il dibattito e permettere di raggiungere obiettivi che cambiano
nel corso del tempo. In effetti, l'intervento è stato giustificato per
fermare l'avanzata dei jihadisti; una volta chiaro che tale obiettivo è
stato raggiunto, ne appare uno nuovo: oggi si parla di «sradicare il movimento islamista e rendere sicuro lo stato del Mali», permettendo in questo modo alla diplomazia francese ogni margine di manovra.
Un intervento intrapreso al di fuori del quadro giuridico internazionale.
Ricordiamo che la risoluzione 2085 del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite autorizza solo interventi di forze militari
africane. La Francia ha ottenuto un assenso posteriore al Consiglio di
Sicurezza, ma con forti riserve degli esperti militari di quel consesso.
Per mostrare di essere sempre all'interno del quadro giuridico
internazionale, la Francia sostiene di aver agito su richiesta del
Presidente del Mali, che, come abbiamo visto non dispone più di alcuna
legittimità costituzionale e popolare.
L'intervento permanente
L'intervento durerà a causa della resistenza dei gruppi jihadisti, forti
del loro addestramento e dei loro armamenti. Oltre tutto la tattica di
questi gruppi è ora quella di dividersi e cercare di invadere città
di medie e piccole dimensioni; in questo modo l'utilizzo degli arerei Mirage e Rafale diventerà presto inefficace.
In effetti gli aerei sono utilizzati principalmente per colpire
posizioni fisse e sedi chiaramente definite come quartieri generali,
magazzini, campi di addestramento, ecc.
In ogni caso dovrà aver luogo un'operazione di terra, e già sono stati
ingaggiati combattimenti da parte dei militari francesi a Diabali.
Teoricamente, queste operazioni dovrebbero essere di competenza degli
eserciti africani, ma questi, come il Niger e il Senegal sono poco
efficaci, e quando sono relativamente efficienti, non conoscono il
terreno come nel caso dell'esercito nigeriano. Perciò in tutti i casi
l'esercito francese dovrà essere dispiegato e non è escluso che si
troverà in prima linea. L'inizio di un intervento
permanente è di fatto cominciato in quanto l'obiettivo è quello di
dispiegare 2.500 soldati in Mali.
Notiamo ai margini che in questo importante momento d'austerità fiscale, la previsione di spesa per l'intervento è stimata a 400.000 euro al giorno:
pensiamo cosa si potrebbe fare con tali somme per il miglioramento
delle strutture sanitarie e sociali nella regione del nord del Mali.
Il rafforzamento del piano «Vigipirate» (all'interno del territorio
francese, NdT) e la volontà di drammatizzazione oltremisura il rischio
terrorismo contribuiscono a creare un clima di unità nazionale, e al
tempo stesso rafforza il clima razzista in Francia. Ancora una volta la
tesi dell'Islam come potenziale pericolo per la Francia sarà rafforzata.
Rischio di grave crisi umanitaria
Dopo sei giorni di conflitto, l'Onu ha registrato più di 150.000 profughi in fuga dalle zone di guerra che si sono rifugiati nei paesi in cui la popolazione è già povera,
oltre a 230.000 sfollati interni allo stesso Mali. La mancanza di
sostegno politico, il vuoto creato dalla fuga dei jihadisti dalle città
più importanti della regione potrebbe vedere la nascita di conflitti tra
comunità basati su vecchi rancori.
Il numero estremamente elevato di armi in circolazione nella regione; la
creazione di nuove milizie come Ganda Iso («figlio della terra» secondo
la lingua Songhai), uno dei tre gruppi che formano il Fronte di
liberazione del nord del Mali; la recente decisione del Mnla che rifiuta
l'ingresso dell'esercito maliano nel nord del Mali fanno
temere un'esplosione di violenza, o almeno una serie di conflitti
drammatici alimentati dall'introduzione di milizie di autodifesa delle
diverse comunità. Il rischio è che si crei una situazione identica a quella del Congo orientale Kinshasa
(Rdc), dove però le forze delle Nazioni Unite sono presenti, senza
alcuna capacità di fermare questa spirale. Tanto più che, come nel caso
della Rdc e al di là dei conflitti tra le comunità, le questioni
economiche legate ai diversi traffici in queste regioni sono enormi,
compreso il traffico di droga. Il caso più eclatante è l'atterraggio di
un Boeing 727 pieno di cocaina destinata per l'Europa con un valore di
mercato di diversi milioni di euro.
E già, siamo testimoni delle atrocità commesse dall'esercito del Mali, come indicato dal quotidiano «Le Monde».
Restiamo internazionalisti
La nostra posizione si scontra contro una quasi totale unità nazionale.
Alcuni possono essere stati travolti da un sentimento perfettamente
legittimo contro la barbarie jihadista e le sofferenze del popolo, ma
ora che le cose sono diventate più chiare, dobbiamo dire che la guerra
sarà lunga, costosa e difficile.
La Francia, che è la fonte dei problemi, non può essere la soluzione. In
effetti la Francia, che dopo l'indipendenza degli Stati africani ha
sostenuto le peggiori dittature, i peggiori massacri, le peggiori
guerre, che è coinvolta nel genocidio in Ruanda, non è certo nella
posizione migliore per difendere i diritti dei popoli in Africa.
Noi possiamo solo denunciare la «Françafrique», il suo sostegno ai
dittatori, il fatto che Hollande riceva i vari Bongo, Déby, Compaoré, il
fatto che non abbia mai alzato una parola di protesta nei confronti del
la violenza delle forze repressive in Togo contro i manifestanti.
Dobbiamo riaffermare la nostra solidarietà con le forze progressiste in Africa e Mali che si oppongono all'intervento francese.
Fonte
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