Uno studio dal titolo “Autoritarismo e costituzione di personalità fasciste nelle forze armate italiane: un’autoetnografia”, curato dai sociologi Pietro Saitta e Charlie Barnao ha mandato su tutte le furie i parà della Folgore. Charlie Barnao è ricercatore a Catanzaro, ma ha un passato da paracadutista tra Pisa e Siena. Il suo diario è alla base del working paper che interpreta la caserma come «istituzione totale» e la Folgore come un corpo caratterizzato da riti di iniziazione e addestramento particolarmente violenti, con precisi richiami “fascisti”. Il sito della Folgore, sentendosi punto sul vivo ha reagito accusando lo studio di non essere scientifico, di essere basato su una sola testimonianza e datata nel tempo. Una replica questa della Folgore che potrebbe rivelarsi un boomerang nel tempo e nel numero.
Nello studio, la testimonianza di Barnao è piuttosto inquietante, anche se occorre dire che non è la prima testimonianza di questo genere. “L’arrivo in caserma è un po’ traumatico...», racconta Barano. Le reclute sono i «mostri». Per loro il primo impatto non è facile. «All’entrata in caserma c’era un gruppetto di paracadutisti che hanno iniziato a urlarci in coro “benvenuti all’inferno!”». Poi ci sono i vari rituali d’iniziazione. Uno dei più brutali è in vigore presso i Nocs: «Picchiare il fondo schiena di un commilitone sino al punto di renderlo insensibile, così da applicare un morso profondissimo che squarcia i glutei da lato a lato». Nella Folgore, invece, si usa la «pompata»: flessioni sulle braccia ordinate a un sottoposto. In qualsiasi momento: «Il paracadutista che ha ricevuto l’ordine di pompare deve immediatamente tuffarsi a terra e durante il tuffo, mentre è ancora in aria, deve sbattere le mani due o persino tre volte (una avanti, una dietro la schiena, una avanti) se il superiore lo richiede. Il superiore può fare ripetere tale operazione tutte le volte che vuole, fino a quando non la riterrà svolta nel modo corretto».
Lo studio di Saitta e Barnao sui “riti” nelle Forze Armate ha suscitato le isteriche reazioni del solito partito dei militari, quello de “i nostri ragazzi in Iraq”, quello de “Quattrocchi è un vero italiano”, quello de “riportiamo a casa i marò”. Il solito Il Giornale titola: «L’università di Messina infanga la Folgore – Un saggio dipinge la Brigata come una fabbrica di fascisti». In coda, centinaia di commenti basati sulla contrapposizione tra «sociologi comunistoidi» e patrioti con la divisa. La risposta dell’Università non si fa attendere. Il direttore della collana editoriale, con il “grande coraggio” che contraddistingue i docenti di molti atenei italiani, rimuove subito il working paper dal sito ufficiale del Cirsdig, il centro studi. «Quale direttore dei Quaderni Cirsdig, rammaricandomi dell’omissione della doverosa vigilanza, determinata da una mal riposta fiducia, rendo noto che il testo di Barnao e Saitta, è stato pubblicato sul sito a gennaio del 2012, con il n. 50, senza la mia autorizzazione e a mia insaputa dal redattore dr. Pietro Saitta, che gestisce operativamente il sito», scrive il prof. Carzo. “Il testo in questione, contrariamente alle regole dei Quaderni Cirsdig, non è stato preventivamente sottoposto alla procedura di referaggio anonimo, quindi è stato eliminato dal sito stesso, in quanto non conforme ai criteri stabiliti. Informo, pertanto, di aver già provveduto a rimuovere dall'incarico il dr. Pietro Saitta, di concerto con il Comitato Scientifico”.
L’aspetto del saggio che deve aver fatto scattare contromisure pesanti non è tanto il legame della Folgore con i fascisti sia nel ventennio che in tempi recenti o il pesante nonnismo di caserma. Gli autori sostengono infatti che in Italia si sta assistendo alla trasmissione di pratiche e ideologie dall’esercito alla polizia, producendo una commistione che rende il confine tra guerra e pace sempre più confuso. «Così com’è accaduto ad altri paesi europei, a partire dagli anni Ottanta, l’Italia ha conosciuto una profonda trasformazione della propria struttura militare e di polizia, attraverso l’impegno crescente nelle missioni internazionali; l’abolizione del servizio militare di leva e la nascita di corpi militari professionali; la creazione di canali privilegiati di passaggio dall’esercito alla polizia per coloro che abbiano prestato da uno a tre anni di servizio militare e, conseguentemente, il significativo ingresso di veterani nelle forze dell’ordine».
Questi elementi contribuiscono a spiegare situazioni cruente di gestione dell’ordine pubblico, a partire dal G8 a Genova. I casi Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri, Michele Ferrulli e Christian De Cupis, morti in strada o caserma. E anche il crescente risentimento nei confronti delle forze di polizia (la diffusione delle scritte «Acab» in tutta Italia).
La tendenza esprime una doppia conversione, «quella poliziesca del militare e quella militare dell’azione di polizia». Una tesi questa già descritta in autorevoli studi come quello dell’Università di Genova firmato da Alessandro Dal Lago e Salvatore Palidda. Gli studiosi segnalano «il rafforzarsi, ben oltre il livello di guardia, dell’autonomia di alcuni corpi speciali di polizia, come, per esempio, a livello europeo, Eurogendfor». Si tratta di un corpo creato da cinque stati membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, finora impiegato in Bosnia, Haiti, Afghanistan. Sul sito ufficiale si spiega che «le forze di Eurogendfor hanno un addestramento militare e un robusto equipaggiamento che permette loro di agire in “ambienti destabilizzati” svolgendo compiti di polizia fin dall’inizio di una crisi».
Insomma, la militarizzazione della polizia e delle funzioni di ordine pubblico incombe sul paese, averlo denunciato ha scatenato reazioni rabbiose che ne confermano tutta l’inquietante pericolosità per l’assetto democratico.
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