L’apertura, con conseguenti
capriole dialettiche, di Beppe Grillo a Casa Pound, le dichiarazioni di
Berlusconi su Mussolini e le leggi razziali, le critiche di Monti
all’inadeguatezza odierna destra e sinistra. Cosa hanno in comune?
L’affermazione del superamento di destra e sinistra, visti come schemi
culturali inadatti alla concretezza di oggi.
Le
ideologie sono viste come qualcosa di assimilabile al fideismo
presente nelle guerre di religione nel momento in cui nasce il mondo
moderno. Lo schema del superamento di destra e sinistra, che si vuole
come novità da molti lustri, non si tenta ovviamente di applicarlo solo
in politica. Al contrario, ha continui tentativi di applicazione nel
mondo economico e dei diritti. Basti ricordare, per fermarsi alla
cronaca, che Marchionne ha affermato che in un mondo in cui sarebbero
cadute le ideologie la rigida materialità dei diritti dei salariati è
impossibile. Stesso rimando, elogio della concretezza nel momento in
cui i diritti sostanziali vengono classificati come fenomeno ideologico
ed inerogabile, lo troviamo in tutti i teorici dello smantellamento
del welfare. La retorica della fine delle ideologie, l’al di
là di destra e sinistra, nel momento i cui assimila le culture
politiche ad una fede senza riscontro reale mostra quindi la sua base
materiale. Da ritrovarsi nella compressione dei diritti, nella
riduzione del salario e nella eliminazione delle tutele collettive.
Eppure
la retorica della fine delle ideologie e quella dell’essere al di là
di destra e sinistra sono fenomeni che si intrecciano in modo diverso
anche se oggi sono visti come saldati. Bisogna infatti ricordare come
non sia possibile parlare di fine delle ideologie senza un riferimento
diretto a Daniel Bell.
Teorico americano della tecnocrazia e del pragmatismo che coniò
direttamente l’espressione a metà anni ’50 per ripetersi in un testo tutto dedicato alla fine delle ideologie.
Le tesi di Bell avevano un esplicito avversario: la possibilità
dell’instaurazione di qualsiasi forma di socialismo negli Usa. Ma Bell
non era il classico maccartista tutto isteria e repressione. Al
contrario le tesi di Bell registravano il raggiunto benessere materiale
di buona parte della società Usa di allora. A questo livello di
benessere, argomentava Bell, ideologia e socialismo non fanno più presa
nella società americana. Al di là di una serie di passaggi la fine
delle ideologie di Bell è una teoria politica, ed una antropologia,
della società spoliticizzata del consumo dove il potere di indirizzo
complessivo è nelle élite. Insomma la fine delle
ideologie è una retorica contro la sinistra e i movimenti socialisti
americani visti sostanzialmente come inutili in una società del
benessere. Differente è la questione del superamento della
dicotomia destra sinistra, comunque contenuto in Bell, che ha
un’origine di gran lunga precedente e distintamente di destra. Per
farla breve. Basti ricordare una figura come Ernst Niekisch, uno degli
esponenti di punta del nazionalboscevismo tedesco degli anni ’20, che
mescolava antisemitismo, bolscevismo e nazionalismo fino a vagheggiare
una opposizione di destra ad Hitler negli anni ’30. O i tentativi di
confusione, simbolica e nelle parole d’ordine, tra destra e sinistra
operati dal fascismo sin dalla sua nascita.
Fine
delle ideologie e della dicotomia destra-sinistra hanno quindi una
robusta tradizione teorica (appena intuibile in queste poche righe),
niente affatto nuova come si vede, nel momento in cui dalla
chiacchiera, e dalla dimensione mediale, passano alla fase più
compiutamente analitica. Dalla dimensione mediale a quella teorica c’è
quindi un tratto comune: queste teorie del “superamento” servono per
mettere all’angolo la sinistra oppure la rivendicazione di diritti
concreti e legati al reddito. Nella comunicazione politica la teoria più
efficace, quella del catch-all-party, del partito capace di prendere voti da destra e da sinistra è della metà degli anni ’60, per l’esattezza di Otto Kirchheimer
che è stato esplicitamente lettore di Bell. E, semplificando, se Bell è
stato un autore, nella polemica con Mills, in grado di celare di nuovo
la natura violenta e gerarchica del potere delle élite, Kirchheimer di
tutto questo ha fatto una tecnologia politica di tipo mediale. In
grado di svuotare le sinistre attirando, sui partiti istituzionali,
consensi da destra e da sinistra.
La
grossa differenza, oltre alla morfologia sociale e mediale, tra l’epoca
della nascita della retorica della fine delle ideologie e della
tecnologia politica del catch-all-party e la nostra, sta nella
differente prognosi sulla società. Mentre all’inizio degli anni ’60
potevano essere giustificabili teorie politiche del “benessere”, così
come negli anni ’80 è avvenuto per la fine delle narrazioni, oggi il
superamento delle ideologie e della dicotomia destra-sinistra è tutto
giocato nel discorso della crisi. Il tutto, e questo è il tratto
comune, in una società sostanzialmente spoliticizzata in grado di
pensare per interessi frammentati. Ma i tratti di fascismo
nascosti in queste argomentazioni del superamento, fin dagli anni ’20 e
quindi da un’epoca di grave crisi, in qualche maniera riemergono nelle
retoriche di oggi. Della necessità di ripescare subculture di
destra, nel contesto del superamento delle ideologie, se ne è quindi
accorto Berlusconi, dopo una più che probabile analisi dei sondaggi e
dei focus-group, ripescando Mussolini appena tre anni dopo la prima
celebrazione, da presidente del consiglio, del 25 aprile. In tutte
queste (molto) diverse retoriche del superamento destra-sinistra (da
Monti a Grillo, da Berlusconi a Marchionne) emerge quindi la
possibilità della formazione di una differente ideologia light del
fascismo. Formazione che non riguarda solo la sua rielaborazione, in
termini sia postmoderni che di antica fattura (ci si riferisce al
“Mussolini bene fino alle leggi razziali”), ma proprio lo spessore delle
cultura politica istituzionale italiana. Per fascismo light intendiamo
un forte autoritarismo, capace di sospendere libertà essenziali,
liberato da aspetti militari, di intolleranza spettacolare tipico del
fascismo anni ’20. Un forte autoritarismo nel quale però è presente il
richiamo ossessivo alla necessità della decisione, tratto della cultura
di destra che ha sfondato presto anche a sinistra, del trasferimento
del consenso generale ad una precisa leadership per la rottura di
assetti sociali consolidati (rappresentati, spesso caricaturalmente,
come corporazioni). Un autoritarismo che, nel momento in cui riceve
consenso alla propria struttura verticale, non esita ad usare la forza
nei confronti degli strati sociali verso il quale ha puntato il proprio
mirino. Si tratta di fascismo light anche per un altro motivo: produce
forte, anche drammatico autoritarismo non entro strutture corporative e
antidemocratiche per costituzione ma attraverso dispositivi di
deliberazione democratica e tramite le elezioni. Si dirà, il
centrosinistra? Non usa totalmente le retoriche del superamento ma ne è
prigioniero grazie ad un presupposto importante già presente nelle
analisi di Bell. Quello che vuole la politica schiacciata sull’immediato
presente, tecnocratica, legata ad élite come presupposto della fine
delle ideologie. Per cui la differenza tra centrodestra e
centrosinistra, e formazioni varie, oggi si da tutto sul piano,
costitutivamente contro sinistra e movimenti, della fine delle
ideologie. Quello delle retoriche del ripescaggio della destra in forma
di fascismo light, o di corporativismo light alla Marchionne e di nuovo
autoritarismo liberista alla Monti, e quelle del pragmatismo, del
“fare” del centrosinistra. Si tratta di un polo politico che, a parte
qualche pallida eccezione, ha persino abbandonato la dicotomia
destra-sinistra così come era stata formulata dal moderato Norberto
Bobbio all’alba del berlusconismo. Bobbio definiva “di sinistra” la
capacità di mantenere l’ideale regolativo, non la sostanza ma le
retoriche e la forma giuridica quindi, dell’eguaglianza. In questa
forma, lungo tutti gli anni ’90, Bobbio fu adottato dal centrosinistra.
Salvo essere abbandonato, nella decade successiva, a favore di
retoriche, provenienti dall’impianto teorico di Rawls, sull’equità. Che
altro non è che un dispositivo di giustificazione etica
dell’ineguaglianza su basi pragmatiche e contingenti.
Siamo
quindi di fronte a schieramenti, complessivamente in declino se si
confrontano i risultati elettorali degli ultimi anni con i sondaggi di
oggi, dove lo scontro è tra la riproposizione di un fascismo light e
quella di una diseguaglianza, detta equità, tutta interna a dispositivi
fiscali, di revisione dei contratti di lavoro e finanziari. Con in
mezzo tutta una serie di formazioni politiche, come Grillo, che
rielaborano i movimenti come apertura a destra e a sinistra in nome del
superamento delle ideologie oppure che rivedono, al rialzo, il
pragmatismo dell’equità, come nella lista Ingroia, secondo un
dispositivo teorico e comunicativo sostanzialmente eticista (di qui la
scelta di candidare un magistrato).
Una
cosa appare sicura: di fronte ad una crisi che non cesserà a breve,
basta vedere le previsioni dell'Fmi, che rischia di abbattersi ulteriormente
su lavoro e salari (come ammette lo stesso Pd che vuol governare il
fenomeno con una nuova concertazione) lo scenario politico istituzionale
è costituito da culture e pratiche politiche che, salvo anomalie,
coralmente e sostanzialmente negano l’eguaglianza e l’universalità dei
diritti materiali. Questo è il significato della fine odierna delle
ideologie comunque, come si nota, ben diversa dalla formulazione
originaria di Bell seppur esplicitamente antisocialista. Questo è
l’oggi, con l’ombra di un fascismo light che spunta dietro l’angolo.
per Senza Soste, nique la police
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento