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19/01/2013

Lavorare all'estero: sfruttamento, topaie... meglio l'Italia?

Sono appena tornata da Londra, dove ho fatto alcune interessanti scoperte. Ad esempio che per la prima volta i turisti italiani sono pochini, sarà la stagione invernale che non invoglia. In compenso, ci sono italiani (e spagnoli) a lavorare ovunque.
Nei negozietti del centro e nei mercati, le commesse sono italiane. Nei caffé, i baristi sono italiani. Una vera invasione di giovani dal belpaese che lavorano nella capitale britannica. Sarà sempre stato così, mi sono detta, e io non me ne ero mai accorta.

Ho fatto allora una piccola indagine. In realtà, è vero che negli ultimi mesi c'è stata un'ondata migratoria dall'Italia. Si tratta di giovani senz'arte né parte che, non trovando un lavoro in Italia, fanno la valigia e si spostano all'estero. Niente "cervelli in fuga" e prestigiose carriere, insomma: solo disoccupati alla ricerca di un salario. E lo trovano, il salario: 30 sterline al giorno. Neanche 40 euro, per le commesse, i baristi, i camerieri. Cifre irrisorie, che consentono a malapena di sopravvivere visti i costi stellari dei trasporti e degli affitti: perché le case più economiche si trovano in periferia, e se si vive lontano dal luogo di lavoro si spende una fortuna in spostamenti. Così, i ragazzi italiani si ritrovano costretti a dormire in tre in una stanza, in sette o otto per appartamento, e si tratta di topaie indecorose che in Italia non esistono neanche nelle peggiori borgate. E il mangiare? Una schifezza: senza soldi, c'è solo cibo spazzatura. Un chilo di arance costa 4 euro.

Non solo. Tale regime di schiavitù e abbattimento dei salari ricade anche sui lavoratori residenti, inglesi o stranieri che siano, i quali sono infuriati e disperati perché le loro 60 sterline al giorno stanno diventando rapidamente 30: "Se non accetti, puoi andartene, tanto trovo un italiano che lo fa al posto tuo". Insomma, si fa dumping salariale e noi siamo diventati i rumeni e i filippini della situazione.

A questo punto è il caso di pensarci due volte, se andare a "cercare fortuna" all'estero. Se non si sa fare nulla e non si è specializzati in niente, lo stipendio che si riceverà sarà pari ai soliti stipendi schiavisti italiani dei call center e dei centri commerciali, con in più una qualità della vita davvero molto peggiore. Farlo per imparare l'inglese o frequentare un corso universitario ha un senso, ma pensare di "aver trovato lavoro" in queste condizioni significa nascondere a se stessi l'ennesima umiliazione.

E se si deve morire di fame, è sempre più dignitoso farlo a casa propria.

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