di Michele Paris
Mettendo fine a mesi di indugi e trattative internazionali, nel fine
settimana appena trascorso il presidente francese, François Hollande, ha
deciso di aprire un nuovo fronte di guerra in Africa occidentale,
inviando centinaia di soldati e avviando una campagna di bombardamenti
aerei in Mali, ufficialmente per contenere l’avanzata sempre più
minacciosa dei ribelli islamisti nel nord del paese.
Ad innescare
l’offensiva della Francia sarebbe stato l’ingresso il 10 gennaio scorso
nella città di Konna, a oltre 600 km a nord-est della capitale del
Mali, Bamako, delle forze ribelli, le quali hanno costretto l’esercito
regolare alla fuga, minacciando di prendere possesso delle località
cruciali di Mopti e Sevaré, dove sorge una base aerea di fondamentale
importanza strategica. Con il resto del paese africano a rischio di
cadere nelle mani dei ribelli, il giorno successivo Parigi ha perciò
ordinato l’impiego delle proprie forze aeree, grazie alle quali Konna è
tornata subito nelle mani del governo centrale.
Le bombe francesi avrebbero causato un centinaio di morti a Konna, dei quali, secondo quanto riferito ad Al Jazeera
da un portavoce del gruppo integralista Ansar Dine, solo 5 guerriglieri
e il resto civili. Inoltre, un pilota di un elicottero francese e una
decina di soldati maliani sarebbero rimasti uccisi durante le
operazioni. Nonostante la cacciata dei ribelli da Konna, come ha
affermato il ministro della Difesa transalpino, Jean-Yves Le Drian,
l’area attorno alla città rimane teatro di “intensi scontri”.
I
bombardamenti sono continuati anche nei giorni successivi. Domenica, gli
aerei francesi hanno preso di mira località più a nord, come Gao e
Kidal, dove i ribelli avevano stabilito le proprie basi nei mesi scorsi.
Pubblicamente, i principali alleati della Francia hanno espresso il
proprio sostegno all’operazione. Gli Stati Uniti hanno offerto supporto
logistico e di intelligence ma nessun soldato, mentre la Gran Bretagna
soltanto velivoli per facilitare il trasporto delle truppe.
La
lenta preparazione delle forze di terra africane per contrastare i
ribelli islamici nel nord del Mali, seguita alla recente risoluzione del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU e inizialmente prevista per il prossimo
settembre, sembra avere subito un’accelerazione con l’iniziativa presa
da Parigi. I governi che fanno parte della Comunità Economica dei Paesi
dell’Africa Occidentale (ECOWAS) stanno infatti organizzando vari
contingenti da inviare in Mali a sostegno dello sforzo francese.
Il
Senegal e la Nigeria, ad esempio, avrebbero già inviato delle truppe,
mentre 500 soldati dal Burkina Faso dovrebbero giungere nei prossimi
giorni. Alla guida provvisoria dell’ECOWAS, va ricordato, c’è in questo
momento il presidente della Costa d’Avorio, l’ex funzionario del Fondo
Monetario Internazionale Alassane Ouattara, installato al potere proprio
grazie all’intervento armato nella ex colonia dell’esercito francese
nell’aprile del 2011 dopo le discusse elezioni del novembre precedente.
Il
governo di Parigi ha in ogni caso tenuto a precisare non solo che i
raid dei giorni scorsi hanno già fermato l’avanzata dei “terroristi” ma,
come ha affermato domenica il ministro degli Esteri, Laurent Fabius,
che l’intervento francese in Mali sarà solo “questione di settimane” e
servirà ad aprire la strada alla forza multinazionale organizzata dai
paesi vicini. Nonostante la massiccia campagna aerea, però, i ribelli
hanno fatto segnare progressi nella giornata di lunedì, strappando
all’esercito regolare la località di Diabaly, nel Mali centrale e a soli
400 km dalla capitale.
Il
Mali, colonia francese fino al 1960, era precipitato nel caos lo scorso
marzo, quando un colpo di stato guidato da un capitano dell’esercito
addestrato negli Stati Uniti, Amadou Sanogo, aveva deposto il presidente
uscente Amadou Toumani Touré. Pochi giorni più tardi, un’alleanza di
ribelli Tuareg e integralisti islamici aveva facilmente cacciato le
forze di un esercito regolare allo sbando dalle postazioni nel nord del
paese. In seguito, i gruppi jihadisti avevano proceduto ad emarginare i
Tuareg, imponendo le norme della legge islamica (Sharia) nelle aree da
loro controllate ed attirando guerriglieri islamisti da svariati paesi
africani, asiatici ed europei.
L’intervento delle forze armate
francesi in Mali viene in questi giorni descritto da quasi tutti i media
occidentali come una decisione necessaria, inquadrata nella consueta
retorica di una “guerra al terrore” che ha fatto ora irruzione nel
continente africano. Tuttavia, simili pretese risultano a dir poco
assurde.
Innanzitutto, la crisi esplosa lo scorso anno in Mali è
la diretta conseguenza del conflitto imperialista orchestrato in Libia
per rimuovere il regime di Gheddafi. L’intervento della NATO nel paese
nord-africano ha, da un lato, causato il rimpatrio forzato di
guerriglieri Tuareg ben armati che avevano combattuto a fianco di
Gheddafi e, dall’altro, consentito il flusso di armi fornite ai ribelli
libici dall’Occidente e dalle monarchie del Golfo Persico a favore di
Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), la principale formazione
estremista impegnata in Mali assieme ad Ansar Dine.
La doppiezza
di Parigi, così come di Washington o di Londra, appare in tutta la sua
evidenza proprio alla luce della vicenda libica e della risposta data
più in generale ai fatti della Primavera Araba. In Libia, infatti, la
Francia e i suoi alleati hanno collaborato in maniera molto stretta con
il cosiddetto Gruppo dei Combattenti Islamici Libici (LIFG) per
abbattere il regime di Gheddafi, fornendo ai suoi affiliati armi, denaro
e addestramento.
Questa formazione integralista è da anni
alleata precisamente con Al-Qaeda nel Maghreb Islamico, contro cui le
forze francesi stanno combattendo in questi giorni in Mali, ed è attiva
da tempo con propri uomini nella guerra civile in Siria in
collaborazione con gruppi jihadisti come il Fronte al-Nusra, questa
volta nuovamente per servire gli interessi dell’imperialismo
occidentale, battendosi contro il regime di Bashar al-Assad.
La
vicenda del Mali dimostra dunque ancora una volta come la cosiddetta
“guerra al terrore” non sia altro che un comodo pretesto per promuovere
gli interessi dell’Occidente nelle aree strategicamente più importanti
del pianeta, dal momento che i vari gruppi estremisti riconducibili ad
Al-Qaeda vengono di volta in volta utilizzati, a seconda delle necessità
e con una schizofrenia solo apparente, come giustificazione per
attaccare o invadere un determinato paese (Afghanistan, Mali) oppure
come partner affidabili per portare a termine i propri obiettivi (Libia,
Siria), salvo poi cercare di prenderne le distanze una volta raggiunti.
In
Mali e in Africa occidentale, una regione con ingenti risorse naturali
anche se tra le più povere del pianeta, sono piuttosto in gioco enormi
interessi per la Francia, garantiti dalla continua interferenza di
Parigi nei paesi facenti parte del suo ex impero coloniale.
Nel
vicino Niger, ad esempio, la multinazionale transalpina Areva opera da
decenni estraendo uranio con ben pochi benefici per la popolazione
locale. Lo stesso Mali possiede giacimenti di uranio in gran parte
ancora da sfruttare e su cui le grandi compagnie estrattive
internazionali hanno già messo gli occhi, tra cui ovviamente quelle
francesi, soprattutto alla luce dei problemi incontrati recentemente da
Areva in Niger.
Da questa regione la Francia ottiene circa un
terzo dell’uranio di cui ha bisogno per alimentare le centrali nucleari
domestiche, così che la stabilità nelle ex colonie dell’Africa
occidentale risulta un requisito imprescindibile per mantenere la
propria indipendenza energetica.
La
rapida decisione di dispiegare truppe francesi in Mali da parte di un
politico notoriamente tutt’altro che risoluto come Hollande testimonia
dunque dell’importanza della posta in gioco in questo paese e dei timori
diffusi tra la classe dirigente d’oltralpe per una situazione che
rischiava di sfuggire di mano al debole governo di Bamako.
Tra i
governi occidentali rimangono però profonde divisioni interne, con molte
voci che più o meno apertamente mettono in guardia dalle possibili
conseguenze di un intervento diretto e che evocano uno scenario simile a
quello afgano. Alcuni commentatori in questi giorni prevedono che gli
estremisti islamici attivi in Mali, anche se evacuati definitivamente da
città come Gao o Timbuktu, continueranno ad operare con tattiche di
guerriglia e, al limite, con attentati terroristici in Africa
settentrionale se non addirittura in Europa, come hanno minacciato di
fare lunedì.
Per cominciare, queste formazioni jihadiste
potrebbero trovare riparo nella vicina Algeria, il cui governo si era a
lungo opposto ad un intervento esterno in Mali per le prevedibili
conseguenze interne. Il presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, anche
in seguito alle recenti visite di Hillary Clinton e dello stesso
Hollande, ha però alla fine deciso di fornire il proprio sostegno
all’Occidente, consentendo in questi giorni ai velivoli francesi di
sorvolare lo spazio aereo del proprio paese.
Un’operazione che
rischia di infiammare l’intera regione del Sahel ha infine trovato il
sostegno praticamente di tutta la classe politica transalpina, dall’UMP
ai neo-fascisti del Fronte Nazionale, ed ha confermato la natura del
Partito Socialista, attraverso il presidente Hollande e il suo governo
teoricamente di sinistra, di esecutore delle politiche neo-coloniali
francesi come lo era stato Nicolas Sarkozy durante gli anni trascorsi
all’Eliseo.
L’apertura di un nuovo fronte di guerra in Mali serve
inoltre a sviare l’attenzione dalle politiche anti-sociali messe in
atto dal governo socialista sul fronte interno. In particolare,
l’intervento in Africa è giunto, probabilmente non a caso, in
concomitanza con l’annuncio dell’accordo trovato nel fine settimana tra
gli industriali e i principali sindacati sulla “riforma” del mercato del
lavoro, con misure estremamente impopolari che prospettano lo
smantellamento dei diritti dei lavoratori per favorire la competitività
delle aziende francesi.
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