Nella disattenzione dei
media, pochi mesi fa l’Unione Europea si è dotata di un organismo
politico il cui scopo è intervenire nella vita politica dei paesi
confinanti per orientare a suo favore movimenti politici, sindacali e di
opinione. A suon di milioni.
“Il Consiglio di amministrazione dello European
Endowment for Democracy (Sovvenzione europea per la democrazia) si è
riunito lo scorso 9 gennaio 2013 a Bruxelles per discutere la visione
strategica e il mandato della nuova iniziativa. In questa occasione,
Jerzy Pomianowski, attuale Segretario di Stato della Polonia, è stato
eletto Direttore esecutivo dell'Endowment.
All'incontro hanno
partecipato l'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza
comune dell'Unione Europea, Catherine Ashton, il Presidente della
Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo, Elmar Brok e il
Commissario per l'allargamento e la politica di vicinato Štefan Füle”.
Questa è la notizia. Ma che cos’è l’European Endowment for Democracy?
Con molta probabilità i cittadini dell’Unione che se ne sono accorti
sono molto pochi, ma si tratta di un organismo politico – dotato però,
come si è visto, di un consiglio di amministrazione – che è stato
istituito nell'ottobre del 2012 dalla Commissione europea finalizzato,
recita il suo statuto, a “sostenere finanziariamente le organizzazioni e
gli attivisti che lottano per l'avanzamento dei processi di transizione
democratica nei Paesi dell'area del vicinato”. Per ora i soldi
stanziati per finanziare “attivisti democratici” e “processi di
transizione” nei paesi confinanti con l’Unione Europea sarebbero solo 14
milioni di euro, 6,2 milioni assicurati dalla Commissione europea e i
restanti 8 dai Paesi membri e dalla Svizzera. Non una grande cifra,
dunque. Ma che l’Unione Europea si doti di uno strumento
politico-economico per intervenire direttamente nella vita interna di
altri paesi la dice lunga sulle ambizioni imperialiste, o se non altro
egemoniche, di un’entità politica che spesso liberali e democratici
criticano per la mancanza di identità, di coesione, di progettualità. Ma
ora accanto alla ‘Fondazione Soros’ gli interessi non sempre
coincidenti delle grandi potenze occidentali potranno contare anche sul
nuovo organismo europeo. Che non fa mistero di voler intervenire
attivamente nella vita politica dei paesi della sua potenziale area
d’influenza per orientare movimenti, opinione pubblica e forze
organizzate verso i suoi interessi. “Il fondo arriva al momento
opportuno, il 2013 sarà un anno cruciale per le transizioni democratiche
nei Paesi a noi vicini” afferma con il candore che la contraddistingue
la baronessa Ashton. Contenta di avere a disposizione finalmente uno
strumento dinamico, rapido, snello, e soprattutto non costretto a lunghi
iter burocratici delle pastoie rappresentate dalla necessaria
mediazione tra i diversi punti di vista dei paesi europei. Non è un caso
che a presiedere l’organismo sarà Pomianowski, uomo dell’occidente già
assai attivo nella Polonia degli anni ’80, in piena guerra fredda.
Di cosa si occuperà soprattutto l’EED? Di Palestina, Egitto, Libano,
Marocco, Siria. Destinando sostegno e appoggio a quelle opzioni che
siano collimanti con gli interessi delle potenze principali dell’Unione
Europea, coprendo il tutto nel consueto discorso del favorire la difesa
dei diritti umani e lo sviluppo della democrazia in aree problematiche.
Nelle aree di intervento dell’EED rientrano naturalmente anche i
Balcani e l’Europa orientale, terreno di conquista in questi anni per la
Fondazione Soros che non ha mai fatto mistero di fomentare e finanziare
le cosiddette ‘rivoluzioni colorate’. Ora c’è da capire se i progetti
del miliardario e quelli dell’UE saranno complementari o entreranno in
contraddizione. Per ora le reazioni dei piccoli movimenti filoccidentali
in Ucraina e Bielorussia sono entusiastiche, visto che aumenterà per
loro il flusso dei finanziamenti e anche l’appetibilità mediatica.
Ma per avere qualche speranza di funzionare i finanziamenti europee
all’EED devono aumentare, e di molto. Le campagne e le belle parole
funzionano fino a un certo punto. Ma per finanziare blogger,
giornalisti, attivisti sindacali e per convincere qualche funzionario o
leader politico a passare dalla propria parte servono parecchi soldi,
molti di più di quelli attualmente a disposizione di Ashton e
Pomianowski. Soldi che, secondo il quotidiano polacco Gazeta Wyborcza,
arriveranno nei prossimi anni soprattutto dai singoli stati, più che
dall’Unione Europea in quanto tale.
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